Giorno per giorno – 06 Febbraio 2010

Carissimi,

“Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore” (Mc 6, 34).  Loro, gli apostoli, erano tornati da lui, e gli avevano raccontato ciò che avevano fatto e insegnato. E Lui aveva detto loro: adesso andiamo a riposare un po’, in un luogo deserto. Ma non aveva messo in conto il desiderio di lui delle folle che “da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero” (v.33). Che è un po’ il contrario di quello che succede spesso, oggi, con le chiese, le quali hanno compiuto il miracolo di rendere noioso e superfluo Gesù.  O, altre volte, appetibile. Ma non è Lui. Lui è quello del primato dell’amore. Quello che si programma per bene la giornata, ma è pronto a mandar tutto a rotoli, se appena si profila all’orizzonte qualcuno che ha bisogno di lui.  Come non ha fatto quel nostro conoscente che se ne scendeva stasera bel bello per la rua padre Filipe e, passando accanto alla casa di dona Maria Rezadeira, l’ha sentita gridare più volte: “Meu Pai de misericordia, tenha dor de mim”, mio Padre di misericordia, abbi pena di me!. Una, due, tre, quattro volte, il tempo di allontanarsi per non sentirla più. E gli è venuto in mente la parabola dell’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, lasciato mezzo morto sul ciglio della strada, e di quelli che passavano di lì e non si fermavano. E si è detto: tornerò più tardi. Ma lei chiamava in quel momento. Gesù è quello a cui, in casi simili, gli si torcono le budella. Il verbo greco che è tradotto con “ebbe compassione” dice letteralmente il sommovimento delle viscere. La Chiesa è di Cristo se ha viscere di compassione. Se sa fermarsi. Se, nel caso, dimentica la messa, la predicazione, il catechismo, e butta a mare credenze e sacramenti, si sbarazza di categorie teologiche e analisi sociologiche, per tendere la mano a chi ti chiede aiuto. In quel momento. Per rispondere a dona Maria.       

 

Oggi ricordiamo le figure di Paulo Miki e compagni, martiri in Giappone, Ksenija di Pietroburgo, folle per Cristo, Sergio Mendes Arceo, voce dei poveri in America Latina, David Maria Turoldo, poeta e resistente.

 

06_PAULO_MIKI.jpgPaolo Miki fu il primo giapponese accolto in un Ordine religioso cattolico. Nacque nel 1564 e ricevette il battesimo a cinque anni. Frequentò gli studi in un collegio della Compagnia di Gesù, dove scoprì la sua vocazione religiosa. Entrato in noviziato a 22 anni, proseguì gli studi con successo, diventando un profondo conoscitore di religioni orientali. Percorse il Paese in lungo e in largo, operando numerose conversioni.  Il potere politico-militare che in un primo momento aveva dimostrato un atteggiamento tollerante verso i cristiani, improvvisamente mutò registro, dando inizio a violente campagne persecutorie. Paolo Miki, arrestato nel dicembre 1596 a Osaka, trovò in carcere alcuni missionari, tre gesuiti e sei francescani, con 17 laici giapponesi. Insieme a tutti loro, venne crocifisso su un’altura presso Nagasaki.

 

06 XENIA DI PIETROBURGO.jpgDella vita di Ksenija Grigorievna Petrova abbiamo solo poche notizie. Sappiamo che era nata intorno al 1720 in una nobile famiglia di Pietroburgo e che ancor giovane aveva sposato il colonnello Andrea Fedorovic. A ventisei anni era rimasta vedova, in seguito alla morte improvvisa del marito. Sconvolta da questa perdita, abbandonati i lussi mondani, Ksenija scelse di vivere la vita degli “jurodivyc”, i “folli per Cristo”. Distribuite le sue sostanze ai poveri, rinunciò al proprio nome e volle essere chiamata con quello del marito. Poi, vestita degli abiti di questi, cominciò a vagare per le vie di Pietroburgo, recandosi a pregare nelle campagne circostanti, a contatto con la natura. La sua mitezza, i suoi atteggiamenti bizzarri, la povertà delle sue vesti, se in un primo momento, le procurarono la derisione e il disprezzo della gente, le conquistarono poi la simpatia e la devozione di molti. Ksenija visse questa condizione di “folle per Cristo” per più di 40 anni, fino alla morte, avvenuta presumibilmente nel 1803. La sua memoria fu fissata dalla Chiesa ortodossa russa il 24 gennaio del calendario giuliano, che corrisponde al nostro 6 febbraio.

