Giorno per giorno – 24 Maggio 2010

Carissimi,

“Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi! Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni” (Mc 10, 21-22). Terminato il Tempo Pasquale e ritornati al Tempo Comune, riprendiamo la lettura del Vangelo di Marco, che avevamo interrotto all’inizio della Quaresima, e che ora ci farà compagnia per due settimane. Sarà poi la volta di Matteo, che ci acompagnerà per dodici settimane, e poi di Luca, per tredici. Ogni volta che ascoltiamo la storia di questo ricco che, tutto animato, si fa incontro a Gesù e gli chiede cosa deve fare per avere la vita eterna, e che, però, se ne va via subito triste, quando Gesù  gli chiede ciò che gli deve essere parso impossibile, noi non riusciamo a non essere, almeno un po’, solidali con lui. Sì, Gesù, chiede davvero troppo. E se lo diciamo noi, che pure non possediamo tantissime cose, chissà cosa non dev’essere sembrato a lui, poveretto!. Eppure, Gesù parlava sul serio, mica voleva provocare. Il Vangelo annota che l’aveva guardato a fondo e l’aveva amato. Questo è uno di quelli, deve avere pensato, che ha capito tutto, uno dall’anima grande e generosa. Evidentemente l’infallibilità non fa per Dio. Almeno per il Dio fatto uomo. Visto che il tipo ha girato subito i tacchi e si è allontanato. Noi, ci siamo detti, avremmo fatto esattamente la stessa cosa. Tristi, certo, perché la compagnia di Gesù piace a tutti, almeno a prima vista. Però, insomma, bisogna essere realisti. Del resto Gesù, in un primo momento non aveva chiesto grandi cose. Gli aveva ricordato i comandamenti, neanche tutti, solo quelli che riguardano le buone relazioni con il prossimo. Come dire che il buon Dio è disposto a farsi da parte, a non esigere ciò che gli dovremmo se non altro per debito di riconoscenza, però non riesce a fare a meno che i suoi figlioli si rispettino reciprocamente e si vogliano bene. Beh, a grandi linee, questo non dovrebbe riuscire difficile neanche a noi. I comandamenti di non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, ecc., non riusciamo a ricordare di averli trasgrediti anche solo poche volte. E la storia poteva finire lì, per lui e per noi. Lui, invece, ha pensato bene di insistere, di dar voce a quell’insoddisfazione che ogni tanto prende anche noi e ci porta a dire: sì, ma non basta. Ed ecco il tranello. È chiaro, si fa per dire. Eppure è il salto che ci manca per entrare nel Regno. “Quanto è difficile per i ricchi entrare nel regno di Dio”. Maria do Rosário scuote la testa e dice: no, no, io conosco dei ricchi che sono proprio brave persone! E Dominga, la mamma di Daniela, le dà ragione: anch’io, anch’io. Prendete per esempio João Barro, aiutava tanta gente, ha aiutato anche la mia famiglia. , però, fa: Chi, João Barro?  Ma se è quello che ha rubato la terra di mia nonna! Dunque, sui ricchi concreti, con nome e cognome, le idee sono controverse, ma il problema, forse, non sta lì. I ricchi, poveretti, possono anche essere sant’uomini, da un certo punto di vista. Ma, entrare nel Regno, è un’altra cosa. Entrare nel Regno, non è entrare in Paradiso. Da cui, alla fine, i poveri non sapranno lasciarli fuori, incapaci come sono di serbare rancore troppo a lungo; ma nel regno, qui e adesso, sono i ricchi a non volerci entrare. E qualche volta anche i poveri. Perché si tratta di cambiare la mente, il modo di vedere le cose, il cuore. Questo implica una tale rivoluzione, esige una tale radicalità, che il socialismo in tutte le sue salse risulterebbe una cosa di estrema destra. Sicché la conclusione non può che essere quella dei discepoli: Ma, allora, nessuno può essere salvato, nessuno può essere liberato da questo demone della proprietà, che ci impedisce di compiere il passo decisivo! Sì, impossibile. Agli uomini, però, non a Dio. Come dire: lo Spirito Santo spira, ispira e cospira. Alla fine, qualcosa succederà pure. Ottimista di un Dio!

 

Oggi noi si fa memoria di Susanna, John e Charles Wesley. La data, contrariamente a ciò che in genere facciamo, non ricorda il loro  dies natalis, il giorno cioè del loro passaggio all’eternitá, ma quello della “rinascita” di John Wesley, celebrata anche nella Comunione Anglicana.

 

