Giorno per giorno – 17 Settembre 2009

Carissimi,

“Uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo” (Lc 7, 36-38). Nella chácara di recupero, con gli ultimi arrivi, gli ospiti sono ora dieci: Fernando, Johnlenon, Leomar, Eliomar, Adailton, Jonathas, Luiz Fernando, Frederico, Sebastião, Ubiragir. Tanti quanti ne esige il minian, il quorum necessario ai nostri fratelli ebrei per fare validamente la preghiera comunitaria. Loro, i nostri amici, per via delle loro storie, sono quasi tutti a digiuno prolungato di preghiera e di Bibbia. E, lì, alla chácara Paraíso, si cerca di recuperare il tempo perduto anche su questo. Senza voler strafare. Così anche oggi, nel pomeriggio, ci si é confrontati un po’ sul Vangelo del giorno.  Luca è l’unico degli evangelisti a raccontare l’episodio della peccatrice perdonata a casa di Simone il fariseo, in una località non precisata della Galilea. Degli altri, Matteo racconta, sì, di un’unzione, avvenuta però a Betania, a casa di un certo Simone il lebbroso, dove una donna unge il capo di Gesù (Mt 26, 6-13). Non diverso è il racconto di Marco (Mc 14, 3-9). Giovanni, dal canto suo, non menziona Simone, ma dice che l’episodio ebbe luogo a casa di Marta e Lazzaro (Gv 12, 108) e identifica con la loro sorella, Maria, la donna che unge i piedi (come nel racconto di Luca), e  non  la testa di Gesù. Se i quattro racconti fossero riconducibili ad un’unico episodio, questo ci mostrerebbe come gli evangelisti non siano tanto preoccupati dell’esattezza dei dettagli, quanto di trasmettere un insegnamento vitale di Gesù, capace di istruire e, se necessario, di scuotere le rispettive comunità. Come nel caso di quella di Luca: chiesa di ricchi e poveri, di santi e peccatori, di tradizionalisti e di innovatori, di rigorosi custodi dell’ortodossia e di preoccupati cultori di una prassi misericordiosa. Il banchetto di cui si parla potrebbe anche stare a significare l’Eucaristia, la cui celebrazione riflette sempre concrete relazioni comunitarie, allora come oggi. Basate sull’accoglienza degli ultimi, o sulla loro esclusione, per dare spazio al convito dei virtuosi (non necessariamente davvero tali). Ecco perché Luca specifica di Simoneil fariseo”. La presenza di Gesù, e perciò anche del Pane che Egli è (e della chiesa che lo testimonia coerentmente), può sempre e solo innestare, invece, un circolo virtuoso: quello dell’amore preveniente di Dio, del pentimento e dell’amore di risposta che esso suscita, dell’esplicitazione del perdono, del nuovo e più grande amore.  

 

Oggi noi si fa memoria di Dom Gianfranco Masserdotti, pastore dei popoli senza voce, di  Ildegarda di Bingen, mistica benedettina, e di Adrienne von Speyr, medica e mistica.  

 

17 Franco Masserdotti.jpgGianfranco Masserdotti era nato a Brescia, il 13 settembre 1941. Entrato nell’istituto dei Missionari Comboniani, fu ordinato sacerdote il 26 marzo 1966. Conseguita la laurea in sociologia all’università di Trento, fu inviato missionario nel Nordest del Brasile, dove restò dal 1972 al 1979, quando fu richiamato a Roma per assumere l’incarico di Assistente generale della congregazione. Ritornato nel 1986, in Brasile, il 2 marzo 1996, fu consacrato vescovo coadiutore di Balsas (Maranhão), diocesi di cui divenne vescovo titolare due anni più tardi. All’interno della Conferenza Nazionale Episcopale del Brasile (CNBB) svolse la funzione di Presidente della CIMI (Conselho Indigenista Missionário) e di Vice-Presidente della Commissione Missionaria. Il 17 settembre 2006 morì vittima di un incidente stradale. È ricordato unanimemente come “religioso dalla grande sensibilità umana e spirituale, un missionario dedito totalmente alla causa dei poveri e un Vescovo illuminato e profondamente impegnato a preparare una Chiesa locale autosufficiente, significativamente presente sul territorio, dialogante con tutti, particolarmente attenta ai “più poveri e abbandonati” e missionaria, aperta a tutti i continenti”. Poche settimane prima, in occasione dei funerali di un altro grande della Chiesa brasiliana, Dom Luciano Mendes de Almeida, aveva detto: “La vera morte avviene quando riponiamo la nostra speranza e il senso della nostra vita nel possesso, nel potere, nel piacere senza limiti, quando chiudiamo il nostro cuore al prossimo e ci lasciamo trasportare dall’egoismo. La vera morte avviene quando ci lasciamo prendere dal timore di perdere la nostra vita a causa di Gesù e del Vangelo”.

