Giorno per giorno – 28 Settembre 2009

Carissimi,

 “Giovanni prese la parola dicendo: Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci. Ma Gesù gli rispose: Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi” (Lc 9, 49-50). Questo episodio, così come la discussione sorta tra i discepoli su chi sia il più grande (vv. 46-48), sono stati oggetto del racconto di Marco che la liturgia ci ha proposto nelle due ultime domeniche. Entrambi mettono il dito sulla piaga dell’ambizione e quella dell’intolleranza che affiorano già nella comunità delle origini. Essere i primi, i migliori, e perciò, anche, avere l’esclusiva della rappresentanza del bene e del progetto di salvezza per l’umanità fa tutt’uno. E il povero Gesù si ritrova da due millenni a fare i conti, sconsolato, con l’ottusità della maggioranza dei suoi. Chi fa il bene, sia che si disponga ad accogliere, sostenere gli ultimi e i più piccoli del consesso umano, sia che si dia da fare per allontanare da esso i demoni dell’ingiustizia, dell’odio, della guerra, dello sfruttamento, della miseria, se lo fa nel “suo” nome, cioè in nome del principio della cura, anche senza conoscerlo o menzionarlo con il nome di Gesù, solo per questo fatto deve essere considerato dei “nostri”, cioè dei “suoi”. Piú chiaro di così si muore. Eppure la sua chiesa, santa e zuccona, non ha mai smesso da allora di proclamare questo suo Vangelo (e ringraziamone Dio), e di scomunicare quanti non seguissero i suoi propri dettami o si mettessero in qualche modo in competizione con essa (e chiediamogliene perdono).         

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di un martire dei nostri tempi: il Pastore Mohammad Bagher Yusefi, delle Assemblee di Dio dell’Iran.

 

28 Mohammad Bagher Yusefi.jpgNato nel 1962 in una famiglia musulmana, era diventato cristiano ancora giovane, impegnandosi da subito, in una realtà oggettivamente difficile e ostile, ad annunciare e testimoniare la Buona Notizia di Gesù. Quando divenne pastore della sua Chiesa,  colpì tutti per la sua mitezza e umiltà e la gente prese a chiamarlo Ravanbakhsh, che in persiano significa “colui che dà animo”.  La mattina del 28 settembre 1996, uscì di casa alle sei, per recarsi alla preghiera. Non vi fece più ritorno. Lo ritrovarono morto in una foresta nei pressi della sua città, Sari, capitale della provincia iraniana di Mazandaran. Mohammad Yusefi, oltre ai suoi due figli, Ramsina (9 anni) e Stephen (7 anni),  aveva cresciuto due figli del Rev. Mehdi Dibaj, un altro pastore cristiano, imprigionato per nove anni e ucciso, poco dopo la scarcerazione,  in circostanze analoghe, per essersi rifiutato di rinnegare la fede cristiana. La moglie di Mohammad, Akhtar, anch’essa di origine musulmana, era divenuta cristiana ai tempi del Rev. Hossein Soodmand, martirizzato nel 1990. Si tratta, dunque, di una piccola chiesa martire, che speriamo sappia produrre frutti di perdono, speranza e riconciliazione per tutti.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Zaccaria, cap.8, 1-8; Salmo 102; Vangelo di Luca, cap.9, 46-50.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

YOM KIPPUR.jpgOggi, 10 del mese di Tishri, per i nostri fratelli ebrei è Yom Kippur, il “Giorno del Perdono”,  Shabbat shabbaton, il “Sabato dei sabati”, la maggior festività giudaica, quella di cui il libro del Levitico dice “In quel giorno si compirà il rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti al Signore” (Lv 16, 30). È durante questa festa, che, nel kodesh ha-kodashim, il “Santo dei santi” del Tempio, per una sola volta durante l’anno, il sommo sacerdote, pronunciava il Nome di Dio (Jhwh), invocando per tutto il popolo il perdono dei peccati. L’intera giornata, ancora oggi, è caratterizzata dall’astensione da ogni tipo di lavoro, dal digiuno, e dalla preghiera che, in sinagoga, dura quasi senza interruzione da mattina a sera.  

 

28 Giovanni Paolo I.jpgOggi, ricorre anche l’anniversario della morte di Albino Luciani, divenuto papa col nome di Giovanni Paolo I, scomparso il 28 settembre 1978, dopo soli trentatre giorni di pontificato. Un periodo breve, brevissimo, ma sufficiente per sorprendere quanti, dal personaggio che conoscevano, non s’aspettavano probabilmente grosse innovazioni. Tra i temi che intendeva porre all’ordine del giorno del suo ministero c’erano quelli della ripresa coraggiosa del cammino ecumenico, della valorizzazione della collegialità dei vescovi, della presenza della donna nella società civile e nella vita ecclesiale, della denuncia decisa dello scandalo della povertà nel mondo, della riforma della curia romana. Ebbe solo il tempo di offrirci uno stile un po’ diverso di essere papa, semplice, accogliente, umile. Per non far torto al motto che aveva scelto: “humilitas”. Di lui vi proponiamo il brano del discorso tenuto in Vaticano, durante l’udienza  generale del 13 settembre 1978, due settimane prima della morte. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Papa Giovanni, in una sua nota, che è stata anche stampata, ha detto:  “Stavolta ho fatto il ritiro sulle sette lampade della santificazione”. Sette virtù, voleva dire e cioè fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Chissà se lo Spirito Santo aiuta il povero Papa oggi ad illustrare almeno una di queste lampade, la prima: la fede. Qui, a Roma, c’è stato un poeta, Trilussa, il quale ha cercato anche lui di parlare della fede. In una certa sua poesia, ha detto: “Quella vecchietta ceca, che incontrai / la sera che mi spersi in mezzo ar bosco, / me disse: – se la strada nun la sai / te ciaccompagno io, che la conosco. / Se ciai la forza de venimme appresso / de tanto in tanto te darò na voce, / fino là in fonno, dove c’è un cipresso, / fino là in cima, dove c’è una croce. / Io risposi: Sarà… ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede… / La ceca, allora, me pijò la mano / e sospirò: – Cammina -. Era la fede”. Come poesia, graziosa; come teologia, difettosa. Difettosa perché quando si tratta di fede, il grande regista è Dio, perché Gesù ha detto: nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira. S. Paolo non aveva la fede, anzi perseguitava i fedeli. Dio lo aspetta sulla strada di Damasco: “Paolo – gli dice – non sognarti neanche di impennarti, di tirar calci, come un cavallo imbizzarrito. Io sono quel Gesù che tu perseguiti. Ho disegni su di te. Bisogna che tu cambi!”. Si è arreso, Paolo; ha cambiato, capovolgendo la propria vita. Dopo alcuni anni scriverà ai Filippesi: “Quella volta, sulla strada di Damasco, Dio mi ha ghermito; da allora io non faccio altro che correre dietro a Lui, per vedere se anche io sarò capace di ghermirlo, imitandolo, amandolo sempre più”. Ecco che cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita. (Giovanni Paolo I, Vivere la fede, Udienza Generale 13 Settembre 1978)  

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 28 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-28T23:11:00+02:00da fraternidade
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