 

06 MENDES ARCEO.jpgSergio Mendes Arceo, nato nel 1908 in Messico, da giovane voleva diventare un matematico, ma optò poi per il sacerdozio. Ordinato a Roma nel 1932, dopo aver conseguito il dottorato all’Università Gregoriana, fece ritorno in patria, dove fu per alcuni anni professore e direttore spirituale del seminario, finché fu nominato vescovo di Cuernavaca, nel 1952. Si aprì da allora, lentamente, il suo processo di conversione al mondo dei poveri. Le sue innovazioni coraggiose sollevarono le critiche e l’ostilità aperta degli ambienti più conservatori. Chiamato a Roma, rifiutò di rispondere alle domande del Santo Ufficio, chiedendo e ottenendo di essere ricevuto dal papa. Paolo VI lo accolse freddamente, ma un’ora e mezzo di colloquio bastarono ad aprirgli gli occhi su quell’uomo critico, libero e cercatore della giustizia. Tornato nella sua diocesi, si sentì confermato nell’opzione dei più poveri ed esclusi. Nei conflitti operai, studenteschi e contadini non fu mai neutrale, ma  sempre di parte, a fianco delle vittime della violenza strutturale. Così come appoggiò, con l’amicizia critica di cui era capace, le esperienze cubana e nicaraguense. Nel 1983, al compimento dei 75 anni, lasciata la diocesi, si ritirò nel villaggio nahua di Ocotepec, dove continuò a celebrar messa nella sua parrocchia, lavorando dodici ore al giorno. Fino alla morte, che lo colse in questo giorno, nel 1992.

 

06_DAVID_TUROLDO.JPGGiuseppe Turoldo nacque nel 1916 a Coderno, in Friuli nella famiglia poverissima di Giovanbattista e Anna Di Lenarda. Entrato nell’Ordine dei Servi di Santa Maria, fece il 2 agosto 1935 la sua prima professione religiosa, assumendo il nome di Davide Maria, e, il 19 agosto 1940, fu ordinato sacerdote, svolgendo il suo ministero a Milano nel convento di San Carlo al Corso e come predicatore in duomo, fino al 1953. “Esiliato” per volere della curia romana, potè far ritorno in Italia, con l’avvento di papa Giovanni XXIII, scegliendo di stabilirsi nella millenaria abbazia di S. Egidio nei pressi di Sotto il Monte (Bg), dove restò fino alla morte. Socialmente e politicamente impegnato, fece suo il comando evangelico di “essere nel mondo senza essere del mondo”, traducendolo in “essere nel sistema senza essere del sistema”. Turoldo fu il poeta cristiano che più d’ogni altro nel nostro secolo espresse la passione per il contrasto, lo stare fermamente dentro la Chiesa ma nello stesso tempo starvi criticamente. Con Padre Balducci, Don Milani, Don Dossetti, Don Mazzolari e altri, fu uno degli esponenti più rappresentativi di un rinnovamento del cristianesimo e assieme di un nuovo umanesimo sociale. Morì dopo una lunga malattia il 6 febbraio 1992, il giovedì della quarta settimana del Tempo comune, in cui la liturgia propone ai fedeli il racconto della morte del re David. Il card. Martini, che già in una cerimonia pubblica aveva voluto chiedergli scusa a nome della Chiesa per le persecuzioni subite, officiò le sue esequie. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro dei Re, cap.3, 4-13; Salmo 119, 9-14; Vangelo di Marco, cap.6, 30-34.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

David Maria Turoldo ha composto oltre mille inni liturgici, il che fa di lui uno dei più prolifici innografi del mondo cristiano. La nostra amica Giusi, di ritorno dall’Eucaristia che p. Ermes Ronchi ha celebrato stasera nella basilica di San Carlo al Corso, a Milano, nel 18° anniversario della scomparsa, ci invia proprio adesso il testo di uno dei suoi inni eseguiti durante la liturgia. Lo potrete trovare, con numerosi altri, nel libro che ha accompagnato p. Turoldo anche nel suo ultimo viaggio “La nostra preghiera – Liturgia dei giorni” (CENS). Noi, nel congedarci,  scegliamo di girarvelo come nostro  

 

PENSIERO DEL GIORNO

Ancora e sempre mettetevi in via / andate incontro, fermate ogni povero: / forse è Lui che vi attende al varco, / amministrate con cura i suoi beni. // Pace vi segni la fine del giorno, / ognuno mieta eterni tesori, / che né tignole né ladri disperdono, / né sia deluso il cuore di alcuno. // Tenete aperta la porta di casa / e fate pace e giustizia con tutti; / vendete tutto e fate elemosina, / tanto non serve, non serve il denaro. // Così che arda la lampada sempre / tutta la notte e oltre all’ alba: / pure nel sonno col cuore in veglia, / frecce che stanno alla corda nell’ arco. // E la finestra più grande del coro / verso oriente sia sempre rivolta; / e ogni abside guardi a oriente, / gli occhi di tutta la chiesa l’ attendano! // (David M. Turoldo, La nostra preghiera).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Febbraio 2010ultima modifica: 2010-02-06T23:17:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo