Giorno per giorno – 17 Agosto 2010

Carissimi,

“Gesù disse allora ai suoi discepoli: In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio” (Mt 19, 23-24). Questa è la conclusione un po’ amara che Gesù trae dal nostro rifiuto a seguirlo. E che si riferisca non solo ai ricchi ricchi, ma anche a noi che non ci si ha tantissime cose, lo diceva già ieri, e l’ha ripetuto oggi, Domingas, che vende vestiti usati al mercato e non ha ancora capito se è ricca o no, ma ai due soldi che guadagna ci è però piuttosto attaccata. E lo dice ogni volta ridendo, confessandolo a noi, ma prima di tutto a Lui, sulla cui pazienza (e forse anche segreta complicità) sa di poter comunque contare. E un giorno arriverà a non preoccuparsi più così tanto. Come già riesce a fare la mattina quando ci si ritrova a pregare e ad ascoltare la parola di Dio. Ora, noi si sa da un bel pezzo che, quando si parla di “regno dei cieli”, nel Vangelo, non ci si riferisce al paradiso, ma alle relazioni nuove che l’accogliere Gesù nella nostra vita instaura. Sicché, è l’accesso a queste relazioni che è reso difficile, anzi impossibile, a chi si ostina ad essere ricco. E noi lo si constata anche solo guardandoci attorno e, più di una volta, dentro. Come succede anche ai discepoli,  che, appunto chiedono: “Ma allora chi può essere salvato?”, salvo, subito dopo, per cercare di rimediare il lapsus (ma anche, in tal modo, scoprirsi), soggiungere: E a noi che abbiamo lasciato tutto, cosa ce ne verrà?  E Gesù probabilmente avrebbe voluto mettersi le mani nei capelli sussurrando: “Babbino mio, ma cos’hanno capito questi?”. Ma, ha lasciato perdere, perché gli voleva troppo bene. E chi è così sa che gli altri fanno sempre il possibile per apparire peggio di quello che sono, per vedere se li si ama davvero. Oltre ciò che dicono o  fanno. Dunque la pretesa di Pietro di aver lasciato tutto era una pietosa bugia, la classica foglia di fico, che veniva a peggiorare la situazione, determinata dalla prima domanda. Ma Gesù lascia correre. Sa perfettamente che noi non abbiamo ancora lasciato un bel nulla, soprattutto ciò a cui teniamo di più: noi stessi. E però ci lascia immaginare come sarà quando noi ci saremo riusciti: realizzeremo un’umanità (e, per cominciare, una comunità) dove tutti sono per tutti fratelli, sorelle, padri, madri, figli e figlie, e i campi e le case saranno spazio accessibile a tutti e i primi avranno rinunciato ad essere primi per godersi la vista della felicità di quelli che erano ultimi. E sarà la vita eterna. Nei secoli dei secoli.

 

Oggi è memoria di Johann Gerhard, teologo, e di quanti sono ricordati come i Martiri africani di Mombasa (sec.XVII).

 

17. Johann Gerhard.jpgJohann Gerhard nacque il 17  Ottobre 1582 a Quedlinburg, in Germania. All’età di quindici anni contrasse una grave malattia ed entrò in un tale stato di prostrazione che si pensò dovesse presto morire. Questa esperienza contribuì in misura determinante a caratterizzare e ad approfondire la sua spiritualità, portandolo a comporre, a soli ventidue anni, opere dedicate alla preghiera e alla meditazione. Su consiglio del suo direttore spirituale, Johann Arnd, che il giovane considerò per tutta la vita come un vero e proprio padre nello spirito, intraprese lo studio della teologia, dapprima a Wittenberg,  poi a Jena, a Marburg, e infine di nuovo a Jena, dove, il 13 novembre 1606, conseguì il suo dottorato. A Jena, a partire dal 1616, insegnò teologia fino alla morte. Con Johann Major e Johann Himmel costituì quella che nell’ambiente accademico venne chiamata la “terna dei Johann”, tre teologi con lo stesso nome, dei quali comunque, il nostro, benché il più giovane d’età,  fu presto riconosciuto come il maggiore tra i teologi viventi del Protestantesimo tedesco. Nel 1621 compose i “Loci theologici”, che costituiscono un vero e proprio compendio dell’ortodossia luterana. Oltre alla Sacra Scrittura, studiò e approfondì la spiritualità patristica e medievale, che gli permise di riscoprire in tutta la sua ricchezza il principio del senso spirituale dell’esegesi. Assieme all’attività di studio, si dedicò alla direzione spirituale di molti uomini di chiesa e di statisti. Morì il 17 agosto 1637.

