Giorno per giorno – 24 Giugno 2010

Carissimi,

“Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: Giovanni è il suo nome. Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio” (Lc 1, 62-64). Fosse per noi, i figli si chiamerebbero tutti come i padri, i nonni e i bisnonni. Perché la logica che prevale è quella dell’avanti adagio, quasi fermi, anzi, indietro è meglio. Del tipo, quando è il caso, “non sento, non vedo, non parlo”. Perché non si crede più a nulla. O quasi. Persino se viene qualche angelo a dirci che un altro mondo è possibile. Per questo i vicini di Elisabetta e Zaccaria si meravigliano che non vogliano chiamare il loro piccolo Zaccaria. Con i piedi ben piantati nel passato (e nel presente colluso con esso). Mentre Dio, se e quando gli si dà ascolto, sconvolge tutti i piani: “Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5). Chiamare un figlio Giovanni – “Dio  è benevolo” – significa che ci fidiamo di Lui e che perciò possiamo consegnarlo alla storia, alla vita, con tutta tranquillità. Sapendo che a noi basterà che questo figlio (che è anche il nostro personale futuro che generiamo ad ogni momento) faccia onore a quel nome. E potremo allora benedire Dio. Anche se lui potrà conoscere, Dio non voglia, una brutta fine. Perché essere espressione della benevolenza di Dio per i suoi poveri, darà fastidio a molti che, i poveri, sono abituati a metterseli sotto i piedi.  Questa è stata la storia di Giovanni Battista. Questa potrebbe – dovrebbe – essere la nostra. Sempre che accettiamo di chiamarci Giovanni.

 

Oggi, dunque, è la festa del Natale di Giovanni il Precursore.   L’unico santo (assieme alla madre di Gesù), di cui si celebri la natività, oltre che il giorno natalizio alla vita del cielo. La sua vicenda ci è nota attraverso le pagine dei Vangeli sinottici e di quello di Giovanni. Il racconto della nascita nel Vangelo di Luca è ricco si simbolismi, che sottolineano la straordinarietà del personaggio in ordine alla figura di Cristo.

 

24_NASCIMENTO_DE_JO_O.JPGFiglio della vecchiaia e della sterilità del sacerdote Zaccaria e di Elisabetta, Giovanni (il cui nome significa Dio è benigno) è cugino di Gesù. Ritiratosi nel deserto di Giuda (dove, forse, viene a contatto con la comunità essena di Qumran), vi  inizia il suo ministero profetico, annunciando la prossimità del regno, l’imminenza del giudizio, e invitando al battesimo e alla conversione. Il messia delle sue attese è il giudice che battezza con il fuoco e con lo Spirito Santo, e separa il grano dalla paglia. Gesù entra nella sua cerchia ed è da lui battezzato. Giovanni riconosce in lui l’agnello di Dio e da qui inizia la missione autonoma di Gesù e la chiamata dei primi discepoli. Arrestato per ordine di Erode Antipa a causa dei ripetuti rimproveri mossi pubblicamente da lui nei confronti della condotta immorale del sovrano, Giovanni è imprigionato. Dal carcere, colto da qualche dubbio sulla messianicità di Gesù, così diversa da quella che aveva predetto, invia messaggeri al maestro di Nazareth per essere da lui rassicurato (Mt 11, 2-6). La risposta fornitagli gli chiarisce il carattere della visione messianica di Gesù. Giovanni viene, poco dopo, fatto decapitare da Erode, dietro richiesta della moglie Erodiade e della figliastra Salomé.   

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.49, 1-6; Salmo 139; Atti degli Apostoli, cap.13, 22-26; Vangelo di Luca, cap.1, 57-66.80.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Oggi il calendario ci porta anche la memoria di Vincent Lebbe, apostolo tra i cinesi.

 

24 Vincent-Lebbe.jpgVincent Lebbe era nato a Gand, in Belgio, nel 1877 e aveva maturato la sua vocazione a missionario in Cina prestissimo, addirittura a undici anni. In Cina, di fatto, ci arrivò a tempo di record, subito dopo essere stato ordinato prete nella Congregazione della Missione (Lazzaristi), assumendo il nome di Lei-Ming-Yuan e  propugnando, da subito, un metodo di evangelizzazione nel più assoluto rispetto della cultura locale, lontano da ogni imposizione di schemi di vita europei. Invece della sottana da prete, prese a vestirsi come un comune manovale cinese, compreso il tradizionale codino. Sosteneva inoltre la necessità di sviluppare una chiesa interamente cinese, con clero e vescovi autoctoni, fuori da ogni dipendenza dalla cultura e dominazione europea e per questo subì, con grande dignità e senso dell’obbedienza, ogni tipo di irrisione, umiliazioni, denigrazioni e continui trasferimenti. La sua attività, in ogni caso non conobbe sosta. Fondò il quotidiano Ichepao e alcuni altri periodici. Istituì la Société des Auxiliaires des Missions, i Piccoli Fratelli di San Giovanni Battista e le Piccole Sorelle di Santa Teresa, esponendo  i principi della sua attività missionaria in Annales de la Mission. Quando si rese conto che era giunto il momento di un nuovo e decisivo passo, si recò a Roma e chiese udienza al papa Pio XI, ottenendo la nomina dei primi sei vescovi cinesi. Gli altri, i vescovi europei, gridarono al tradimento, ma non poterono farci nulla. Lui, ormai naturalizzato cinese, tornato in patria, quella scelta da lui, si dimise dalla Congregazione della Missione e entrò in quella da lui fondata. Stremato dalla fatica di tante iniziative, morì a Nanchino il 24 giugno 1940. Il governo cinese, dichiarando un giorno di lutto, volle onorare in Lei-Ming-Yuan (Tuono-che suona- a distanza), un grande cristiano e un grande patriota.

