Giorno per giorno – 05 Agosto 2010

Carissimi,

“Pietro prese Gesù in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai. Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16, 22-23). Qui da noi, “Satanás” e i suoi equivalenti “diabo”, “demônio”, “capeta” sono vere e proprie parolacce, a sentir pronunciare le quali la gente arriva spesso a segnarsi. Così è logico che Dulcy, stamattina, ascoltando la lettura del Vangelo, abbia sgranato gli occhi e, poi, al termine, abbia chiesto: ma l’ha detto proprio Gesù? E l’ha detto proprio a Pietro, lo stesso Pietro a cui aveva appena finito di dire: “tu sei la pietra su cui edificherò la mia chiesa”? Sì, proprio lui e proprio a lui. Anzi di più, quella pietra tanto elogiata, diventa improvvisamente pietra di scandalo, di inciampo. Ostacolo, perciò, alla missione di Gesù. Sicché, il suo vicario in pectore ci dev’essere, come minimo, rimasto con un palmo di naso.  Il fatto è che Simon Pietro, impulsivo come sempre, si era sbilanciato senza calcolare bene la portata delle sue affermazioni. Né, forse, era ancora in grado di farlo. Ma è appunto a questo che, con un moto di impazienza, Gesù si accinge a condurlo. Dire che Gesù è il Messia, il figlio di Dio, e perciò la sua verità, esige che non siamo noi a decidere i contenuti di questo titolo, ma che si sia invece disposti ad accoglierli da Lui, quali che essi siano. Certo Pietro e gli altri amici della prima compagnia di Gesù si aspettavano evidentemente qualcosa di diverso. E lo avrebbero aspettato sino alla fine. Se ci si mette al seguito del Messia, non è certo per vederlo morire. È invece per guadagnarci qualcosa, in incarichi, onore e gloria. Sai la faccia degli amici quando ti vedranno sul carro del vincitore? E Gesù invece ribalta tutto.  La verità di Dio, che la sua vicenda umana manifesta, è la storia di un amore che si dona instancabilmente, fino alla fine (la morte), ma anche oltre la fine. E l’amore, se è amore vero, finisce sempre col perdersi. Nel senso che, se ti dono qualcosa, quel qualcosa non è più mio, e se ti dono tutto, persino me stesso, io non ci sono più. O ci sono sempre di meno. E se Dio, com’è probabile, non può non esserci più, può però continuare a diminuire, è allora come un perdersi infinito. Ma tu, intanto, vivi del mio dono. Che è pur sempre Dio, il suo Spirito.  Beh, Gesù, cioè la verità di Dio, è sempre alla ricerca di complici. E la chiesa dovrebbe essere la banda dei complici di Gesù. Che accettano di perdersi per la vita del mondo. E se noi si muore, come anche Lui è morto – la manifestzione storica della verità di Dio può sempre sparire e persino essere cacciata dall’orizzonte  mondano -, si può dire con fondata fiducia: Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito. Lui saprà suscitare sempre nuove leve di testimoni. Senza che ci sia bisogno di affannarci così tanto darci solide basi al fine di affermarci ora e perpetuarci poi nei secoli dei secoli. Le basi che ci diamo noi finiscono sempre per franare. Ineluttabilmente. E fortunatamente.  Niente a che vedere con quella pietra a cui Lui alludeva.

 

Oggi facciamo memoria dei Diecimila martiri ebrei dei progrom del 1391 in Spagna.

 

05 antica sinagoga di Barcellona.jpgTutto era cominciato con la predicazione – che durava dal 1378 – di un esaltato e sciagurato figuro, di nome Ferrand Martinez, arcidiacono della città di Écija, in Andalusia (Spagna). Da quando il chierico aveva preso ad incitare le folle ad uccidere gli ebrei e a saccheggiarne le proprietà, affermando che così facendo, avrebbero fatto opera grata a Dio. La violenza esplose, alla fine, il 6 giugno 1391 a Siviglia e si estese nei mesi successivi a tutta la Spagna, con l’eccezione di Granada. Nella data di oggi si ricorda l’assalto all’antico quartiere ebraico di Barcellona, costruito quattrocento anni prima nei pressi del castello. Solo nel primo giorno si contarono 250 morti ammazzati, quasi altrettanti lo furono nei giorni successivi. L’intero quartiere ebraico venne raso al suolo. Durante un anno, sarebbero stati circa diecimila, in tutta la Spagna, gli ebrei che pagarono con la vita la loro fedeltà alla religione dei padri. Che era la stessa religione di Gesù.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Geremia, cap.31, 31-34; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.16, 13-23.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

A noi è già capitato qualche volta di proporvi citazioni dal bel libro di  André Neher, “L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz (Marietti). Lo facciamo anche stasera, nel congedarci. Ci pare che la riflessione che svolge in questa abbia in qualche modo a che fare con quanto siamo venuti dicendo e di cui abbiamo fatto oggi memoria. Il bene, il male, la dannazione, la redenzione, qui, ora, dentro la storia. E la libertà dell’uomo. Cioè, la sua responsabilità.  Che ne determina la direzione. A proposito, come la metterete lì da voi, nei prossimi mesi? Auguri. Intanto, eccovi questo nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Creando libero l’uomo, Dio ha introdotto nell’universo un fattore radicale d’incertezza che nessuna saggezza divina o divinatoria, nessuna matematica, persino nessuna preghiera possono né prevedere, né prevenire, né integrare in un momento prestabilito: l’uomo libero è l’improvvisazione fatta carne e storia, è l’imprevedibile assoluto, è il limite contro cui vengono a cozzare e infrangersi le forze direttrici del piano creatore, senza che nessuno possa dire in anticipo se tale limite consentirà a lasciarsi superare o se, con la forza dello sbarramento che esso pone loro, obbligherà le sue forze creatrici a retrocedere, ponendo in pericolo con questa scossa di rimbalzo, il piano creatore nel suo insieme. L’uomo libero è la divisione, la spartizione delle acque divine: d’ora in poi, le acque del basso, separate da quelle dell’alto, vivono di vita propria. […] Nel cosmo, dove ogni creatura possiede la sua legge e non può non seguirne né ottenerne altra che non sia la sua, l’uomo ha per legge di essere libero: nell’infinito paesaggio della creazione, egli costituisce la riserva di libertà. Non sradicabile, al riparo da ogni altra forza che non sia la sua, questa riserva può vivere infinitamente e pacificamente racchiusa su se stessa, come in un vaso chiuso. Ma può anche traboccare in qualsiasi momento, rompere le barriere, esplodere e, fino alla fine dei tempi e fino al limite degli spazi, minacciare di invadere la creazione, di annientarla o di sublimarla, di strapparla a Dio con un gesto brutale o di ricondurla a Lui in una primavera assolutamente nuova, di offrirla alla dannazione o alla redenzione. Ed è questo rischio, questo terribile rischio di affidare all’uomo, e soltanto a lui, le chiavi della terribile scelta che Dio assume su di sé man mano che interpella l’uomo, man mano che, da Adamo ad Abramo e a Mosé, si annoda, si snoda e si riannoda l’essenza brancolante del dialogo, man mano che, secondo la forte espressione di Ernst Bloch, derivata dal linguaggio ferroviario, Dio si aspetta dagli uomini che essi siano gli scambisti della storia. (André Neher, L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-05T23:37:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo