Giorno per giorno – 20 Luglio 2010

Carissimi,

“Gesù, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12, 49-50). Nei brani che precedono, abbiamo visto come, alla missione di Gesù, reagiscono, nell’ordine, Giovanni Battista, la sua generazione, le città del lago, i “piccoli”, i religiosi e benpensanti. Oggi è la volta della sua famiglia. E anche in questo caso, più che della sua famiglia di allora, potrebbe trattarsi della sua famiglia di oggi. Cioè, noi, la sua chiesa. Che, talvolta, capita che se ne stia “fuori”. Invece che lì, rapita ai suoi piedi, ad ascoltarlo, per poi tentare di mettere in pratica i suoi insegnamenti. Forse noi l’abbiamo già detto altre volte, nel qual caso ci ripeteremo: questa scena ci ricorda tanto la polemica sulle radici di quei paesi, o addirittura continenti,  che alcuni si ostinano a voler definire cristiane (appunto, “siamo la famiglia di Gesù!”), magari anche solo per ritagliarsi uno spazio di privilegio, recuperare importanza, aumentare influenza. E sono invece paesi e sistemi che, se guardiamo bene, da tempo immemorabile, se ne stanno ben lontani da Lui, in tutt’altre faccende affacendati. Considerando la proposta di Gesù eccentrica, balzana (o chissà, addirittura sovversiva), e lui, perciò un po’ matto, magari, persino, pericoloso per sé e per i suoi – com’era già successo, secondo il racconto di Marco (Mc 3,21), proprio ai suoi famigliari. Beh, Gesù, non cessa di ricordarci, che Lui non è proprio il tipo da “Family Day” e da celebrazioni che ridondano di retorica e rivendicano ciò che non c’è (nel caso nostro, le radici), additando addirittura il fatto che, se si vuol essere davvero radicati in Lui, quelle radici, bisogna scordarsele, superando particolarismi famigliari, etnici, culturali e religiosi, per abbracciare tutti coloro che si dispongono a lavorare per creare una più grande, universale famiglia, quella dei figli e figlie di Dio, tutti fratelli e sorelle tra di loro. Capaci di generare nuovamente Gesù nella storia. Dona Dominga, stamattina, ha detto anche di più. Lei, che non deve saper niente di san Francesco e del suo modo di vedere le cose, diceva che anche la terra, l’acqua, gli alberi, i fiori, le nuvole, il sole, la pioggia, la natura intera, insomma, che, compiendo la volontà di Dio, si prendono cura di noi, diventano nostra madre, e fratelli e sorelle. E noi dovremmo imparare da loro. E così sia.

 

Il calendario ci porta oggi le memorie di Elia il Tisbita, profeta, e di  Louis-Joseph Lebret, profeta del riscatto e della solidarietà tra i popoli.

 

20 S. ELIA.jpgProfeta del sec. IX a.C.,  Elia era originario di Tishbe in Galaad.  Lottò strenuamente in difesa del culto del Dio liberatore contro quello dei baal (gli idoli-padroni arbitrari della vita). Nell’episodio della rivelazione ricevuta sul Monte Oreb (1Re 19,8 ss), la Bibbia ci documenta una sua conversione nella comprensione del mistero di Dio. Il loquace Elia (era profeta e parlare pensava fosse il suo mestiere!) scopre che Dio si rivela più e meglio nel silenzio. È un invito a fare vuoto in noi, a liberarci dalle molte parole su di Lui, per lasciare agire Lui. Nel libro dei Re (2Re 2,11) si narra che Elia salì al cielo su un carro infuocato, avvolto in un turbine. Da qui deriva la credenza ebraica che egli non sia morto, ma che continuamente faccia ritorno sulla terra, per aiutare i fedeli bisognosi.

 

20 PÈRE LEBRET X.jpgLouis-Joseph Lebret era nato a Minihic, nei pressi di Saint-Malo, in Bretagna, il 26 giugno 1897. Entrato giovanissimo nella Scuola Navale, ne era uscito ufficiale di marina, prendendo parte poco dopo alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1923, sentendo la chiamata alla vita religiosa,  lasciò la marina e entrò nell’Ordine domenicano. Negli anni successivi all’ordinazione, si sensibilizzò alla situazione dei piccoli pescatori bretoni, colpiti dalla crisi economica di quegli anni, aiutandoli a fronteggiarla e fornendo loro gli strumenti per un’analisi critica della realtà socio-economica, in vista di un’alternativa che vedesse finalmente l’economia al servizio dell’uomo. Sviluppando questa visione, creò nel 1941 l’istituto Economia e Umanesimo. A partire dal 1947, riconosciuto internazionalmente per la serietà dei suoi studi, venne ripetutamente invitato in diversi paesi del Sud del mondo per offrire il suo contributo ad uno sviluppo globale, armonizzato e autopropulsivo. Negli anni 60 il papa Paolo VI lo chiamò a Roma come perito al Concilio Vaticano II e lo volle come sue maggior collaboratore nella redazione della sua enciclica sullo sviluppo dei popoli, la Populorum Progressio. Padre Lebret morì a Parigi il 20 luglio 1966.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Michea, cap.7, 14-15.18-20; Salmo 85; Vangelo di Matteo, cap.12, 46-50.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

