Giorno per giorno – 17 Marzo 2010

Carissimi,

“In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole” (Gv 5, 19-20). Erci, stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, aprendo gli interventi sul brano del Vangelo di quest’oggi, sottolineava l’importanza del fatto che i genitori insegnino ai loro figli a lavorare fin da ragazzini. Se no, questi crescono nell’ozio e imboccheranno prima o poi una qualche strada sbagliata, pretendendo, in aggiunta, che tutto gli sia dovuto. Questo non è evidentemente successo con Gesù. Il quale ha imparato a lavorare da subito, sia dal Padre celeste, che da quello terreno. Ed è di quello celeste che egli faceva menzione oggi. Ora, che il buon Dio, lavori un po’ anche di sabato, i dottori della Legge lo sapevano bene, dato che la Tradizione orale insegnava che l’Eterno  ha nelle sue mani la chiave della pioggia, della nascita e della risurrezione dei morti. E, come tutti sanno, piove, si nasce e si muore anche di Sabato. Quindi se è vero che Dio “cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” (Gen 2, 2), perché sta scritto nel libro della Bibbia, è anche vero che ogni tanto si concede qualche eccezione, come sta scritto nel libro della vita. Ciò che fa imbufalire gli scribi che insistono nel voler  prendere Gesù in castagna, è il fatto che egli giustifichi il suo operare di sabato con la pretesa di essere figlio di quel Padre. Ed era una vera e propria bestemmia. Avesse detto solo: guardate, ho visto quel paralitico e mi ha fatto una gran pena, così l’ho guarito, l’avrebbero anche capito (altri maestri del tempo la pensavano così). Ma tirare in ballo l’Uno come fosse suo padre era davvero troppo. Suo padre era il carpentiere Giuseppe! Beh, forse, anche per molti di noi, Gesù continua ad essere soltanto il figlio di Giuseppe. Perché noi sperimentiamo ogni giorno, nella trama delle nostre relazioni, che non è ancora diventato vero ciò che Gesù dice: “Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5, 24). “Ha” la vita eterna. Ha la vita di Dio in lui, in lei. E quando mai? Noi moriamo ogni giorno di più, negando, ad ogni piè sospinto, la sua signoria sulle nostre vite. A quanti dei paralitici, degli impediti di ogni genere, dei morti civili, incontrati sulla nostra strada, siamo stati capaci di dire: alzati, cammina, restituendoli ad una vita dignitosa e ad un consesso solidale e fraterno? Se non siamo stati in grado di farlo, è perché noi stessi giaciamo ancora paralizzati al bordo della piscina di Betzaetà, da chissà quanti anni (ciascuno con gli anni che ha) e non abbiamo ancora udito la sua voce che ci introduce nella vita divina e nel suo agire.

 

Oggi la Chiesa fa memoria di Patrizio, evangelizzatore e pastore dell’Irlanda.

 

17 PATRICIO.jpgPatrizio era nato, forse nell’anno 385, nella Britannia romana, e a sedici anni era stato rapito dai pirati che l’avevano venduto come schiavo, in Irlanda, ad un pastore. Dopo sei anni, tuttavia, il giovane era riuscito a fuggire e a imbarcarsi alla volta delle Gallie. Lì, maturata in lui la vocazione per lo stato ecclesiastico, visitò e soggiornò per qualche tempo in alcuni monasteri, preparandosi, poi, all’ordinazione sacerdotale, sotto la guida di san Germano, nella città di Auxerre. Intorno al 432, consacrato vescovo, fu inviato dal Papa ad evangelizzare l’Irlanda. Patrizio prese allora a percorrere l’isola che l’aveva visto prigioniero ragazzino, predicando la Buona Notizia con semplicità nelle categorie culturali proprie di quelle popolazioni. L’impatto deve essere stato straordinario, se è vero che, nonostante l’ostilità dei druidi, prima, e degli eretici pelagiani poi,  alla sua morte, avvenuta nel 461, la quasi totalità della popolazione era passata al nuovo credo. Divenendo in poco tempo una vera e propria fucina di vocazioni sacerdotali e monastiche, che avrebbero raggiunto negli anni successivisi i paesi del vicino Continente. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.49,8-15; Salmo 145; Vangelo di Giovanni, cap. 5,17-30.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la religione, la cultura o la filosofia di vita.

 

Oggi è il compleanno della nostra Maria José che, chi non la conosce si è perso un miracolo di allegria. Ed è anche quello di Gué, cioè l’Antonio Miguel della Valdecí, che ogni tanto sembrano litigare, ma è solo per troppo amore. Metteteli tutti nelle vostre preghiere. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad un brano della Confessione di San Patrizio che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Spero di aver agito come avrei dovuto, ma confesso di non fidarmi di me, almeno finché mi troverò in questo corpo mortale, perché è forte colui che, ogni giorno, si sforza di distogliermi dalla fede  e dalla vera santità a cui aspiro fino alla fine della mia vita, per Cristo mio Signore: la carne ostile trascina, infatti, sempre in basso verso la morte, cioè, verso le attrazioni illecite. Ed io so almeno in parte di non aver avuto una vita perfetta come altri credenti, ma confesso al mio Signore, senza arrossire davanti a Lui, perché non mento, che da quando l’ho conosciuto nella mia giovinezza sono cresciuti in me l’amore e il timore di Dio e fino ad ora,  per grazia di Dio, ho conservato la fede. Quanto al resto, rida chi vuole e mi insulti se gli piace: io non tacerò né nasconderò i segni e i prodigi che, molti anni prima che accadessero, mi sono stati mostrati dal Signore, che conosce ogni cosa, ancor prima dell’inizio del tempo. Così, vorrei rendere grazie a Dio incessantemente, che spesso ha perdonato la mia follia e la mia negligenza, senza, più di una volta, adirarsi violentemente con me, che, pur chiamato ad essere suo aiutante, non ubbidivo prontamente a ciò che mi era stato rivelato e che lo Spirito mi suggeriva. Sicché il Signore ha avuto compassione di me migliaia e migliaia di volte, perché vedeva che ero preparato, ma anche che non avevo chiaro che cosa fare nella situazione in cui mi trovavo, poiché molti cercavano di impedire questa missione. Mi parlavano alle spalle e  dicevano tra loro: “Perché mai costui vuol mettere a repentaglio la sua vita, recandosi tra nemici che non conoscono Dio?” Non lo dicevano per malizia, non lo capivano, come io stesso posso testimoniare, a causa della mia semplicità. Anch’io del resto non ho riconosciuto sollecitamente la grazia che era allora in me e solo adesso so che avrei dovuto farlo prima. Ora, dunque, ho parlato apertamente ai miei fratelli e ai miei collaboratori, che mi hanno creduto a causa di ciò che avevo predetto e predico per rafforzare e confermare la vostra fede. Vorrei soltanto che anche voi faceste maggiori e migliori sforzi. Questo sarà il mio vanto, perché  “un figlio saggio è il vanto di suo padre”. (The Confession of Saint Patrick, 44-47).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-17T23:55:00+01:00da fraternidade
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