Giorno per giorno – 30 Settembre 2009

Carissimi,

“Mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: Ti seguirò dovunque tu vada. E Gesù gli rispose: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9, 57-58). Ieri, la memoria di Michele, Gabriele e Raffaele, con le sue letture proprie della festa, non ci ha permesso di leggere il brano che precede quello che abbiamo ascoltato oggi. È quello che segna il passaggio dal ministero di Gesù in Galilea alla sua salita verso Gerusalemme e che recita così: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9, 51). A dire il vero, il testo originale, reso qui con l’avverbio “decisamente”,  è più aspro e dice più estesamente: “indurì il suo volto”. Qualcosa come “stringere le mascelle”, nei momenti in cui le grandi decisioni s’impongono. Cammina, anzi, camminano, lui e i discepoli, verso Gerusalemme. E, su questa strada che accomuna il Maestro e i suoi, Gesù prende l’occasione per insegnar loro cosa significhi “indurire il volto”, cioè andare con determinazione incontro alla sfida che questo nuovo esodo comporta.  E coglie loro e noi sul vivo delle nostre debolezze. Le cose, per esempio. Il nostro rapporto con le cose e con un mondo di relazioni comunque cosificato. E il nostro bisogno di sicurezze che rappresenta. Materiali, ad un primo livello, ma, subito dopo, anche ideologiche (persino religiose) e affettive. E Gesù, che ci guarda e sorride, mai ironico, sempre benevolo, ma drastico: Ragazzo(a) mio(a), va’ in pace. Torna un’altra volta. Quando sarai cresciuto(a). “Indurire il volto” per salire a Gerusalemme significa non poter contare su nulla, neanche su qualcosa dove posare il capo. Letteralmente, se non vogliamo fare del Vangelo carta straccia! E significa – Dio mio, il buon Gesù bestemmia! – lasciar da parte, nel caso, anche le pietose opere della religione, come il seppellire i morti (la più sacra tra le opere di misericordia!), e rinunciare alla nostra sfera di affetti (altro che “Dio, patria, famiglia”, è l’esatto contrario!), ossia, a ciò che contribuisce, più di ogni altra cosa, a disegnare la nostra identità e la nostra storia e, perciò, il nostro io. Niente radici, dunque. O meglio, le nostre radici, ci stanno davanti, in questo salto nel vuoto che porta a consegnare noi stessi con Lui. A Dio, ai fratelli. Se no, mica c’era bisogno che la Parola, quella Parola, s’incarnasse. Noi si sapeva già tutto.

 

Oggi è memoria di Girolamo, monaco al servizio della Parola e padre della Chiesa.  

 

30 SAN GEROLAMO.jpgNato nel 347 da genitori cristiani a Stridone, tra la Dalmazia e la Pannonia, Sofronio Eusebio Girolamo compì a Roma gli studi di  grammatica,  retorica e  filosofia. Ricevuto il battesimo, da papa Liberio, si recò a Treviri, nelle Gallie, per perfezionare gli studi teologici. Nel 373 fu ad Aquileia e poi ad Antiochia di Siria, che lasciò per stabilirsi come eremita nel deserto di Calcide, portandosi tuttavia appresso tutta la sua ricchissima biblioteca. Fu in questo periodo che Girolamo studiò l’ebraico e maturò il suo tormentato distacco dalla vita mondana e dalla cultura classica. Lui stesso in una lettera racconta di essersi trovato in sogno di fronte ad un giudice che gli chiedeva conto della sua identità ed avendogli egli risposto di essere cristiano, si sentì replicare: “Bugiardo, tu sei ciceroniano, non cristiano”. Si diede perciò ad una vita di preghiera, di studi rigorosi e di penitenza e venne ordinato sacerdote. Tornato a Roma nel 382, fu nominato segretario di papa Damaso, che lo incaricò della traduzione della Bibbia in latino, a partire dai testi originali.  La sua traduzione è conosciuta ancora oggi come “Vulgata”. Ma non fu solo uno studioso. Fondò un luogo di preghiera e di studio rigoroso delle Sacre Scritture, in cui si impegnarono alcune donne dell’aristocrazia romana, tra cui Marcella, Paola e la figlia di quest’ultima, Eustochio,  tutte desiderose di vivere la fede cristiana in maniera non banale. Cosa non facile, dopo che l’imperatore Teodosio aveva fatto del cristianesimo la religione di stato, spalancando  le porte della Chiesa ad ogni pratica di corruzione e di opportunismo. Fenomeni che Gerolamo non esitò a denunciare e combattere con passione e veemenza. Alla morte di Damaso, nel 384, Girolamo sperò, forse, ma inutilmente, di succedergli. Fece allora ritorno in Palestina, a Betlemme, accompagnato da Paola ed Eustochio, con cui fondò un monastero maschile e uno femminile, oltre ad un ospizio per i pellegrini. Di carattere irruento e intrattabile entrò in polemiche dottrinali, non senza venature personali e accenti d’intolleranza, con molti grandi del suo tempo, compresi Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Basilio e Agostino. Lasciò numerose opere scritte (lettere, trattati di esegesi, commenti biblici…). I suoi difetti temperamentali non sminuiscono in ogni caso la grandezza della sua opera. È chiamato “Dottore massimo delle Scritture”. Morì a Betlemme  nel 420.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Neemia, cap. 2,1-8; Salmo 137; Vangelo di Luca, cap.9, 57-62.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo i cammini più diversi, perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace.

 

Secondo black-out elettrico in tutta la regione nel giro di quindici giorni. Che, se non si considerano i danni all’economia che questo comporta, ha rappresntato comunque una specie di miracolo. Tornando dalla celebrazione, che abbiamo tenuto a lume di candela nella chiesetta dell’Aparecida, ci si sorprendeva per l’inusuale spettacolo presente lungo le strade: ovunque la gente se ne stava seduta fuori casa, e ci sarebbe rimasta fino a tardi, a chiacchierare, ridere, scherzare. O a contemplare la luna, che solo da qui a tre giorni sarà piena e che però già  ammantava con la sua luce bianca tutto il paesaggio. Sono cose che accadono sempre più di rado, da quando la Tv segrega quasi tutti nel chiuso delle case. E si ostinano tuttavia a chiamarlo progresso.

 

Bene, per stasera è tutto. Noi vi si lascia al brano di una lettera di Gerolamo al’amico Teofilo, che vi proponiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Senza ripugnanza e fastidio tu ci hai dato modo di bere alle dolci onde della pace, disponendoci a bere avidamente, a lunghi sorsi. Ma come fare, però! In noi, nelle nostre possibilità, c’è purtroppo solo un desiderio di pace, non il suo possesso! È vero che anche solo il desiderio di realizzarla ha la sua ricompensa da parte di Dio; ma è anche vero che malgrado la si desideri, fa male non vederne l’effetto compiuto. Lo sapeva anche l’Apostolo che, la pace, la si raggiunge pienamente quando poggia sulla volontà effettiva di ambedue le parti. Per quanto sta in voi, dice, tenetevi in pace con tutti gli uomini (Rm 12,18). E il profeta: Pace, pace… ma dov’è questa pace? (Ger 6,14). Non è davvero una nobile impresa reclamare la pace a parole e distruggerla a fatti. Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l’effetto contrario! A parole si dice: andiamo d’accordo! E di fatto, poi, si esige la sottomissione dell’altro. La pace la voglio anch’io; e non solo la desidero, ma la imploro! Ma intendo la pace di Cristo, la pace autentica, una pace senza residui di ostilità, una pace che non covi in sé la guerra; non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia! Perché diamo il nome di pace alla tirannia? Perché non rendiamo a ogni cosa il suo nome appropriato? C’è odio? Allora diciamo che c’è ostilità! Solo dove c’è carità diciamo che c’è pace! Io la Chiesa non la lacero, no! e neppure mi taglio fuori dalla comunione dei padri! Fin da quand’ero in fasce, se posso esprimermi così, sono stato nutrito col latte del cattolicesimo. E penso che nessuno appartiene di più alla Chiesa di chi non è mai stato eretico. Non conosco, però, una pace che possa fare a meno della carità, o una comunione che possa prescindere dalla pace. Nel Vangelo leggiamo: Se stai offrendo la tua offerta all’altare e lì ti viene in mente che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì l’offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello; poi ritorna pure a fare la tua offerta (Mt 5,23-24). Se quando non siamo in pace non possiamo fare la nostra offerta, pensa tu, a maggior ragione, se possiamo ricevere il corpo di Cristo! Che razza di coscienza è la mia se rispondo Amen dopo aver ricevuto l’eucaristia di Cristo, mentre invece dubito della carità di chi me la porge?  (Girolamo, Lettera a Teofilo).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 30 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-30T23:47:00+02:00da fraternidade
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