Giorno per giorno – 03 Ottobre 2009

Carissimi,

“I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome. Egli disse loro: Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10, 17-20). Forse ce ne saranno anche oggi settantadue, e magari qualcuno di più, che corrono da Lui a dirgli la loro gioia per i demòni sottomessi, mentre a noi pare di vederne così tanti, e scatenati, in giro. Ne siamo lieti, comunque, per loro. A noi, per il momento, basta quanto conclude questa parola, e ciò che vi è sottinteso: Se non potete rallegrarvi ancora perché i demòni si sottomettono a voi, rallegratevi tuttavia perché i vostri nomi sono scritti in Dio. Ed è ciò che più importa. Parla dei nomi dei suoi “piccoli”. Sì, forse, se impareremo mai ad esserlo, anche dei nostri, ma, in ogni caso, senza dubbio, dei “loro”. Ora, c’è forse una domanda che ci potremmo fare: Dio, quei nomi, se li è scritti in cuore. Noi, come singoli e come chiesa, siamo disposti a scriverli nei nostri, di cuori? E a ricordarceli, come Lui,  uno per uno, anche se sono migliaia,  milioni, milioni di milioni?      

 

Oggi facciamo memoria di George Allen Kennedy Bell, pastore e testimone di ecumenismo, e di  Antonio Bargiggia, fratello dei poveri, martire in Burundi. 

 

03 GEORGE BELL.jpgGeorge Allen Kennedy Bell era nato il 4 febbraio 1883 a Hayling Island, nello Hampshire (Inghilterra), maggiore dei figli di Sarah Georgina Megaw e di suo marito James Allen Bell. Dopo gli studi teologici a Oxford, Bell fu ordinato diacono, nel 1907, e presbitero, nel 1908. Nei tre anni che seguirono si dedicò alla cura pastorale di una parrocchia alla periferia di Leed, dove un terzo della popolazione era costituito da immigrati indiani e africani, provenienti dalle diverse regioni dell’Impero britannico. In questa attività ebbe modo di collaborare e di apprendere molto dai metodisti, di cui ammirava la capacità di coniugare fede e impegno sociale. Nel 1914 fu nominato, dapprima, cappellano dell’arcivescovo Randall Davidson, primate d’Inghilterra, poi, nel 1925, decano di Canterbury e, nel 1929, vescovo di Chichester. Dal 1932-34 fu primo presidente di “Vita e Azione”, quando questo movimento confluì nel Consiglio Ecumenico delle Chiese. All’avvento del nazismo, divenne il più importante sostenitore della “Chiesa Confessante” che, in Germania, si opponeva risolutamente all’ideologia hitleriana, denunciando come eretiche le posizioni assunte da settori consistenti della Chiesa Evangelica Tedesca in appoggio alla politica del Fuhrer. In questi anni, Bell strinse amicizia con Dietrich Bonhoeffer, Nathan Söderblom e Wilhelm Visser’t Hooft, ponendo le basi per il cammino di riavvicinamento tra le chiese che ebbe luogo alla fine della seconda guerra mondiale. Negli anni ’50, fu avversario della corsa al riarmo atomico, e appoggiò numerose iniziative contro la Guerra Fredda. I suoi contatti ecumenici lo portarono a stringere amicizia con l’arcivescovo di Milano, Montini, che in seguito sarebbe divenuto papa Paolo VI.  Bell morì il 3 Ottobre 1958. Aveva dedicato la sua ultima omelia a commentare la parola di Gesù che dice: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

 

