Giorno per giorno – 06 Settembre 2010

Carissimi,

“Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata” (Lc 6, 6). Questi racconti evangelici di cura sono assai più che semplici resoconti di un qualche fatto avvenuto duemila anni fa. Sono una parola che dice rispetto alla nostra vita di fede; in questo caso, rispetto alla nostra maniera di essere nella chiesa, di essere chiesa. Gesù chiede: “In giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?” (v.9). Il problema oggi non è più quello del giorno di sabato, perché noi cristiani crediamo che l’evento di Gesù ci ha introdotti in un Sabato eterno. La domanda, quindi, assai più radicale è: che segno vogliamo dare alla nostra vita, o , anche, che razza di chiesa vogliamo essere? La mano paralizzata indica l’incapacità di fare il bene, paralizzata da quando ed ogni volta che si è tesa e si tende per cogliere il frutto che ci illudiamo possa fare di noi Dio (in realtà il suo contrario), nella forma del potere e non del dono. Ieri sera, nel suo sermone, il pastor Raimundo raccontava un aneddoto che tocca piuttosto da vicino le vicende [anche] di casa vostra. Diceva di un villaggio in un Paese europeo, in cui un giorno un gruppo di ragazzi si divertirono a prendere di mira un povero immigrato, sotto lo sguardo indifferente dei passanti: cominciarono col deriderlo, insultarlo, poi gli misero le mani addosso, e presero a spingerlo e a lanciarselo gli uni gli altri  come fosse un pupazzo, finché una spinta di troppo gli fece battere violentemente la testa su una pietra e il tipo morì. La domenica, il prete, in chiesa, a commento del Vangelo, si limitò a dire, più alto che poteva: Cristiani! Tacque per un momento, poi ripetè: Cristiani! Il giorno del giudizio, quando mi presenterò a Dio e Lui mi chiederà: che ne hai fatto delle tue pecorelle?, io gli risponderò: non erano pecore, Signore, erano lupi. Già, e noi che siamo? Qual è il Cristo che predichiamo, che testimoniamo? “Guardandoli tutti intorno, Gesù disse all’uomo: Tendi la tua mano! Egli lo fece e la sua mano fu guarita” (v. 10). In questo consiste l’essere chiesa. Quando si prende cura e libera l’altro dal suo male, guarisce se stessa. Se non lo fa, è bugiarda e  imbrogliona, potete giurarlo.

 
Oggi noi ricordiamo Charles Péguy, poeta di Dio.

 

