Giorno per giorno – 08 Ottobre 2009

Carissimi,

“Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono” (Lc 11, 11-13). Il brano che precede il Vangelo di oggi, (noi l’avremmo dovuto ascoltare ieri), era quello in cui Gesù insegna ai discepoli il Padre nostro (Lc 11, 2-4). Cioè, cosa chiedere nella preghiera, a chi e per chi. Cosa? Il pane, il perdono, ricevuto e offerto, e l’essere preservati dalla tentazione. A chi? A Dio, che è il Padre. Per chi? Per tutti, dato che, se Lui ci è Padre, noi siamo necessariamente fratelli. E se la preghiera non si limita ad una ripetizione meccanica delle parole, ma chiede di diventare vita, c’è da disperarsi. Oggi Gesù ci insegna l’insistenza, anzi, di più, l’impertinenza, nella preghiera (Lc 11, 5-8) e ce ne garantisce l’efficacia (v.9-13). Con una piccola non irrilevante precisazione: “Quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”. È il suo Spirito che noi gli si deve chiedere. Niente di meno. È il suo Spirito che ci permette di chiamarlo “Abba, Padre” (Gal 4,6). E, conseguentemente (ma che fatica per Lui), ci può portare a comportarci come figli. Come Gesù.         

 

Il nostro calendario ci porta la memoria di Sergio di Radonež, patriarca dei monaci della Russia ortodossa, e di Penny Lernoux, giornalista in difesa dei poveri in America Latina.

 

08_SERGIO_DE_RADONEZH_II.jpgBartolomeo,  questo era il suo nome di battesimo, era nato il 3 maggio del 1313,  a Rostov Vielikij (Russia).  Da piccolo, con tutta la buona volontà, non gli riusciva proprio di imparare a leggere. Finché un giorno incontrò un monaco. E gli confidò il suo cruccio piangendo. Quello allora lo benedisse, gli diede un po’ di pane e gli disse: Va con Dio. Da allora fu tutto più facile. Quando ebbe poco più di vent’anni, decise di ritirarsi con il fratello Stefano in una foresta, non lontano dal villaggio di Radonež, nei pressi di Mosca, dove qualche anno prima la famiglia si era trasferita. Costruì una cappella dedicata alla Trinità, dove il 7 ottobre del 1337 ricevette l’abito monastico, assumendo il nome Sergio. Nonostante la solitudine, i disagi e i pericoli della vita nella foresta,  giunsero presto altri uomini, desiderosi di imitarne l´esempio che, pochi anni più tardi lo vollero come loro igùmeno (abate). In breve la Comunità monastica crebbe in modo considerevole e  Sergio seppe guidarla con grande umiltà ma anche con fermezza. Fondò molti altri monasteri e la sua fama si diffuse moltissimo. Tipico santo contadino, alieno da ogni intellettualismo, era semplice, umile, serio e gentile e visse una vita di preghiera, digiuno e lavoro. Insegnò ai suoi monaci che la fuga dal  mondo e dalla sua logica non esimeva, ma, al contrario, imponeva spirito di servizio e aiuto concreto nei confronti del prossimo, oltre che la pratica rigorosa della povertà, a livello personale e comunitario. Pochi mesi prima di morire, convocati i suoi monaci, nominò il suo successore. Quando poi sentì vicina la morte, li mandò a chiamare,  diede loro le ultime istruzioni spirituali, ricevette i sacramenti e, sollevate le mani al cielo, rese l’anima a Dio. Era il 25 settembre del 1392 (corrispondente nel calendario gregoriano all’8 ottobre).

 

08 Penny Lernoux.jpgPenny Lernoux  era nata il 6 gennaio 1940 in un’agiata famiglia cattolica della California. Al termine di un brillante corso di studi universitari, era diventata giornalista, recandosi a lavorare, dal 1961,  in America Latina, e fissando la sua residenza dapprima a Rio de Janeiro, poi a Bogotà e Caracas e, infine, nuovamente a Bogotà. A partire dal 1974 operò come scrittrice freelance. Sposata e madre di una figlia, da subito percepì l’estremo contrasto esistente tra la ricchezza di politici, latifondisti e uomini di affari latinoamericani, da un lato, e la povertà delle masse della regione, dall’altro. Affascinata dalla proposta radicale del Vangelo, si avvicinò alle comunità cristiane di base e si interessò da vicino alla teologia della liberazione, che ne facevano lo strumento per interpretare e cambiare una realtà, caratterizzata da un violento sfruttamento economico e da brutali regimi dittatoriali. Fu per molti anni corrispondente del National Catholic Reporter, oltre a scrivere per altre testate e pubblicare numerosi libri. Colpita da un tumore ai polmoni, due settimane prima della morte, consapevole della gravità del suo stato, confessava: “Mi sento come se stessi scendendo per un nuovo sentiero. Non è una paura fisica o la paura della morte, perché i poveri dell’America Latina, con il loro coraggio, mi hanno insegnato una teologia della vita che, attraverso la solidarietà e la nostra lotta comune, trascende la morte. È piuttosto una sensazione di impotenza – ed io che ho sempre voluto essere campione dei poveri  mi ritrovo proprio come impotente – e, anch’io, devo tendere la mia scodella da mendicante; devo imparare  – sto imparando –  l’estrema impotenza di Cristo. È un’esperienza purificante. Quante cose sembrano ora meno importanti, specialmete le ambizioni”. Morì l’8 ottobre 1989. Aveva lasciato scritto: “Tu puoi anche guardare una favela o un villaggio contadino… ma è soltando entrando in quel mondo – e vivendoci – che comincerai a capire cosa significa essere senza potere, essere come Cristo”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Malachia, cap.3, 13-20a; Salmo 1; Vangelo di Luca, cap.11, 42-46.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Non abbiamo testi di Sergio di Radonež. In compenso ne abbiamo uno dell’Archimandrita Sofronio Sakharov, discepolo di Silvano del Monte Athos, e appartenente quindi alla stessa tradizione monastica. È una citazione tratta dal libro “His life is mine” (St. Vladimir’s Seminary Press). Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La preghiera è infinita creazione, arte suprema. Ripetutamente facciamo esperienza di uno slancio appassionato verso Dio, a cui segue sempre un allontanamento dalla Sua luce. Molto spesso siamo coscienti dell’incapacità della nostra mente di elevarsi fino a lui. Vi sono momenti in cui ci sentiamo sull’orlo della pazzia. “Tu mi hai dato il Tuo precetto di amare, ma in me non c’è forza per amare. Vieni e opera in me tutto ciò che Tu hai comandato, perché il Tuo comandamento oltrepassa le mie forze. La mia mente è troppo fragile per comprenderTi. Il mio spirito non è in grado di vedere dentro i misteri della Tua volontà. I miei giorni trascorrono in un eterno conflitto. Sono torturato dalla paura di perderTi a causa dei cattivi pensieri del mio cuore”. Talvolta la preghiera sembra venir meno e noi imploriamo, “Vieni presto, mio Dio” (Sal 70,5). Se, però, non lasciamo andare il lembo del suo mantello, l’aiuto verrà. È vitale dimorare nella preghiera, per contrastare l’incessante influenza distruttiva del mondo esterno. (Archimandrite Sophrony Sakharov, His life is mine).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-08T23:48:00+02:00da fraternidade
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