03 ANTONIO BARGIGGIA.jpgAntonio Bargiggia era nato a Milano il 21 giugno 1958, e nel 1979 era andato in Africa, a lavorare come volontario in una missione del Burundi. Ritornato in Italia, maturò la decisione di dedicare tutta la sua vita ai poveri. Entrò così tra i “Fratelli dei poveri”, una famiglia religiosa di laici consacrati che opera in Burundi. Per vent’anni, fratel Antonio lavorò nella bidonville di Buterere, nella periferia più povera di Bujumbura, capitale del Burundi. Viveva, povero come i suoi vicini, in una baracca senza luce e senza acqua, con un suo fratello burundese,  volendo bene e rendendosi disponibile a tutti, in qualunque ora del giorno o della notte,  quale ne fosse l’etnia, hutu o tutsi,  o la religione. Pochi mesi prima di morire, aveva scritto: “Abbiamo molti vicini, quasi tutti musulmani; andiamo d’accordo e ci aiutiamo gli uni con gli altri”. La mattina del 3 ottobre 2000, quattro uomini armati, due in divisa militare e due con abiti civili, bloccarono l’automezzo su cui stava viaggiando e lo uccisero, sparandogli a bruciapelo al volto, a Kibimba. Gli rubarono l’orologio e i sandali e abbandonarono il suo corpo per strada, portandosi via l’auto con il materiale che stava trasportando. Rintracciati poco dopo, furono nei giorni seguenti processati e condannati: l’esecutore materiale alla pena capitale, due complici all’ergastolo e l’autista a venti anni di detenzione. Il giorno prima dell’esecuzione, l’assassino fece chiamare il cappellano del carcere, l’abbé Gakona, per esprimere il suo pentimento e chiedere perdono del suo gesto. Restarono a parlare a lungo, il prete gli parlò di Gesù e della buona notizia dell’amore che Dio ha per gli ultimi e della festa che fa per quanti si convertono da una vita sbagliata. Alla fine del colloquio, il giovane chiese e ottenne di essere battezzato e il giorno dopo affrontò con grande serenità d’animo l’esecuzione della condanna.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Baruc, cap.4, 5-12. 27-29; Salmo 69; Vangelo di Luca, cap.10, 17-24.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le Comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Oggi comincia per i nostri fratelli ebrei, e durerà sette giorni, Sukkot, la “Festa delle Tende”, a ricordo dei quarant’anni passati nel deserto, al riparo di capanne di frasche, sotto le ali della Sua protezione. Ci sono venute in mente le vittime dell’alluvione di Messina, una catastrofe che, come quasi ovunque, considerando ciò che l’uomo ci mette di suo, è presumibilmente tutto meno che naturale. Le mettiamo dentro la nostra preghiera. Di Sukkot, del suo ricco simbolismo, ci ripromettiamo di parlare più diffusamente nei prossimi giorni.

 

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo,  offrendovi in lettura una citazione di George A. K. Bell, tratta da uno dei suoi discorsi. La troviamo ne “Il libro dei Testimoni. Martirologio ecumenico” della Comuntà di Bose (San Paolo). Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La guerra e i suoi effetti devastanti, il dolore e il pianto, le perdite e le sofferenze, i disastri e la morte, sono il salario del peccato. E quando parliamo di peccato non intendiamo i peccati di un particolare sistema politico – nell’accezione ristretta della parola “politico” -; né la nostra attenzione intende concentrarsi innanzitutto sulle cause politiche che hanno portato al conflitto. Quello che ci preoccupa sono le cause morali e religiose che sottostanno alle spiegazioni politiche. Ma mentre il nostro primo dovere è di denunciare tutti i peccati dai quali è scaturita la guerra, per chiamare al pentimento gli uomini, abbiamo un compito più alto e migliore da portare avanti. Dietro al nostro appello alla conversione giace una grande speranza. Noi chiediamo in ginocchio agli uomini di pentirsi, perché così facendo indichiamo loro il regno di Dio. Sta a noi tutti membri della sua chiesa di affrettare i tempi e di correre con desiderio verso il regno, così da poter essere trovati degni di riceverlo nella sua pienezza quando esso verrà. (George Bell, dai Discorsi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro 

Giorno per giorno – 03 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-03T23:06:00+02:00da fraternidade
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