Giorno per giorno – 17 Maggio 2010

Carissimi,

“Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me” (Gv  16, 32). Era tutto previsto, ci dicevamo stamattina, e non solo riguardo ai discepoli, anche rispetto a noi. Gesù ci avverte, perché non ci si lasci sommergere dai sensi di colpa, che non servono a nulla. Ma si ritrovi, presto, la pace, in lui. E, con essa, l’impegno a rimetterci all’opera. Sì, la sua sequela è un cammino esigente, e, proprio quando noi siamo convinti di aver capito tutto e di essere decisi a tutto, ecco che cadiamo, ci disperdiamo, lo lasciamo solo. Dobbiamo, però, stare attenti a non farne un discorso spiritualista, slegato dalla trama di relazioni concrete che viviamo o che dovremmo vivere. Perché “Gesù” è il contrario della fuga (anche nelle stratosfere dello spirito) e della dispersione, nella forma dell’indifferenza o della semplice distrazione, ed è il contrario del lasciare l’altro solo. Egli è in qualche modo, ma nello stesso tempo infinitamente di più, avere coscienza di quanto scriveva John Donne nella sua Meditazione 17: “Nessun uomo è un’isola, / completo in se stesso; / ogni uomo è un pezzo del continente, / una parte del tutto. / Se anche solo una zolla / venisse lavata via dal mare, / l’Europa ne sarebbe diminuita, / come se le mancasse un promontorio, / come se venisse a mancare / una dimora di amici tuoi, / o la tua stessa casa. / La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, / perché io sono parte dell’umanità. / E dunque non chiedere mai / per chi suona la campana: / suona per te”. Gesù è questo atteggiamento di suprema concentrazione sull’altro, nella dimensione, sempre e solo, dell’amore e del perdono. Essere in Dio è sentirsene raggiunti, per, subito dopo, farlo nostro. Ci riusciremo mai? Il Vangelo di oggi non si limitava tuttavia a questo, aggiungeva infatti: “Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (v.33). Il discepolo di Gesù non può starsene tranquillo, almeno finché ci sono in giro “tribolazioni”: lui è quello che ha avuto in dono un “di più” di coraggio, per assumerle e dimostrare che, ogni volta, magari proprio quando meno ci se l’aspetta, Lui, il Principio della Cura, vince, cioè, ha la meglio sul mondo, sul sistema iniquo che ci governa.

 

Il calendario ci porta oggi la memoria dei 29 Martiri di Shimabara e Unzen, in Giappone.

 

17 UNZEN.jpgNel secolo XVI il Giappone era nominalmente governato da un imperatore, ma di fatto era diviso in 76 feudi, a capo di ognuno dei quali c’era un daimyô (feudatario). A partire dal 1568, uno di essi, Oda Nabunaga era riuscito a impadronirsi di alcuni territori vicini, dando così inizio al processo di unificazione dell’Impero del Sol Levante. Sotto il suo governo, i missionari, giunti nel Paese vent’anni prima, ebbero modo di lavorare efficacemente  all’evangelizzazione delle popolazioni shintoiste e buddhiste. Le cose cominciarono a cambiare quando, con l’assassinio di Oda, nel 1582, assunse il potere Toyotomi Hideyoshi, un suo generale. Questi, nel 1587, emanò un editto, in seguito ritirato e poi reiterato, che ordinava l’espulsione di tutti i missionari. Se nel primo decennio del secolo XVII, i cristiani riuscirono tutto sommato a vivere tranquilli e persino a incrementare il loro numero, l’editto emesso nel 1614 dallo shôgun Hidetada bollava inesorabilmente il cristianesimo come “jakyô” (religione malvagia). Questo significava il definitivo allontanamento dei missionari, la distruzione delle chiese e il forzato ritorno all’antica religione dei cristiani. Nel 1622 lo shôgun Tokugawa Iemitsu iniziò una violenta persecuzione contro chi si ostinava a restare cristiano. Fu in queste circostanze che, nel feudo del daimyô Matsukura Nobushige, nelle date del 21 e 28 febbraio e del 17 maggio, 29 cristiani, tutti laici, uomini, donne e un bambino, imprigionati e torturati nei giorni immediatamente precedenti, vennero messi a morte. Del gruppo facevano parte Paolo Uchibori Sakuemon (sposato), con i tre figli Baldassarre, Antonio (18 anni) e Ignazio (5 anni); Gaspare Kizaemon, Maria Mine, con il marito Gioacchino Mine Sukedayu, Gasparre Nagai Sônan (sposato), Ludovico Shinzaburô, Dionisio Saeki Zenka con suo figlio Ludovico, e il nipote Damiano Ichiyata (sposato), Leo Nakayama Sôkan con suo figlio Paolo, Giovanni Kizaki, Giovanni Heisaku (sposato), Tommaso Shingorô, Alessio Shôhachi, Tommaso Kondo Hyôuemon (sposato) e Giovanni Araki Kenshichi, Paolo Nashida Kyûri, Maria, Giovanni Matsutaki, Bartolomeo Baba Hanuemon, Luigi Sukeuemon, Paolo Onizuka Magouemon, Luigi Hayashida Sôka con la moglie Maddalena e il figlio Paolo.

