Giorno per giorno – 27 Giugno 2010

Carissimi,

“Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9, 51). Giovedì sera, a casa di dona Helena e seu Adalcino, dove la comunità meditava il Vangelo di questa domenica, ci dicevamo che l’espressione del testo originale è assi più forte. Là dove leggiamo: “prese la ferma decisione”, suona invece: “endureceu o rosto”, ovvero “indurì il volto”, per andare verso Gerusalemme. Forse un po’ come fa l’atleta negli attimi di concentrazione che precedono la sua impresa, dove si gioca il tutto per tutto. Lui, però, in vista del trionfo, nel caso di Gesù, per la sconfitta e il fallimento. Nei paragrafi che la liturgia ci propone oggi, l’evangelista Luca riassume l’insegnamento che Gesù rivolge a quanti intendono porsi sul cammino del regno, cioè sul cammino della Croce. Del quale, da subito, i suoi più intimi, gli incorreggibili Giacomo e Giovanni, dimostrano di non aver capito nulla. Tanto che, per il fatto di non essere accolti, in un villaggio samaritano, come si aspettavano (loro, i portatori del nuovo Verbo), vorrebbero già far piovere su di esso fuoco dal cielo. Gesù li redarguirà aspramente (v. 55), ma il suo rimprovero non sembra aver raggiunto le generazioni successive dei cristiani che, spesso, non scendendo il fuoco invocato dal cielo, provvidero ad accenderlo loro stessi sotto i malcapitati che si trovarono a non condividerne la fede e le opinioni o, più verosimilmente, a metterne in pericolo i lucrosi interessi. Né si limitarono al fuoco, dando prova, nella ricerca di castighi, punizioni, vendette, di una creatività degna di miglior causa. Nei tre brevi racconti di vocazione che seguono subito dopo (Lc 9, 57-62), la domanda sottesa è: che cosa ci porta alla sequela di Gesù? Ma, perciò, anche: che figura di Chiesa testimoniamo? Siamo alla ricerca di un nido protettivo dove pigolare giorno e notte o comunque ripararci dai mali del mondo, o, ancora, e sarebbe peggio, di una tana, in cui nasconderci, come volpi, dopo (o in vista di) rapine, saccheggi e prepotenze? Poveri noi! Gesù, che è il nostro cammino, è una strada a cielo aperto, senza case, protezioni, né soste o riposo. È, semmai, Lui (cioè anche noi) che si fa (siamo chiamati ad essere) per gli altri – quanti non sono chiesa – accoglienza, rifugio, ristoro. E, quanto alle volpi del potere, lo stesso Gesù non esiterà a ribadire l’incolmabile fossato che separa ogni volta il loro istinto omicida dalla Sua pratica, che esprime la cura e la liberazione da ogni forma di male e di oppressione, fino alla morte. E a costo di essa (cf Lc 13, 32). Altro che trastullarsi o mercanteggiare con loro. Che cosa ci fa poi ritardare la sequela? Che si intende con quel padre morto che vorremmo seppellire (v.59), tributandogli così l’onore che riteniamo di dovergli, se non l’elemento di una struttura di potere che vogliamo salvaguardare, in modo da potercisi poi comodamente installare, per operare, certo con la migliore delle intenzioni, “ad maiorem Dei gloriam”? No, il Regno di Dio, che è pace, servizio, giustizia, dono di sé, svanisce subito, se diamo spazio a questi atteggiamenti. Lasciamo dunque a chi è già “morto dentro” il compito di seppellire ed onorare – e perciò perpetuare – questi strumenti che cospirano contro la vita del mondo. E, infine, aggiunge Luca, c’è chi vorrebbe avere almeno il tempo di congedarsi dai “suoi”. E questi “suoi” sono quei vincoli di sangue, di nazionalità, di cultura, di religione, persino di chiesa, che pretendono incatenarci al nostro passato, non vissuti, perciò, come eredità viva da portare quale dono all’incontro con gli altri, ma come identità statiche, barriere di separazione, di diffidenza, di antagonismo e di odio, capaci con il loro richiamo di distoglierci presto dal lavoro faticoso, esigente, che richiede tutto il nostro sforzo e la nostra attenzione, di aprire nella crosta dura della terra i solchi cui affidare i semi del lieto annuncio e della testimonianza del Regno. Già, quale Chiesa vogliamo essere? Saremo capaci di indurire il volto e di inoltrarci nel cammino verso le Gerusalemme del nostro tempo, sfidandone i poteri, liberi e nudi, senza altro potere che quello del dono di noi stessi per la vita degli altri?

 

I testi che la liturgia di questa 13ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono  tratti da:

 

1° Libro dei Re, cap. 19,16.19-21; Salmo 16; Lettera ai Galati, cap. 5,1.13-18; Vangelo di Luca, cap. 9, 51-62.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.   

