Giorno per giorno – 17 Dicembre 2009

Carissimi,

“Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, e giù, giù, uno dopo l’altro, fino a quando Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (Mt 1, 2-16). E se fosse mancato uno solo di quei nomi, o se ne fosse aggiunto un altro, la storia avrebbe preso un altro corso. Chissà quale. Già, ma Gesù, che ci sta a fare lì in mezzo, anzi in coda. Noi, questo testo che apre il Vangelo di Matteo, l’abbiamo letto stamattina presto, come sempre, ma anche, poche ore dopo, alla chácara di recupero, durante la celebrazione con cui abbiamo congedato Sebastião, giunto al termine dei suoi nove mesi di trattamento. E ci siamo detti che quella lunga sfilza di nomi comprende personaggi di ogni tipo, gente buona, fedele, dedicata e saggia, ma anche soggetti che ne hanno combinate di cotte e di crude, cose di cui persino noi smaliziati come siamo avremmo vergogna di confessare. Quella genealogia è la genealogia di ognuno di noi, e c’è dentro tutto ciò che i nostri antenati hanno sognato, desiderato, pensato, progettato, concretizzato, di bene e di male, i gesti di generosità e di coraggio, le fatiche, le lotte, le vittorie, ma anche le delusioni, i fallimenti, le invidie, i tradimenti, gli errori, le meschinità, le fughe. Tutto questo è diventato il corpo, cioè la storia,  che noi siamo, a cui noi abbiamo aggiunto del nostro, cose belle e brutte. E poi, d’improvviso, proprio da questo nostro noi, così com’è, ecco saltar fuori, come non sappiamo, Lui. La famiglia di Sebastião era, oggi, lì con noi, almeno quelli che sono potuti venire, la mamma, i fratelli, le sorelle, le nipoti. Tutte persone, toccate più o meno profondamente dalla sua vicenda, ferite dalle sue scelte (davvero scelte?). Eppure, è proprio in questo suo cammino, che Sebastião ha incontrato Lui. Anzi, forse, qualcosa di più: sta generando Lui, Gesù, il significato di Dio, nella sua storia personale, in quella della sua famiglia, dei suoi amici e compagni. Oltre ogni sofferenza patita e provocata. Auguri, Sebastião. Che Dio ti accompagni.      

 

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di  Jalal ad-Din Rûmi, mistico islamico.

 

17 Muhammed_Rumi.pngJalâl âlDin Rûmi  nacque il  6 Rabî I dell’anno egiriano 604 (corrispondente al 30 settembre 1207), a Bakl (che all’epoca apparteneva alla Persia, ma oggi è in territorio afgano), nella famiglia di Mu’mina Khâtûn e di Bahâ âlDîn Wâlad, mistico famoso, conosciuto come il “Sultano dei Saggi”. Per sfuggire alle invasioni dei mongoli di Gengis Khan, il padre con tutta la famiglia abbandonò il paese e, accettando l’invito del sultano di Konya (nell’attuale Turchia), si stabilì in quella città, dispensando lì il suo insegnamento religioso. Alla sua morte, nel 1231, il suo incarico nella scuola teologica fu assunto dal figlio Rûmi. Già influenzato dal sufismo, Jalal, nel 1244, incontrò un personaggio tanto  affascinante quanto misterioso, Shams-i Tabriz (il Sole di Tabriz), che divenne sua guida spirituale. Questo evento mutò radicalmente la vita di Rûmi, che decise di abbandonare l’insegnamento e si dedicò interamente ad approfondire il pensiero del maestro, consacrando la sua vita alla poesia, alla musica e alla danza estatica. Per cantare  bellezza, ebbrezza e dolcezza dell’ amore di Dio.  Rûmi morì a Konya, il 17 dicembre 1273 (il 5 Jumada dell’anno egiriano 672), dopo aver fondato una confraternita  di “dervisci rodopianti”, la Maulawiyya e  lasciando numerosi poemi mistici.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap.49, 2.8-10; Salmo 72; Vangelo di Matteo, cap.1, 1-17.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.  

 

Il “Mathnawî” di Jalâl âlDin Rûmi  – edito in Italia da Bompiani – è un poema di cinquantamila versi, ed è certamente tra i più importanti poemi mistici di tutta l’umanità. Nel congedarci, scegliamo di proporvene un brano come nostro   

 

PENSIERO DEL GIORNO

Se la protezione di Dio è sulla testa del suo servo, alla fine chi cerca trova. / Il Profeta ha detto che quando uno bussa alla porta, alla fine una testa farà pure capolino da quella porta. / Quando ci si siede sulla strada che una persona percorre, alla fine si vede il volto di quella persona. / Se ogni giorno si scava la terra per farne un pozzo, alla fine si arriva all’acqua pura. / Anche se non lo credete, tutti sanno che un giorno si raccoglierà ciò che si ha seminato. / Hai picchiato la silice contro il ferro, e il fuoco non ne è scaturito? Può anche darsi che sia così, ma ciò è molto raro. / Colui al quale Dio non ha elargito felicità e salute ha uno spirito che tende a considerare solamente le cose negative: / che i semi seminati da uno non hanno prodotto raccolto, che un tale ha preso un’ostrica nel mare ma l’ostrica non aveva la perla, / che gli atti di culto non servivano per niente a Bal’am bn Bâ’ûr e a Satana il lapidato… / A quest’uomo dai cattivi pensieri non vengono mai in mente le migliaia e migliaia di profeti e di pellegrini sulla Via; / egli scegli questo tipo di esempi a causa della sua oscurità spirituale. Può mai mettergli altro, nel cuore, la sua cattiva sorte? / Più d’uno mangia pane con cuore sereno e tuttavia esso gli causa la morte rimanendogli in gola! / Va’ dunque, o uomo dalla cattiva sorte, non mangiare affatto pane, per non cadere come lui nella sventura e nella catastrofe. / Migliaia e migliai di persone mangiano fette di pane: acquistano forza e nutrono il loro spirito vitale. / Non sei scalognato e menomato per nascita, e allora come mai sei caduto in questa sventura? / Sei uno che ha lasciato da parte questo basso mondo pieno della luce del sole e dei raggi lunari, e ha tuffato la testa in un pozo / dicendo: “Se tutto ciò è vero, dov’è la luce?”. Tira dunque fuori la testa dal pozzo e guarda, o povero essere! / Il mondo intero, dall’occidente all’oriente, ha ricevuto la luce, ma finché rimani nel pozzo non brillerà su di te. / Lascia il pozzo, va’ verso il palazzo e le vigne; non discutere qui: sappi che altercare è sventura. (Jalâl âlDîn Rûmi, Mathnawî, III, 4784-4802).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.    

Giorno per giorno – 17 Dicembre 2009ultima modifica: 2009-12-17T23:10:00+01:00da fraternidade
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