Giorno per giorno – 01 Aprile 2010

Carissimi,

“Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: Signore, tu lavi i piedi a me? Rispose Gesù: Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo. Gli disse Pietro: Tu non mi laverai i piedi in eterno! Gli rispose Gesù: Se non ti laverò, non avrai parte con me. Gli disse Simon Pietro: Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!” (Gv 13, 6-9). Era, dice Giovanni, “prima della festa di Pasqua” (v.1), durante la cena (v.2), quella cena pasquale che Gesù deve aver voluto anticipare di un giorno, immaginando il precipitare degli eventi, al tramonto del 13 di Nissan, quando si entra nel 14. Un giovedì sera, il trentuno di marzo dell’anno 33, secondo il nostro calendario. E, a partire da lì, in poche ore, si sarebbe consumato tutto: il lungo commiato e le ultime istruzioni ai discepoli, l’agonia nel Getzemani, l’arresto, le varie fasi del processo farsa, la crocifissione, la morte, la sepoltura. In tal modo, al tramonto del giorno successivo, all’entrata nel 15 di Nissan, primo plenilunio di primavera, tutti i religiosi, dai sommi sacerdoti all’ultimo dei fedeli, si sarebbero potuti mettere a tavola per consumare allegramente la loro pasqua. Molti, probabilmente, puri e, presumibilmente, con la coscienza a posto. Altri assai meno, per quel che era avvenuto in quel breve arco di tempo. Noi, questo Vangelo, e i racconti della Cena, presentati dai sinottici e da Paolo nella sua lettera ai Corinzi (il racconto più antico), li abbiamo letti e approfonditi con gli amici della Chácara di recupero, nel pomeriggio.  Dunque Simone, quando Gesù si accinge a lavargli i piedi, non ci sta. Ed è una ripulsa che segue la stessa logica del rifiuto da lui opposto alla previsione della fine violenta di Gesù, a Cesarea di Filippo, quando il Maestro, che l’aveva appena definito roccia della sua chiesa, gli sibila il suo: Vattene dietro a me, Satana. Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mt 16, 23). Già, la roccia fondativa repentinamente additata come pietra d’inciampo! Eppure, Pietro aveva ragioni da vendere nell’uno come nell’altro caso. Perché noi, Gesù, mica lo si segue per vederlo finire su una croce (con il rischio concreto di finirci, prima o dopo, anche noi). No, lo si segue come gli uomini del mondo seguono Erode, Tiberio, il Barbarossa, Napoleone, Mussolini, Pinochet, Putin, Berlusconi, Bossi. È una lista che potete riempire a piacere. Chiunque si scelga di seguire, lo si fa per conquistarci il nostro posto al sole. O per avere il nostro tornaconto. I discepoli di Gesù non facevano eccezione. Lascia che si insedi il nuovo messia e ci sistemiamo tutti, noi e le nostre famiglie. Ma se il buon Dio, in forma d’uomo, mi s’inginocchia davanti e pretende di lavarmi i piedi, io sono perduto. Perché lui mi ha fatto a sua immagine e somiglianza. E allora, nei miei cromosomi c’è scritto che io pure, – quell’io che Lui ha liberato e vuole libero da ogni schiavitù -,  devo, come scelta di vita, mettermi in ginocchio e lavare i piedi a chi mi è fratello e sorella in umanità. E, questa, non è proprio la vocazione che avevo sognato per me. Anche se continuo a dire di credere in Lui. E, se è destino che non debba far carriera da nessuna parte, possa almeno comandare a casa mia, o magari in sagrestia. Facendo infelici gli altri, ma alla fine anche me. Perché, pensare secondo gli uomini e non secondo Dio non riesce proprio a dare felicità a nessuno. Come, invece, il lavare i piedi. O darsi da mangiare, lasciarsi consumare, versare il proprio sangue, per seguire Gesù anche nel gesto del pane e del vino. Di cui si fa memoria oggi. E sono cose da brividi e da vertigini, per soffermarvicisi anche solo per pochi istanti. Immaginarsi per una vita.       

 

LAVAPÉS.jpgOggi la Chiesa fa memoria della  Pasqua della Cena del Signore. Di quando Gesù volle anticipare simbolicamente ai suoi apostoli il significato della sua morte, dato dal suo libero consegnarsi. Con essa entriamo nel Triduo Santo, che culminerà, la notte di Pasqua, nella “Madre di tutte le Veglie”, attorno a cui ruota e da cui dipende l’intero l’anno liturgico e che dà senso e orientamento alle nostre vite di battezzati. Sempre che non ci siamo nel frattempo battezzati in qualcosa d’altro.  

   

I testi che la liturgia di questa Solennità propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dell’Esodo, cap.12,1-8.11-14; Salmo 116B; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.11, 23-26; Vangelo di Giovanni, cap.13, 1-15.