 

Noi, la partita con la Slovacchia, non l’abbiamo vista. Ma che sarebbe finita così, lo sapevamo. Come voi del resto. Alcuni dei nostri, a dire il vero, si sono ostinati sino alla fine a tifare per l’Italia. Anche perché se ne fanno un’immagine a partire da quelli che ci vengono a trovare qui. Ma il Belpaese è, oggi, un po’ diverso. O, almeno, noi lo leggiamo così. Un paese, in larga misura, passivo, spento, sfiduciato, demotivato, vecchio, senza saggezza e senza speranza (come Zaccaria, appunto). Incapace di grinta, di gridare un “no, non ci stiamo”, di generare figli, di darsi, cioè, o di cominciare a immaginare, un futuro diverso. I vostri, là in Africa, erano soli e, lo dicevamo stasera, parlandone con Rafael e gli altri, l’impreparazione, l’approssimazione, gli errori tattici e strategici, è evidente anche a chi di calcio ne capisce meno di niente, che stavano prima di tutto incoscientemente a significare: chi stiamo rappresentando qui? Le goliardate sull’inno nazionale, sulla bandiera, sul tifo “contro” erano poi solo le miserabili espressioni di animi incattiviti e di spiriti incapaci che giocano su ogni cosa allo sfascio. Aspettando e affrettando il naufragio.   

 

Beh, a dire il vero, avremmo altre cose da raccontarvi, ma, per stasera, ci siamo dilungati anche troppo. Le riserviamo così, sempre che ci riesca, a domani. Intanto ci congediamo, lasciandovi a una citazione dell’abate cistercense Guerric d’Igny (1070-1157), tratta dal suo Sermon 1 pour Saint Jean-Baptiste”, che è, per oggi, il nostro

  

PENSIERO DEL GIORNO

Molto vicino alla fonte, si ergeva quel nobile cedro – voglio dire Giovanni, cugino e amico dello Sposo (Jn 3,29), precursore, battezzatore e martire del Signore. Così, abbondantemente irrorato, divenne sì grande da non potersene trovare di tanto alti tra i nati di donna (Mt 11,11). Egli era estremamente vicino al Salvatore; infatti, non solo i legami del sangue l’univano a lui e quelli dell’amicizia ne facevano il suo intimo, ma, di più, gli si avvicinava quant’altri mai tra i mortali a causa del suo annuncio glorioso, per la novità della nascita, della sua santità quasi originale, della predicazione tanto simile, del suo potere di battezzare, e infine, della sua coraggiosa passione. Da ultimo, anche se tutto il resto mancasse e se tutti gli oracoli profetici lo passassero sotto silenzio, la sola «grazia» del suo nome che l’angelo aveva indicato prima del suo concepimento (Lc 2,21), sarebbe largamente sufficiente a testimoniare la grazia singolare che Dio li avrebbe comunicato. In effetti, per predicare la grazia di Dio, diffusa dalla Piena di grazia, era necessario un uomo pieno di grazia; era anche conveniente che la grazia brillasse in maniera straordinaria in colui che era destinato a segnare il limite tra il tempo della Legge e il tempo della Grazia. Fino a Giovanni, infatti, la Legge e i Profeti hanno profetato (Mt 11,13 Lc 16,16), ed egli fu il primo a rivelare la presenza di Colui del quale la Legge e i Profeti annunciavano la venuta. Quindi, è a giusto titolo che la nascita di quel bambino (Lc 1,14), concesso a genitori ormai vecchi e che veniva a predicare al mondo senescente la grazia di una nuova nascita, è a giusto titolo, dicevo, che essa fu allora per molti, come resta del pari oggi, causa di gioia. È parimenti a giusto titolo che la Chiesa solennizza questa nascita, operata in modo mirabile dalla grazia, e di cui la natura non può non meravigliarsi. In quella nascita, infatti, essa si vede accordato in anticipo un pegno sicuro di quell’altra nascita in cui la grazia restaurò la natura. La Chiesa non si dimostra ingrata, né smemorata, essa riconosce fedelmente con quale devozione e quale riconoscenza occorre accogliere il precursore che le ha fatto conoscere il Salvatore in persona. (Guerric d’Igny, Sermon 1 pour Saint Jean-Baptiste).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-24T23:53:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo