Giorno per giorno – 26 Febbraio 2010

Carissimi,

“Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24). La Quaresima dovrebbe servire anche a questo: riconciliarsi, imparare a farlo, cominciare a farlo. E invece. Invece noi continuiamo a proclamare questa Parola e a vivere come se dicesse altro. Oggi, almeno oggi, le chiese, tutte le chiese dovrebbero svuotarsi (più di quanto siano già vuote) e ciascuno di noi dovrebbe andare a cercare chi abbiamo ferito o chi ci ha ferito – l’iniziativa infatti deve essere comunque nostra – e solo dopo potremmo tornare nella casa del Padre a dirgli: abbiamo fatto ciò che tu hai chiesto. Ci sono le offese personali da sanare, ma ci sono anche quelle che ci riguardano come comunità, chiesa, classe, categoria, nazione. Ci sono debiti da perdonare e da farsi perdonare. Piccoli e grandi, addirittura incalcolabili. Come il debito storico maturato dal Nord nei confronti del Sud del mondo. Ma io, tu che possiamo farci? Possiamo. Basta cominciare. “Il male, una volta compiuto, non si ferma da solo. Il male continua oltre il momento in cui è stato compiuto, perché ha delle conseguenze che non dipendono più dalla volontà dei singoli. Ha una forza sua. Mi chiedo spesso se, in questo senso, il perdono sia un modo per fermarlo… forse sì, perché il perdono interrompe quella catena di male che si innesca compiendo un’azione malvagia”: lo dice Agnese Moro in un’intervista che riprendiamo dal libro “Sedie Vuote. Gli anni di piombo: dalla parte delle vittime” (Il margine). Nei giorni scorsi, nel trentennale della morte di Vittorio Bachelet, si è parlato di nuovo della preghiera di perdono per i suoi assassini, fatta dal figlio Giovanni, durante i funerali. Una preghiera che crediamo sia difficile ascoltare, a distanza di tanti anni, senza che prenda un nodo alla gola. C’è chi dice che quella preghiera abbia segnato l’inizio della fine del terrorismo nel vostro Paese. Non sappiamo se sia proprio così, certo segnò in maniera indelebile la coscienza di molti. Ora, in quel caso, era la voce di una vittima innocente, illuminata dal Vangelo, che proclamava la parola del perdono. C’è da chiedersi se riusciranno ad entrare in quella stessa logica – del perdono e della riconciliazione – molte delle comunità nazionali, che continuano a dirsi cristiane, e soprattutto le  chiese e le comunità ecclesiali, presenti nel loro territorio. Tematiche cruciali, in questo senso, sono quelle dei rapporti nord-sud del mondo, dell’immigrazione, del razzismo più o meno travestito, del sessismo, dell’intolleranza religiosa. Quale parola nuova (anzi antica, antichissima, dato che risale a Lui) da parte delle Chiese, da parte di ciascuno(a) di noi, come cristiani o come semplici cittadini?  

 

Oggi è memoria di Antonio de Valdivieso, pastore e martire dell’Evangelo del Regno.

 

26 ANTONIO VALDIVIESO.jpgNato a Villa Hermosa in Spagna, da Antonio de Valdivieso e Catalina Álvarez Calvente, attratto dalla vita religiosa, il giovane Antonio era entrato nel convento domenicano di San Paolo a Burgos, dove aveva studiato, emesso i voti religiosi ed era stato ordinato sacerdote. Inviato in America, passò qualche anno come missionario a Santo Domingo, poi fu inviato in Messico e assegnato alla provincia del Nicaragua, dove si distinse per l’azione in favore della libertà e dignità delle popolazioni indigene. Nominato vescovo di Leon, il 29 febbraio 1544, ricevette la consacrazione dalle mani del profetico Bartolomé de Las Casas,  il successivo 8 novembre.  Non sarebbe durato molto. Le esortazioni, le pubbliche denunce e le lettere inviate al re Carlo V per invitarlo a por fine agli arbitri e ai maltrattamenti crudeli  degli indigeni da parte dei conquistadores, gli attirarono ogni giorno di più l’odio dei connazionali. I più accaniti nemici del vescovo erano i fratelli Hernando e Pedro de Contreras, figli di Rodrigo de Contreras, già governatore del Nicaragua, il cui allontanamento dall’incarico essi addebitavano alle severe denunce di Valdivieso. Raggiunti da un provvedimento di scomunica, i due fratelli, dando ascolto ai suggerimenti di un mestatore, tal Juan Bermejo, ai consigli della loro stessa madre, dona Maria de Peñalosa, nonché di un frate apostata dell’Ordine, Pedro de Castañeda,  si recarono, accompagnati da alcuni soldati, alla residenza del vescovo. Trovatolo a colloquio con un frate  domenicano e un altro sacerdote, lo accerchiarono e, gettandoglisi addosso, lo pugnalarono a morte. Sopraggiunse la madre, richiamata dal clamore e prese il figlio morente tra le braccia. Antonio ebbe il tempo di recitare il Credo, poi additando il Crocifisso, disse: Affido la mia Chiesa a questo Signore: so che la governerà bene. Aggiunse qualche parola di perdono per i suoi assassini e spirò. Era il 26 febbraio 1550.  Gli aggressori saccheggiarono la casa, poi uscirono in piazza gridando: “Libertà” e “Viva il principe Contreras”, dando inizio ad un golpe che durò venti giorni e che finì con la morte dei sediziosi.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Ezechiele, cap.18, 21-28; Salmo 130; Vangelo di Matteo, cap.5, 20-26.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco di misericordia.

 

È tutto. Noi ci si congeda con una citazione tratta dal libro “Experiencia de Dios y pasión por el pueblo. Escritos pastorales” del vescovo-profeta di questo nostro Brasile, Dom Pedro Casaldáliga. Ci pare abbia a che vedere con il problema del perdono. Che poi è il problema dell’inversione di tendenza, della conversione. Nostra e della Chiesa. È questo, per oggi, il nostro 

 

PENSIERO DEL GIORNO

La Chiesa sarà annuncio del Regno solo se saprà essere denuncia dell’anti-Regno. E potrà essere testimone del perdono e della Grazia solo se essa stessa sarà penitente e gratuita. “L’annuncio della Buona Notizia si fa sempre in un contesto della cattiva notizia del furto e dell’invasione delle terre indigene, dell’estinzione delle loro culture, delle pratiche paternaliste e oppressive. L’annuncio della Buona Notizia non può essere fatto separato dalla denuncia del genocidio e dell’etnocidio. Ma all’annuncio e alla denuncia devono precedere la rinuncia e la conversione di tutta la Chiesa missionaria”. Evangelizzare è equivalso troppo spesso a civilizzare, occidentalizzare, integrare. Alcuni grandi missionari delle Americhe, dell’Asia o dell’Africa, che la Chiesa ha emarginato e guardato con sospetto, hanno peccato soltanto di una maggior sensibilità evangelizzatrice. Si sono rifiutati di trasmettere una determinata cultura nell’evangelizzazione. Si sono incarnati dimessamente come il Gesù della Lettera ai Filippesi. Non si sono prestati a martirizzare i popoli a cui erano stati inviati. Perché il Vangelo non può mai essere la sostituzione di una cultura da parte di un’altra, ma la forza trasformatrice di ogni cultura, che è l’anima di un popolo, collettivo fatto dinamico, capace di gratuita sublimazione escatologica. La missionologia dovrebbe rivedere, nella sua storia, le analisi che sono state fatte, troppo etnocentricamente, delle reazioni dei popoli chiamati “pagani”. Per scoprire i veri motivi per i quali questi popoli martirizzati  hanno reagito davanti agli stranieri che invadevano le loro terre e la loro anima, la loro lingua e i loro miti. In nome del “vero” Dio si è ucciso e si uccide un supposto “falso” Dio, assassinando le anime ed anche i corpi dei suoi adoratori, annientando culture e interi popoli. Noi dobbiamo accollarci tanto la gloria quanto la colpa del martirio.(Pedro Casaldáliga, Experiencia de Dios y pasión por el pueblo. Escritos pastorales).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.    

Giorno per giorno – 26 Febbraio 2010ultima modifica: 2010-02-26T22:33:00+01:00da fraternidade
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