24 Susanna Wesley.jpg24JOHN WESLEY.jpg24 Charles Wesley.jpgSusanna, venticinquesima figlia di Samuel Annesley, era nata nel 1669 e, ventenne era andata sposa a Samuel Wesley (1662-1735), pastore della Chiesa d’Inghilterra, a cui avrebbe dato quindici figli, tre soli dei quali sopravvissuti: Samuel, nato il 10 febbraio 1690,  John, il 28 giugno 1703, e Charles, il 18 dicembre 1707. Di lei si racconta che, durante le frequenti assenze del marito, aveva preso l’abitudine di invitare  a casa familiari e  vicini per leggere la Scrittura e i suoi commentari, riuscendo in poco tempo a riunire più di duecento persone. Il fatto non mancò di suscitare la reazione gelosa del curato, che non sopportava l’idea che una donna potesse prendere simili iniziative. Scrisse perciò al di lei consorte, perché la richiamasse all’ordine. Questi gli rispose: Reverendo, io mi sarei aspettato che Lei, ponendo il problema, avrebbe anche prospettato la soluzione più ovvia, e cioè che andasse Lei, il sabato sera, a leggere i sermoni a casa mia. Ma se non vuole far questo, mi metta ben chiaro per iscritto il divieto esplicito al proseguimento di questa iniziativa. Io mi premurerò di presentarlo a Chi di dovere, quando saremo chiamati io e Lei al supremo tribunale di nostro Signore Gesù Cristo!  Pare che il curato non se la sia sentita di replicare. Nacque così di fatto la pratica del metodismo, che John e Charles appresero dunque dalla madre. Susanna morirà, poco più che settantenne, il 23 luglio 1742. Tornando a ritroso nel tempo, quando John fu mandato a studiare a Oxford, dovette presto fare i conti con lo scetticismo religioso dell’ambiente studentesco. Per resistere ad esso, assieme al fratello Charles e alcuni amici, costituí un’associazione con regole molto esigenti: tutti i membri si impegnavano a studiare “metodicamente” la Bibbia, a partecipare settimanalmente alla Santa Cena, ad essere generosi nell’aiuto ai poveri. Scherzosamente furono chiamati il “Santo Club” o anche “metodisti”, nome che sarebbe rimasto in seguito al movimento wesleyano. Divenuto pastore, John entrò presto in contatto con i fratelli Moravi, e per loro tramite con il Pietismo tedesco e la  tradizione luterana. Nella notte del 24 maggio 1738, ascoltando la prefazione di Lutero alla Lettera ai Romani,  Wesley visse una straordinaria esperienza spirituale: “sentì” con profonda commozione del cuore che Cristo gli aveva perdonato i suoi peccati e decise che a partire da allora avrebbe collocato solo in Cristo la sua speranza di salvezza. Abbandonate le antiche posizioni ritualiste, dedicò tutta la sua vita a diffondere un’esperienza religiosa centrata sulla scoperta dell’amore di Dio, del perdono e della salvezza gratuita. Apertamente osteggiato dalla gerarchia della chiesa anglicana, aprí il ministero della predicazione ai laici, quale logica conseguenza della dottrina del sacerdozio universale dei fedeli. Diresse le sue attenzioni soprattutto alle grandi periferie proletarie, inaugurando così l’unione tra predicazione e opere sociali, tipica del Metodismo. Davanti alle esigenze dell’azione missionaria, lui, semplice pastore, cominciò ad ordinare altri pastori. Per cinquant’anni si dedicò interamente alla predicazione itinerante. Morì il 2 marzo 1791. Charles, dal canto suo, si dedicò soprattutto alla composizione di inni: ne scrisse circa 6500, fino alla morte, avvenuta il 29 marzo 1788. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera di Pietro, cap. 1,3-9; Salmo 111; Vangelo di Marco, cap. 10,17-27.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

Beh, noi si aveva un altro po’ di cose da dire e da commentare. Ma, stasera, l’abbiamo già fatta lunga e, domani, magari, le avremo già dimenticate. Ma non fa nulla: il mondo va avanti lo stesso, e noi e voi anche. Certo che voi siete messi maluccio con il governo che vi ritrovate. Altrove, è vero, non va mica molto meglio. Però è consigliabile stare all’erta e vedere di darsi una mossa. Per evitare poi di piangere sul latte versato.

 

Intanto, noi ci congedamo qui, lasciandovi al brano di un’omelia di John WesleySul Discorso di Nostro Signore sulla Montagna”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Chiunque tu sia, al quale Dio ha concesso di essere “povero in ispirito”, che ti senti perduto, acquisisci ora il diritto, mediante la promessa benigna di Colui che non può mentire. Esso è stato acquistato per te dal sangue dell’Agnello. Ti è vicinissimo e tu ti trovi sul limitare del cielo! Un altro passo ed entri nel regno della giustizia, della pace e della gioia! Sei ancora nel peccato? “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Non sei santificato? “Abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo, il giusto” (1Gv 2, 1). Sei incapace di liberarti anche dal minimo dei tuoi peccati? “Egli è la propiziazione per… (tutti i tuoi) peccati” (1Gv 2, 2). Credi ora nel Signor Gesù Cristo e tutti i tuoi peccati saranno cancellati! Sei totalmente impuro nell’anima e nel corpo? Qui c’è “una fonte aperta… per il peccato e per l’impurità” (Zc 13, 1).  “Levati, e sii… lavato dei tuoi peccati” (At 22, 16). Non dubitare più della promessa divina con la tua incredulità! Dà gloria a Dio! Osa credere! Grida ora dal profondo del tuo cuore: “Sì, mi arrendo, mi arrendo alfine, /  ascoltando il Tuo sangue che parla; /  mi getto, con tutti i miei peccati / sul mio Dio espiatore!”. Allora tu impari  da Lui ad essere “umile di cuore”. E questa è la vera, genuina umiltà cristiana che scaturisce dall’amore di Dio, il Quale si è riconciliato con noi in Cristo Gesù. La povertà di spirito, in questo significato del termine, comincia dove viene meno il senso di colpa e dell’ira divina, per dar spazio al sentimento continuo della nostra totale dipendenza da Lui per ogni buon pensiero o parola o opera; della nostra totale incapacità nei confronti di ogni forma di bene, senza il suo aiuto ad ogni istante, e con l’avversione per le lodi degli uomini, sapendo che ogni lode è dovuta soltanto a Dio. (John Wesley, Sermon 21, “Upon Our Lord’s Sermon on the Mount, 12-13).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Maggio 2010ultima modifica: 2010-05-24T23:34:00+02:00da fraternidade
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