Giorno per giorno – 13 Luglio 2010

Carissimi,

“Allora Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite” (Mt 11, 20-21). Si sarebbero convertite, mica altro. Convertite alla logica di quei prodigi. Non dice: avrebbero costruito chiese, sarebbero andate in pellegrinaggio qua e là, avrebbero sfornato un buon numero di preti e, questi, un certo numero di monsignori, e questi un’adeguata rappresentanza di cardinali, tra cui si troverà poi sempre qualcuno a marcare presenza nei ritrovi mondani o alla mensa dei potenti. No.  E la logica di quei prodigi è la stessa delle beatitudini: Beati i poveri, chi piange, e chi ha fame e sete di giustizia, e chi per essa è perseguitato, perché è giunto chi se ne prende a cuore la causa. E vi pone rimedio. Il Vangelo si ripete? Sì, si ripete. Che vogliamo farci? Buttarlo? Dunque, dopo quello che è stato chiamato il “Discorso missionario”, Matteo dà spazio, nei due capitoli che seguono, a una sezione narrativa, che registra, tra l’altro, le reazioni suscitate dalla predicazione e dall’azione evangelizzatrice di Gesù. Reazioni che, nei diversi ambienti, oscillano tra resistenza, dubbio, rifiuto, indifferenza, accettazione. Come anche oggi, del resto. Il primo a restare sconcertato dalla pratica di Gesù è suo cugino Giovanni, che, come ogni profeta che si rispetti, si aspettava ben altro. Mica quella sorta di Emergency ambulante, cui sembrava essersi ridotta la compagnia di Gesù (Mt 11, 5). E tuttavia Gesù non demorde. E manda a dire al cugino in prigione: Sì, siamo proprio questo, e, abbi pazienza, non c’è verso di cambiare. Poi, però, pensa bene di dire una parola triste, più ancora che severa, alla sua gente, la popolazione delle città rivierasche, scelte come luogo della sua missione. Che sembrava non aver prodotto nulla, forse solo la curiosità del momento e poi, via di nuovo, nella vita di sempre. Stamattina ci dicevamo che il giudizio che incombe non è posticipato alla fine dei tempi, agisce già dentro la storia. Una società incapace di giustizia, una civiltà che non si riconosce nel principio-misericordia, che non si converte cioè alla cura dell’altro, è destinata a finire nel nulla.  E a noi sembra che ce ne siano i segnali anche per la presente, di civiltà.    

 

Oggi facciamo memoria di Carlos Manuel Rodríguez Santiago, laico al servizio del rinnovamento liturgico.

 

13 Carlos Manuel Rodríguez Santiago.jpgCarlos Manuel Rodríguez Santiago era nato a Caguas (Portorico) il 22 novembre 1918, in una famiglia di cinque figli, frutto del matrimonio tra Manuel Baudilio Rodriguez e Herminia Santiago. Di essi, due figlie si sarebbero sposate, una sarebbe divenuta carmelitana e un altro benedettino. Carlos,  aggredito quand’era dodicenne da un cane lupo, riportò gravi ferite, che gli causarono una colite ulcerosa, da cui non sarebbe mai guarito. Al termine del liceo trovò occupazione come impiegato; tentò di intraprendere gli studi universitari, senza per altro riuscire a completarli, a causa della malattia. Sull’onda del movimento liturgico che si era venuto affermando nei primi decenni del XX secolo, divenne un suo profondo cultore e propagatore, dedicandosi a letture specializzate in materia, curando traduzioni, scrivendo articoli, e creando infine, nell’ateneo di San Juan di Portorico, un Centro universitario cattolico per lo studio e l’approfondimento della liturgia. Decisivo nei suoi interessi accademici, ma assai più nella sua vita spirituale, fu sempre il tema del Mistero Pasquale, che lo portò, prima ancora del rinnovamento liturgico promosso dal Concilio Vaticano II, a evidenziare l’importanza di esso  e della sua celebrazione nella vita della comunità cristiana, e di sottolineare la necessità di aprire la liturgia alla comprensione e alla partecipazione del laicato. Quando nel 1962, la malattia degenerò in tumore, confessò al fratello benedettino di non essere pronto a morire. Seguirono mesi di grandi sofferenze fisiche e una prolungata “notte dello spirito”, in cui Dio sembrava del tutto assente. Solo poco prima di morire ritrovò la serenità e la pace con Dio. Si spense il 13 luglio 1963, a soli 45 anni. È il primo beato della chiesa portoricana.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.7, 1-9; Salmo 48; Vangelo di Matteo, cap.11, 20-24.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