 

17. African Martyrs in Mombasa.jpgIl conflitto scoppiato nel 1614 tra i portoghesi e i nativi delle isole di Zanzibar e Lamu (tra i quali c´era un buon numero di convertiti al cristianesimo) culminò nell’assassinio del sultano Hassan e in innumerevoli angherie nei confronti della popolazione locale. Questo portò il nuovo sultano, Yusuf (che pure era stato cristiano), alla decisione di tornare alla religione islamica e di cancellare ogni traccia della religione dei colonizzatori bianchi. Le spese le fecero comunque soprattutto i nativi. Furono circa centocinquanta gli africani che rifiutarono di abbandonare la fede cristiana, incontrando così la morte.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Ezechiele, cap 28,1-10; Salmo (da Dt 32,26-30.35-36); Vangelo di Matteo, cap. 19, 23-30.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Beh, all’epoca erano in molti a chiedersi se ci fosse o ci facesse. Ora, sappiamo, con ragionevole certezza che ci faceva, avendo a suo tempo confessato all’amico Giuliano Amato che si fingeva matto per sfuggire ad un possibile impeachment. Noi, forse, avremmo preferito che lo fosse stato davvero. Ma, a pensarci bene, quando mai si trova un matto che si riconosca tale? Ora il Picconatore è andato a picconare altrove. O, più probabilmente, ha pensato bene di mettersi a riposo. Finendo per ritrovare quella pace e quella serenità, che sono a volte così difficili da raggiungere. Del resto, costì, a fare a pezzi le istituzioni, c’è chi ci pensa. E sono più d’uno. Con altri incarichi da quello che era stato per un certo tempo il suo. E se la cavano egregiamente.  

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione di Johann Gerhard, tratta dal suo “Sacred Meditations”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La fede non è una semplice opinione o una vuota professione; essa è la viva ed efficace comprensione del Cristo, così come egli è presentato nel Vangelo. È la più sincera persuasione della grazia di Dio per noi, una fiduciosa tranquillità del cuore e la pace indisturbata della coscienza basata sui meriti di Cristo. Una tale fede nasce dal seme della parola divina; ora, fede e Spirito sono una cosa sola, ma la parola è ciò attraverso cui lo Spirito Santo è inviato nelle nostre anime. Il frutto è della stessa natura del seme. La fede è un frutto divino; perciò il seme divino, cioè, la parola di Dio, deve essere sempre presente. Proprio come nella creazione, la luce apparve alla parola di Dio, poiché Dio disse: “Sia la luce” e la luce fu (Gen 1, 3); così la luce della fede sorge dalla luce della parola divina. “Nella tua luce noi vedremo la luce”, dice il salmista (Sal 36, 9). Dato che la fede ci unisce così strettamente a Cristo, essa è davvero la madre di tutte le virtù in noi. Dove c’è fede, c’è Cristo.; dove c’è Cristo, c’è una vita santa, vale a dire, vera umiltà, vera dolcezza, vero amore. Cristo e lo Spirito Santo non sono mai separati; e quando lo Spirito Santo è presente in un’anima, vi è vera santità. Perciò, quando la vita non è santa, è perché lo Spirito santificante è in qualche modo assente; e se lo Spirito Santo è assente , Cristo non può esserci; e se Cristo non c’è, neppure c’è vera fede.  Ogni ramo che non trae la sua vita e il suo soccorso dalla vite, non può essere considerato unito alla vite (Gv 15, 4); così noi non siamo uniti a Cristo dalla fede, se non deriviamo tutta la nostra vita spirituale e la nostra forza da Lui. (Johann Gerhard, Sacred Meditations, XII).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-17T23:36:00+02:00da fraternidade
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