 

I testi che la liturgia odierna propona ella nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.19, 1-8; Salmo 68; Vangelo di Giovanni, cap.16, 29-33.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Farsi carico delle tribolazioni altrui, di volta in volta,  guerre, fame, persecuzioni, violenze, sfruttamento, miseria, intolleranza, e quant’altro: è ciò che è chiesto ai discepoli di Gesù, a costo del sacrificio della vita. Che, per usare le parole di Bonifacio di Crediton in una sua lettera al collega Cuthbert, arcivescovo di Canterbury, equivale all’invito a non essere “cani muti” o “mercenari che fuggono davanti ai lupi”. Il martirio cristiano, la vera testimonianza resa a Gesù, consiste in questo, nell’ergersi a difesa dei piccoli, degli ultimi, degli esclusi. Come a dire: “Ehi, amico, giù le mani da mio fratello!”. E ogni altro è mio fratello. Chissà che a forza di ripetercelo (e ripeterglielo), si arrivi un giorno davvero a praticarlo (e ad ottenerlo). Della lettera che abbiamo appena menzionato, vi proponiamo, nel congedarci, un brano come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La Chiesa, simile ad una grande nave, solca le acque del mare del mondo. Essa è assalita dai vari ed innumerevoli flutti delle prove della vita. […] Teniamoci saldi nella giustizia e prepariamo le nostre anime alla prova, affinché possiamo osservare i termini che Dio ci ha imposti, e dirgli: O Signore, tu fosti per noi rifugio di generazione in generazione (Sal 90, 1). Abbiamo fiducia in colui che ci ha affidato il peso che portiamo. Ciò che non possiamo portare con le nostre sole forze, portiamolo per mezzo di colui che è onnipotente e che ha detto: Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero (Mt 11, 30). Risorgiamo per la battaglia nel giorno del Signore, perché sta per avvicinarsi un tempo di prove e di angosce. Moriamo, se Dio lo vuole, per le sante leggi dei Padri nostri, onde acquistarci il merito di poter prendere parte con loro all’eredità eterna. Cerchiamo di non essere dei cani muti, delle sentinelle silenziose, dei mercenari che fuggono davanti ai lupi. Cerchiamo invece di essere dei pastori all’erta, che vigilano sul gregge di Cristo e che proclamano la volontà di Dio tanto al misero quanto al potente, al ricco come al povero, agli uomini di ogni condizione e di ogni epoca, opportunamente e no, nella misura in cui Dio ce ne darà la forza. (Bonifacio di Crediton, Lettera a Cuthbert di Canterbury).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Maggio 2010ultima modifica: 2010-05-17T23:24:00+02:00da fraternidade
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