C’è stato, per chi non lo sapesse ancora (e noi fino a quest’oggi non lo sapevamo), anche un altro Mondiale di calcio. Organizzato dall’Associazione Altropallone – una delle cose buone di casa vostra, che ne ha anche molte altre -, ha attraversato nove Paesi africani (Kenia, Tanzania, Malawi, Zambia, Zimbabwe, Mozambico, Lesotho, Swaziland, Sudafrica) a bordo di un pulmino africano, il “matatu”, percorrendo oltre 8000 chilometri. Inaugurato il 29 maggio a Mathare, una baraccopoli di Nairobi, con un torneo di calcio di strada, e si è conclusa a Philippi, una township di Città del Capo. Nelle tappe lungo il percorso, il torneo ha coinvolto persone diversamente abili, ex-ragazzi di strada, malati di aids, pastori Masai e gente che mai aveva visto un pallone in vita sua. Un modo per contribuire a fare del calcio “uno sport equo, solidale, popolare, contro il pallone duro, contro il razzismo, per l’integrazione e la multiculturalità, come strumento di partecipazione sociale e coesione”. Un programma decisamente ambizioso!

 

Noi ci si congeda qui, proponendovi in chiusura il brano di una lettera scritta da Carlos Manuel Rodríguez Santiago all’amico Rafael Angel, il 25 aprile 1955. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Non ti piacerebbe, una volta per tutte, cominciare a vivere in positivo, a vivere questa vita che condividiamo con Cristo risorto attraverso i sacramenti – la grazia santificante, che non è altro che partecipare della vita divina (nel significato letterale della parola) – viverla, gustarla e dilettarsi in essa? Non c’è maggior nobiltà che vivere in stato di grazia: non è questione di sangue azzurro, ma di vita divina, la stessa vita di Dio! Non desideri questa pace che ti offre Nostro Signore e che il mondo non conosce e non può offrire? Non hai una sete ardente di Pienezza? Non hai fame di felicità? Non senti nel tuo più intimo il desiderio di un Amore che calmi totalmente la tua sete d’amore? Non credi che valga la pena di indagare e considerare seriamente il problema e l’unica sua soluzione? Esamina tutte i cammini che hai percorso e tutte le soluzioni che hai ritenuto di dare ai tuoi problemi e alle tue difficoltà. Quale di esse ti ha lasciato soddisfatto? Perché non provare a vedere se l’unica via e l’unica soluzione sono realmente ciò che pretendono essere? Provando non si perde nulla. Perché pretendere di calmare la sete con acque inquinate che non possono placarla? E con la sorgente così vicino! Una cosa sola placa la sete: l’acqua potabile. Una sola cosa sazia la fame e nutre il nostro corpo: il vero cibo. Una sola medicina cura una determinata malattia. La nostra è sete di felicità perfetta, di verità totale, del Sommo Bene, di amore vero. La nostra è fame di pienezza. La nostra infermità è il peccato e la nostra febbre la concupiscenza… Solo un’acqua è in grado di spegnere la nostra sete; solo un determinato alimento può saziare la nostra fame; solo una determinata medicina può curare la nostra malattia e sedare la nostra febbre: Dio, la sua grazia, i sacramenti, la preghiera. (Carlos Manuel Rodríguez Santiago, Carta a Rafael Angel, Caguas, 25.IV.1955).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-13T23:53:00+02:00da fraternidade
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