 

Oggi è anche memoria di un martire piccolo, oscuro, di quelli che, forse, non entreranno mai nei martirologi ufficiali della Chiesa: Juan Pablo Rodriguez Ran, pastore che diede la vita per il suo gregge.

 

27 Coban Guatemala.jpgJuan Pablo era un prete indigeno, parroco nella chiesa di S. Domenico, a  Cobán (Guatemala). La sua predicazione a favore della giustizia e contro l’oppressione della sua gente è considerata “sovversiva” dall’esercito e dalla polizia e il prete è più volte avvertito che conviene “smetterla di sollevare il popolo” perché gli squadroni della morte lo stanno cercando. Di queste minacce sono al corrente anche gli altri preti della parrocchia e perfino il suo arcivescovo, che lo consiglia di mettersi calmo e tranquillo. Ma come restare calmi e tranquilli davanti alla sofferenza di tutto un popolo?  La morte lo coglierà significativamente, al termine di un’Eucaristia, mentre torna in canonica. “Persone in uniforme militare” trasportate da un camion verde oliva (come gli automezzi dell’esercito)  con la targa coperta, gli sparano per strada, uccidendolo brutalmente. Era il 27 giugno 1982.

 

Il Vangelo di oggi, con il viaggio per Gerusalemme, la croce, la sequela di Gesù, la sua (e, sperabilmente, la nostra) ferma decisione. E, perciò anche le esperienze terribilmente serie e drammatiche e le persone che ne sono state o vi si sono coinvolte (come Juan Pablo Rodriguez Ran), ma pure chi si contenta, come noi, di molto meno, persino un po’ frane, come si diceva un tempo, e che, un giorno o l’altro, gli capiterà di esserlo un po’ meno. Una nostra amica di Milano ci ha regalato di recente un libro di Paolo Giuntella, dal titolo “Strada verso la libertà” (Paoline), da cui prendiamo un pezzo della preghiera che lo chiude. Dove si chiede ciò che ci manca, con la speranza che Lui ce lo conceda, mica tanto per noi, ma per far fare bella figura a Lui, di cui ci riempiamo così spesso la bocca. E gli altri che dicono: ma come? Beh, ve l’offriamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Signore, dammi il senso dell’ironia / per non prendermi troppo sul serio / e il senso dell’umorismo per ridere / delle mie fragili certezza e non accorgermi in ritardo / – come Heinrich Böll teme, e non a torto, / per teologi e sociologi -, / dopo quindici minuti, / che la parusia è già avvenuta. / Dammi la capacità di far ridere le persone / che sono nel pianto; / il coraggio di diffidare dei “buoni” / e di tutti coloro / che non sentono il bisogno di convertirsi, / e di amare i “cattivi”; / il coraggio di sentirmi peccatore tra i peccatori, / assetato di libertà, giustizia e felicità, / tra gli assetati di libertà, giustizia e felicità, / affamato di pace tra gli affamati di pace, / mite con tutti anche quando sono molto arrabbiato, / puro di cuore anche quando sto in mezzo ai cinici / e il cinismo farebbe fare un salto alla  mia carriera. / Signore, concedimi un po’ di coraggio / e un po’ di caparbietà, per conservare la schiena dritta, / la forza di dire “no”, senza paura, quando occorre, / “sì” senza timore, quando è necessario. / Dammi, o Signore, la mitezza, l’umiltà, la capacità / di chiedere e ascoltare consigli, / di imparare da tutti. / Dammi la curiosità intellettuale, / per continuare a cercare. Cercare il tuo Volto. / Cercare il mistero dell’Eterno e del finito, / dell’umano e dell’Infinito. / E dammi soprattutto la curiosità spirituale, / per cercare di capire, dietro ogni volto, ogni sguardo, / l’unicità irripetibile della persona umana, / la profondità dei suoi segni interiori, / la sua dignità, i suoi bisogni non rivelati. / Dammi, o Signore, la capacità di capire / le domande di chi non fa domande, / la capacità di servire chi non chiede di essere servito, / la capacità di amare chi non chiede di essere amato. / Signore, insegnami ad agire più che a parlare. / Signore, insegnami a sostenere con pacatezza, con mitezza, / senza trinciare giudizi, la radicalità della tua Parola / e le conseguenze che dovrebbe creare tra i cristiani. / Signore, insegnami ad amare le differenze, l’ecumenismo, / i suoni e i colori che non mi appartengono, / le ragioni che non mi appartengono, / l’adorazione della verità dell’unico Padre. / Amen. (Paolo Giuntella, Strada verso la libertà).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.      

Giorno per giorno – 27 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-27T23:45:00+02:00da fraternidade
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