 

“Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore, al dolore che ora mi tormenta (Lam 1, 12). Oggi è Tisha beAv, cioè il 9 del mese di Av, che, lungo i secoli, è stato spesso un giorno funesto per il popolo ebreo. Fu, infatti, in tale data che avvenne, nel 587 a.C. la distruzione del Tempio di Salomone, e nel 70 d.C. la distruzione, ad opera dei romani,  del secondo Tempio; e nel 1492, l’espulsione degli ebrei (e anche dei musulmani)  dalla penisola iberica, dove abitavano da secoli, con la confisca di tutti i loro beni. In tutte le sinagoghe viene letta oggi la Meghillà di Eichà (il libro della Lamentazioni) ed è osservato un rigoroso digiuno di 25 ore. Noi abbiamo pregato in comunione con tutti i popoli che rivivono, nel nostro tempo, un’uguale tragedia, invocando per essi il dono della pace. 

 

Dicono che Giovanni Paolo II, che pure si era dato un gran daffare per contribuire, quanto meno nel suo paese, alla sconfitta dei regimi, a diversa gradazione, comunisti (o ritenuti tali), nei suoi ultimi anni si dichiarasse assai preoccupato per ciò che ne era seguito: l’avvento desolante di un sistema unico, basato sul consumismo sfrenato, la massimizzazione dei profitti, la perdita dei valori di solidarietà e giustizia e altro ancora. Beh, ora che quella stagione è tramontata (salvo che nei sonni di alcuni leader, interessati a evocarne i fantasmi, per coprire le personali magagne, ogni volta che qualcuno osi ancora nominare la giustizia, la solidarietà o la pace), possiamo forse cercare di indovinare ciò che, se non in tutti, almeno in molti, alimentava quell’ideale. Ci aiuta in questo, la “Preghiera per i comunisti” che  Louis-Joseph Lebret ebbe a stilare un giorno e che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Signore, so che questa preghiera farà sobbalzare molti cristiani, quelli che piuttosto pregherebbero, e che già t’invocano contro i comunisti. È a partire dai valori autentici che sono in loro che ti chiedo umilmente, con ardore, di concedere loro di svilupparsi senza che niente di valido sia distrutto. Per la maggior parte di loro l’accettazione del comunismo è nata, mi sembra, dall’aspirazione alla giustizia; non è per quella meschina invidia dei ricchi, così spesso descritta senza finezza psicologica, che l’uomo si decide a fare questa scelta, ma è per reazione agli egoismi, all’incoscienza, all’imperizia, alle ingiustizie; è perché sente che il lavoratore, nella società in cui vive, non è in concreto rispettato, è perché è stanco di essere in miseria quando vede tanto spreco, o di non avere un lavoro sicuro quando tanti bisogni primari dell’umanità non sono soddisfatti, o di essere senza casa o alloggiato in tuguri quando la ricostruzione arricchisce gli speculatori. L’adesione al comunismo è l’atto di chi, stanco dell’ingiustizia, comincia a rompere con chi gli sembra connivente con l’ingiustizia o almeno incapace di combatterla efficacemente. Prima che atto formale è atto di difesa. È qui che li raggiunge la mia preghiera. Come loro io vorrei meno  iniquità nel mondo, meno distanza fra le classi sociali, meno miseria e meno lusso. Come loro provo una forte reazione contro l’ordine sociale dei benpensanti, e mi interrogo per capire se non tradisco con il mio non spingermi fino al rifiuto, alla rivolta. Si deve dunque sempre accettare l’abuso che i potenti fanno dei loro privilegi? Si deve sempre, per non interrompere la continuità di una dominazione, protestare solo per principio, senza volere fermamente che tutto ciò cambi? Si deve predicare la rassegnazione a tutte le sofferenze, quando si sa che gran parte di queste sofferenze potrebbero essere facilmente evitate?  Com’è allora, Signore, che non siano stati i tuoi fedeli a mettersi in prima fila nella difesa degli uomini contro i regimi economici e sociali che generano fasce sociali a livello inumano? (Louis-Joseph Lebret, Preghiera per i comunisti).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-20T23:31:00+02:00da fraternidade
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