Giorno per giorno – 09 Ottobre 2009

Carissimi,

“Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11, 20-22). Informazioni fornite da chi sembra volersi mettere in cerca di guai, non foss’altro per la metafora politico-militare utilizzata. Nel contesto di un viaggio che lo porta “a muso duro” (Lc 9, 51), verso la Città Santa, dove Lui immagina ciò che con ogni probabilità lo attende, ma “loro”, i suoi avversari, non sanno ancora bene cosa aspettarsi da lui. Gesù aveva appena finito di guarire un muto, come noi tutti siamo muti, quando ci lasciamo dominare dalla paura di annunciare la “buona notizia” del Regno, cioè Gesù stesso, che denuncia, smaschera e ci libera da ogni forma di asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Lui è il più forte che arriva e sconfigge chi, insediato nel suo palazzo, si pensa al sicuro, protetto dalle sue ricchezze e  dalle armi della menzogna e della manipolazione (che sono quelle che funzionano meglio). Ma, se necessario, anche dalle altre. Stamattina ci dicevamo, però, che il palazzo in questione, la roccaforte del potente di turno, o del sistema-mondo,  può essere ciascuno di noi, e noi tutti insieme, se e quando non accogliamo Gesù (Principio della liberazione e della cura) come verità di Dio e perciò non lo scegliamo anche come verità della nostra vita. In questo senso, l’alternativa è drastica: se non si è con Lui, si è contro. Non c’è spazio per neutralità, equidistanza, indifferenza. Ora, noi, davanti ai poteri del mondo, siamo chiesa libera, coraggiosa e profetica o chiesa accomodante, paurosa e muta? Ma, non è tutto. Il peggio sta sempre in agguato, anche se noi abbiamo scelto bene. Per questo Gesù ci mette in guardia contro i colpi di coda del potere che ci teneva sottomessi, che “va, prende altri sette spiriti peggiori di lui” (Lc 11, 26) e prende nuovamente possesso di colui che se ne credeva liberato. “E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima”.  

 

sukkot.jpgSi chiude oggi Sukkot, l’ebraica Festa delle Capanne, durante la quale, in ognuno dei suoi sette giorni, i fedeli ebrei invitano a pranzo, come ospiti speciali, gli “ushpizhin”, le anime degli antichi patriarchi e leader del popolo della Bibbia: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Aronne e, per ultimo, il re David, a simboleggiare che la nostra personale integrità, recuperata con il perdono ricevuto a Yom Kippur, ci scopre la comunione profonda che ci lega non solo alle presenti generazioni, ma a quelle di tutti i tempi. Così come il peccato ce ne separa ogni volta, radicalmente. Questa rinnovata “comunione dei santi” mette il popolo di Dio in condizione di adempiere alla sua missione, come nazione sacerdotale, luce del mondo, ambasciatrice di pace.  E diciamo Amen. Per loro e per noi.

 

Oggi la Chiesa fa memoria del Patriarca Abramo, Padre di tutti i credenti nel Dio unico.

  

09_ABRAMO.jpgPrimo dei Patriarchi e fondatore del monoteismo ebraico, confidando nella parola di Dio, emigrò con sua moglie Sara nella terra di Canaan (Gen 12, 1ss). Come segno della sua alleanza con Dio, gli fu ordinato, quando era già vecchio, di circoncidersi (Gen 17,10) e, secondo il racconto biblico, fu dopo questo che Sara diede miracolosamente alla luce un figlio, Isacco (Gen 21,2). Una delle dieci prove di fedeltà a cui Dio sottopose Abramo fu la richiesa che gli offrisse in sacrificio proprio Isacco (Gen 22,2). L’episodio, che nell’esegesi ebraica è designato como la ’Aqedah (la legatura), è ricco di interpretazioni suggestive.  Abramo è considerato il “guardiano della Torah”, ancor prima che essa fosse stata rivelata da Dio. A lui si deve la pratica della preghiera ebraica del mattino (Gen 19,27). Benevolo e compassionevole, intercedette presso Dio perché Sodoma fosse risparmiata, nonostante la malvagità dei suoi abitanti, chiedendogli quanti uomini giusti fosse sufficiente trovarvi per evitarle la distruzione. Partito da cinquanta, quando arrivò a dieci, ritenne giusto non insistere oltre (Gen  18, 23 ss).  Sembra che il minian, il numero minimo di dieci uomini necessario per il culto pubblico, si fondi proprio su questa tradizione. Abramo morì a 175 anni  e fu sepolto nella caverna di Macpela (Gen 25,7ss). Gode di una grande considerazione, oltre che nell’ebraismo, anche nel cristianesimo e nell’islamismo, che vedono in lui la figura perfetta del credente, che fonda gli ideali etici e culturali  di queste tre religioni.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Gioele, cap.1, 13-15; Salmo 9; Vangelo di Luca, cap.11, 15-26.

 

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicitá del Dio clemente e misericordioso.

 

Avremmo voglia di commentare qualcosa sulle notizie che ci vengono dal vostro Paese, ma siamo piuttosto stanchi e così ci (e vi) risparmiamo. In un volume piccolo, ma davvero bello, di Paul Beauchamp, che ha come titolo “Cinquanta ritratti biblici” (Cittadella Editrice),  troviamo ciò che l’autore scrive sulla figura di Abramo e, nel congedarci, ve ne proponiamo un brano come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La sfolgorante chiamata di Abramo apre uno scenario di pericolo. Dio ha chiesto alle Nazioni di benedirlo (cf Gen 12, 1-3). Dobbiamo già preoccuparci per Abramo e vedere in anticipo allungarsi un’ombra sul futuro delle Nazioni, che Dio sottopone a dura prova chiedendo loro la benedizione del suo eletto? Essere benedetto non è faticoso né dovrebbe essere faticoso benedire… Ma quante insidie in vista! […] L’ombra ha una sua tremenda ambiguità. “Farò di te una grande nazione”, aveva detto Dio. Indimenticabile glorificazione dell’individuo in questo momento decisivo della storia umana. Ed ecco che il testo diventa intralcio a se stesso, nel ricordarci che un popolo non sorge mai da un individuo. Nell’episodio immediatamente successivo alla chiamata (Gen 12, 10-20), Sara (il cui nome è ancora Sarai), cioè la moglie, è il personaggio principale. Questo popolo non sorge da uno, ma bensì da due individui.  Da una coppia. E se la nazione deriva da una coppia, vuol dire che prima di questa coppia non c’era questa nazione, e che, quindi, i due primi coniugi provengono da due diverse nazioni. Se provengono da due diverse nazioni, vuol dire che la mescolanza etnica è al principio, all’origine, è iscritta per sempre nella tessitura genetica di questa nazione, come di tutte le altre. […] Quello che abbiamo chiamato macchia d’ombra è in realtà un fascio di luce sulle origini di un popolo. Il popolo della Bibbia dichiara egli stesso l’ambiguità di ogni nazione. Cosa che non impedisce alla nazione di essere necessaria, di una necessità alla quale, possiamo dire, si sottomette il piano di Dio. Sin dall’inizio, nel porre un uomo, una nazione, il racconto biblico pone, con estrema crudezza, l’ineluttabile necessità della differenza e, partendo dalla differenza, della relazione. Un uomo, una donna. Una nazione, le altre nazioni. L’opera di Dio, il seme di vita non potrà mai essere iscritto altrove che nel solco che passerà tra gli uni e gli altri. (Paul Beauchamp, Cinquanta ritratti biblici).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.      

Giorno per giorno – 09 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-09T23:57:00+02:00da fraternidade
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