Giorno per giorno – 05 Marzo 2010

Carissimi,

“Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto” (Mt 21, 33-34). Per chi ascoltava la parabola, era fin troppo chiaro chi fosse quell’uomo che possedeva un terreno e vi aveva piantato una vigna, anche perché fin dall’apertura essa richiamava volutamente Un canto della Bibbia che tutti conoscevano (Is 5, 1). Dove quell’uomo era Dio. Tuttavia, Gesù, quell’idea, la chiarisce qui ulteriormente con un’altra, che affondava le proprie radici nella notte dei tempi, mille e più anni prima: se il vero proprietario della terra è Dio, quelli che noi diciamo proprietari non ne sono che i suoi affittuari. Questo spiegava, tra l’altro, la legge del giubileo (Lv 25, 8 ss) che imponeva, ad ogni cinquanta anni, la restituzione delle terre agli antichi intestatari, che ne fossero stati nel frattempo privati, legalmente o fraudolentemente. Questo al fine di impedire o porre riparo ad una situazione che vedesse coesistere, da un lato, alcuni grandi latifondisti e, dall’altro, contadini senza terra, variamente sfruttati. Il raccolto che il proprietario della vigna manda a ritirare dagli agricoltori è perciò quanto Dio rivendica a sé, per affermarne la sua destinazione universale. Quello che si dice della terra, non si afferma però solo di essa. Si riferisce a tutto ciò che da Dio abbiamo ricevuto come dono. Cos’hai fatto di ciò che ti ho donato? L’hai destinato solo al tuo godimento o l’hai ripartito con i miei figli e figlie, tuoi fratelli e sorelle? Allora, il povero che bussa alla nostra porta, o i poveri che premono ai nostri confini, non sono che i servi o, se preferiamo, i profeti di Dio, che vengono a reclamare la Sua parte. Che è la loro parte. E se questo vale per i beni economici, vale anche per ogni altro bene di cui noi si disponga: che uso ho fatto della mia intelligenza, della mia cultura, del mio tempo e, prima di ogni altra cosa, perché è in grado di orientare la destinazione di tutte: che ho fatto della buona notizia di Gesù che mi ha raggiunto?                   

 

Oggi facciamo memoria di una santo piccolo e pressocché sconosciuto: Conone, l’ortolano, martire in Panfilia.

 

05 CONONE.jpgOriginario di Nazareth, in Galilea, Conone era, secondo la tradizione, legato da parentela alla famiglia di Gesù. Lasciata la sua terra natale, si stabilì nella città di Mandron, nella Panfilia (una regione dell’attuale Turchia), dove, dalla coltivazione di un orto, ricavava il necessario per vivere. Quando Decio, sconfitto Filippo l’Arabo divenne imperatore, nel 249, e volle riportare in auge la religione romana tradizionale per dare nuova stabilità all’impero, scatenando l’ennesima persecuzione contro i cristiani, ne fu vittima anche il nostro. Per garantirsi la fedeltà dei sudditi, il nuovo imperatore prescrisse l’obbligo per tutti i cittadini di sacrificare agli dèi, con un atto pubblico comprovato da un attestato delle autorità locali. Quando Conone fu invitato a presentarsi davanti al governatore Publio, rispose: Di cosa ha bisogno il governatore da me, visto che sono cristiano? Ditegli di chiamare chi la pensa come lui o ha la sua stessa religione.  Il santo fu allora legato e condotto a forza davanti al Governatore, che tentò ripetutamente di convincerlo a sacrificare agli idoli. Conone rispose però con veemenza che niente e nessuno avrebbe potuto distoglierlo dal confessare apertamente la sua fede in Cristo. Fu così che il governatore ordinò che gli fossero perforati i piedi con chiodi, costringendolo poi a correre davanti al suo carro. Dopo un tratto del cammino, tuttavia, Conone, sentendosi mancare, cadde sulle ginocchia, ed elevata un’ultima preghiera a Dio, morì.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap.37, 3-4. 12-13a. 17b-28; Salmo 105; Vangelo di Matteo, cap.21, 33-43.45-46.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Della “Lettera a Diogneto” è stato detto che costituisce “un gioiello dell’antichità cristiana, al quale praticamente nessuno scritto dell’età postapostolica può stare alla pari per spirito e composizione”. E forse varrebbe la pena ogni tanto riprenderla in mano, come fosse destinata a noi, lasciandoci interrogare, provocare, mettere in crisi, da questa testimonianza della comunità delle origini. Noi, nel congedarci, ve ne proponiamo un brano come nostro  

 

PENSIERO DEL GIORNO

 I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio. A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. (Lettera a Diogneto, 5,1 – 6, 3).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-05T23:27:00+01:00da fraternidade
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