 

17__ILDEGARD_DE_BIN.JPGIldegarda nacque nel 1098, ultima di dieci figli del nobile Ildelberto di Bermersheim e di sua moglie Matilda, nella provincia tedesca di Rheinhessen. Forse a causa della salute fragile, o per la precocità dell’intelligenza o, ancora per l’esperienza di involontarie visioni, la famiglia la inviò ancora bambina nel  monastero benedettino di Disibodenberg, affidandola alle cure e all’educazione della monaca Jutta di Spanheim. Consacratasi giovanissima, all’età di trentotto anni fu eletta abbadessa.  Studiò scienze e teologia e scrisse testi di medicina, biologia, cosmologia. Fu anche pittrice, compositrice, poetessa. Ebbe una serie di  visioni e per dieci anni, tra il 1140 e il 1150, scrisse su di esse, illustrandole, fornendone l’interpretazione e commentandone il significato. Una commissione inviata dal papa Eugenio III per indagare su lei e la sua opera, dopo aver ascoltato l’opinione a lei favorevole di Bernardo di Chiaravalle, la considerò ortodossa e ritenne le visioni autentiche. Da parte sua, Ildegarda esortò il papa ad impegnare le sue forze ad una profonda riforma della Chiesa. Scrisse estesamente sull’esigenza della giustizia sociale e della liberazione degli oppressi. Sottolineò  l’importanza di ricordare che ogni essere umano, creato a immagine di Dio, deve avere l’opportunità di usare e mettere a frutto i talenti ricevuti da Dio, realizzando in tal modo il progetto che lo stesso Dio ha per ciascuno di noi. Morì il 17 settembre 1179.

 

17 ADRIENNE VON SPEYR.jpgAdrienne von Speyr nacque a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, il 20 settembre 1902, in una famiglia protestante. Quindicenne ebbe la sua prima esperienza mistica. Completati gli studi secondari, si iscrisse alla Facoltà di medicina, al termine della quale, nel 1931 comincerà ad esercitare la professione medica. Nel frattempo, nel 1927,  aveva sposato Emile Dürr, di cui resterà tuttavia vedova sette anni più tardi. Nel febbraio 1936 sposò Werner Kaegi. Nell’aprile del 1940 ebbe l’incontro decisivo per la sua vita con il teologo gesuita Hans Urs von Balthasar, che divenne suo direttore spirituale. Il 1° novembre dello stesso anno, Adrienne ricevette il battesimo “sotto condizione”, entrando a far parte della Chiesa cattolica. Due anni più tardi visse l’esperienza angosciosa e traumatica delle stimmate. A partire dal 1944, benché priva di qualsivoglia formazione teologica, cominciò a dettare quasi quotidianamente a Von Balthasar testi di commento alla Bibbia e su altri argomenti teologici, frutto delle sue esperienze mistiche, che lo stesso Von Balhasar affermerà in seguito assolutamente decisivi in ordine alla sua evoluzione e produzione teologica. Assieme fonderanno nel 1945 l’istituto secolare Johannesgemeinschaft (Comunità di San Giovanni). Da allora continuarono e crebbero in frequenza le esperienze mistiche della Von Speyr. Perduta completamente la vista nel 1964, Adrienne morì a Basilea il 17 settembre 1967, memoria della grande mistica tedesca Ildegarda di Bingen.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera a Timoteo, cap. 4, 12-16; Salmo 111; Vangelo di Luca, cap.7, 36-50.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Le guerre nel mondo continuano a mietere vittime. Questa volta, a Kabul, è toccata a quindici civili afgani (tra cui, pare, alcuni bambini) e a  sei militari italiani. Per gli uni e per gli altri e per gli altri ancora, senza numero, non era questa la promessa che si portavano dentro. Ma i potenti, di ogni risma,  hanno deciso per loro. Che la nostra preghiera contribuisca a mitigare il dolore delle famiglie e a fermare la mano degli assassini. Per stasera è tutto. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura questa citazione di  Adrienne von Speyr, trovata in rete, che è per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Non vi è nulla nel mistero della carità che sia implicato di più del peccato. Niente che esiga di più la carità per essere compreso e spiegato. La radice più profonda per la comprensione del peccato è posta nella carità e anzitutto nella carità iniziale del Padre. Poi nella carità del Figlio e poi in quella dello Spirito Santo. Proprio quando la carità del Padre e del Figlio attraverso lo Spirito Santo giunge a noi, il peccato riceve il carattere proprio che gli deriva dalla redenzione: il carattere del perfetto allontanamento dall’amore, del rifiuto e della negazione della carità, dell’opposizione alla carità. Proprio perché il peccato qualifica la parte negativa in modo così marcato ed esclusivo, solo la carità può cancellarlo di nuovo, solo la carità più pura, la sola carità pura, la carità divina, può così ricondurlo al centro della carità (cf Gv 20,30). (Adrienne von Speyr).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-17T23:27:00+02:00da fraternidade
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