06 CHARLESPEGUY.jpgCharles Péguy era nato il 7 gennaio 1873 a Orleans. Rimasto a pochi mesi orfano di padre, fu cresciuto dalla madre, impagliatrice di sedie, e dalla nonna e conobbe la vita dei poveri. Entrato a scuola, studiando sodo e cavandosela bene, riuscì a ottenere una serie di borse di studio che gli permisero di arrivare, nel 1894, all’universitá, dove fu allievo di Romain Rolland e del filosofo Henri Bergson, e dove maturò le sue convinzioni socialiste. Abbandonata l’universita, Péguy si dedicò per tre anni alla stesura del dramma Giovanna d’Arco, il fascino per la cui figura l’accompagnerà per tutta la vita.  Nel 1897 sposò Charlotte Baudouin, sorella del suo miglior amico, Marcel, morto l’anno prima. Da lei avrà quattro figli. Nel 1898 a Parigi fondò con altri amici la “Libreria socialista Bellais”, ma l’esperienza non durò a lungo. Nel 1900 Péguy chiarì i caratteri della sua scelta socialista: “Noi siamo tra coloro cui non riesce per nulla di separare la rivoluzione sociale dalla rivoluzione morale, nel duplice senso che da un lato noi non crediamo che si possa realizzare profondamente, sinceramente, seriamente la rivoluzione morale dell’umanità senza operare l’intera trasformazione del suo ambiente sociale, e all’inverso noi crediamo che ogni rivoluzione esteriore sarebbe vana se non comportasse il dissodamento e il profondo rivolgimento delle coscienze”.  Nello stesso anno fondò la rivista quindicinale Cahiers de la quinzaine, di taglio socialista e dreyfusista (dal nome di Alfred Dreyfus, un ufficiale francese ebreo che, accusato falsamente di tradimento, divise in quel tempo la Francia, e che Péguy difese accanitamente).  Nel 1908, staccatosi dal socialismo ufficiale, ma non dai suoi ideali, confidò ad un amico di aver ritrovato la fede cattolica dei suoi primi anni. Per rispetto e amore della moglie che restava su posizioni agnostiche, non le propose di “regolarizzare” il matrimonio con il rito religioso, né di battezzare i figli. Convinto com’era che “Ci si deve salvare insieme. Non possiamo andare a Dio da soli. Lui ci chiederebbe subito: Gli altri dove sono?”. Negli anni successivi scrisse altri libri, a carattere religioso e mistico, che editorialmente si rivelarono un fallimento. Inviso agli antichi compagni, guardato con sospetto dai cattolici, Péguy, volta a volta pacificato e angosciato, continuò la sua personalissima battaglia, in cui convinzioni, vita, arte, teologia, diventano preghiera e dialogo con Lui. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si arruolò nella fanteria, come tenente della riserva. Inviato al fronte, cadde colpito a morte, a Villeroy, il 5 settembre 1914, primo giorno della battaglia della Marna.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera ai Corinzi, cap.5, 1-8; Salmo 5; Vangelo di Luca, cap.6, 6-11.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Lailat al qadr.jpgCon il tramonto di ieri sera, i nostri fratelli musulmani sono entrati nel 27 di Ramadan (dell’anno egiriano 1431), che celebra Lailat al-qadr, la “Notte del destino”, durante la quale ebbe luogo la Rivelazione. Il Corano dice di essa: “È più importante di mille mesi assieme! Discendono gli angeli e lo spirito, in quella notte, col permesso del Signore e con ordini per ogni cosa. Ed è subito gran pace, fino allo spuntare del giorno” (Corano, XCVII, 3-5). Abu Hureirah, dal canto suo, riferisce questo detto del Profeta Mohammed: “Chiunque eleva preghiere nella Notte del Destino con fede sincera, sperando nella ricompensa di Allah, tutti i suoi peccati precedenti saranno perdonati; e chiunque digiuna nel mese di Ramadan con fede sincera, sperando nella ricompensa di Allah, tutti i suoi peccati precedenti saranno perdonati”. Che il perdono e la pace possano davvero regnare nel mondo. Non solo per una notte.

 

È tutto per stasera. Noi ci congediamo, lasciandovi alla lettura di un brano di Charles Péguy, tratto dal suo “Il mistero della carità di Giovanna d’Arco”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Ne abbiamo ricevuti abbastanza di avvertimenti. Tredici secoli di cristiani, tredici secoli di santi, tredici secoli di cristianità. Ne dovremmo sapere. Una volta. Una volta, due volte, tre volte. E il gallo cantò. Ma per noi è la millesima, è la centomillesima, è la centesima di millesime volte che Lo consegnamo; che L’abbandoniamo, che Lo tradiamo; che Lo disconosciamo, che Lo rinneghiamo. Migliaia e centinaia di migliaia di volte che Lo rinneghiamo nello smarrimento del peccato… Ahimè, ahimè, deve cominciare a esserci abituato. Gliene abbiamo dato l’abitudine; un’abitudine proprio a Lui; ce l’abbiamo abituato. Gli abbiamo dato questa singolare abitudine: di essere rinnegato. La stessa storia succede sempre. Grazie alla presenza reale, alla presenza di Gesu’, la stessa storia succede sempre… Gesù perdonò e istantaneamente, in anticipo aveva perdonato il rinnegamento di Pietro. Dio voglia che ci abbia preso l’abitudine; e che parimenti perdoni anche i nostri rinnegamenti innumerevoli. Dio voglia che Dio abbia preso l’abitudine. Dio voglia aver preso l’abitudine. Anche quell’abitudine. (Charles Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 06 Settembre 2010ultima modifica: 2010-09-06T21:31:00+02:00da fraternidade
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