 

Il calendario ci porta oggi la memoria del frate domenicano Giuseppe Girotti, martire del totalitarismo nazista a Dachau.

 

01 GIUSEPPE GIROTTI.jpgGiuseppe Girotti era nato ad Alba (Cuneo) il 19 luglio 1905,  da una famiglia umile e laboriosa. Giovanissimo, entrò nel seminario domenicano di Chieri (TO) e il 3 agosto  1930 fu ordinato sacerdote. Laureatosi in teologia, a Torino, l’anno successivo, si specializzò all’Ecole Biblique di Gerusalemme. Tornato in patria, insegnò Sacra Scrittura, dedicandosi nel contempo a pubblicare commenti esegetici. L’impegno culturale non gli impedì tuttavia di esercitare il ministero sacerdotale tra i poveri né ridusse il suo orizzonte al chiuso della sua stanzetta. Al contrario, la sua attenzione alla problematica sociale e il suo sguardo critico e severo sulla realtà politica di quegli anni, ne determinò la sospensione dall’insegnamento, il trasferimento e la sorveglianza da parte dell’apparato di sicurezza del regime fascista. Durante la Seconda Guerra Mondiale, egli si prodigò per nascondere e salvare la vita agli ebrei perseguitati. Per questa sua attuazione, il 29 agosto 1944 fu catturato e deportato in Germania nel campo di concentramento di Dachau. Sopportò con pazienza e mansuetudine gli stenti e le violenze che caratterizzavano la vita quotidiana nel campo, dedicando le sue forze residue a confortare gli altri deportati. Fino alla morte, avvenuta il 1º aprile 1945. Il 14 febbraio 1995 è stato riconosciuto “giusto tra le nazioni”, il riconoscimento dato a dallo Stato israeliano a quanti si sono adoperati durante l’Olocausto per la salvezza degli ebrei.

 

Anche per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui con un brano in cui il Patriarca Atenagora parla di Eucaristia e perdono. È tratto dal libro intervista del teologo e scrittore Olivier ClémentDialogues avec le Patriarche Athénagoras” (Fayard) ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

A quanti riducono l’Eucaristia a un semplice pasto fraterno, dobbiamo dire che che un tale pasto, per quanto condiviso nell’amore, non ci impedirà di morire. L’Eucaristia è anzitutto l’unione con il Cristo Risorto. Che ci resuscita. È il pane celeste che già da adesso ci dona la vita eterna. E questa è la ragione per cui essa è, nello stesso tempo, il solo cibo della fraternità totale, anzi più ancora che della fraternità, perché Cristo ci fa “membra gli uni degli altri”, come dice san Paolo, ed Egli ci identifica con la sua carne. Ma le persone non dimenticano il male fatto e subito, soprattutto quando coloro che l’hanno commesso sono individui o collettività ancora vivi. Le persone non dimenticano. E tu non puoi costringerle a dimenticare. Ma se tu deponi le armi, se ti spogli di te stesso, se ti apri al Dio-uomo Gesù Cristo che fa nuove tutte le cose, allora il passato cattivo è eliminato, ed Egli ci concede un tempo nuovo, in cui ogni cosa è possibile. Il perdono è Dio stesso che si incarna, muore sulla croce e risorge nuovamente. Egli ci perdona, e ci mette in condizione di perdonare, perché egli rinnova il tempo, anche il passato. Questo è il mistero del pentimento. Circa il futuro, non possiamo determinarlo. Sappiamo soltanto che nelle nostre vite, come nella storia, la Risurrezione sarà l’ultima parola. Questo è il motivo per cui non abbiamo paura; noi volgiamo i nostri occhi a Dio e poniamo in Lui un’assoluta fiducia circa gli eventi del futuro. Così possiamo accogliere il presente e vivere in esso il più intensamente possibile. Ogni giorno, quando mi alzo, ringrazio per essere vivo e ricevo il nuovo giorno come una benedizione.  E ogni promessa di vita che viene dal passato ed è rivolta al futuro di Dio, io tento di farla crescere oggi, vivendo questo momento in pienezza. Nulla mi turba. Nulla può turbarmi. Sono nelle mani di Dio. Nella sofferenza e nelle difficoltà resta sempre per noi la nuda fede che Dio ci ama con amore infinito. Resta sempre per noi il sangue di Cristo e la tenerezza della sua santissima Madre. Conosco bene quei momenti in cui la situazione è fuori di ogni controllo, e non c’è nulla che si possa fare. Allora, lascio andare completamente il peso della mia debolezza e mi abbandono con fiducia. E scende su di me la pace, quella pace che il Signore ci dà, che supera ogni comprensione. (Olivier Clément, Dialogues avec le Patriarche Athénagoras).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Aprile 2010ultima modifica: 2010-04-01T23:56:00+02:00da fraternidade
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