Giorno per giorno – 06 Settembre 2009

Carissimi,

“Uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effatà, cioè: Apriti!. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente” (Mc 7, 31-35). Siamo in territorio pagano, fuori, quindi, dai confini del popolo, della religione, della cultura di Gesù. E Lui, lì si manifesta per quello che è: Principio della misericordia e della cura. A cui tutti hanno diritto. E, se Gesù come verità di Dio riguarda tutti (se non riguardasse tutti, egli potrebbe al massimo rivendicare lo status di un idolino tribale, del tipo il dio Po, caro ai vostri Bossi e Calderoli, fino a una settimana fa), chiunque deve poter accedere all’esperienza di Lui, incontrarlo, coglierne e far suo il significato. Ora, tale esperienza è in qualche modo già compresa e significata nel gesto che Gesù pone in essere nel racconto presentatoci da Marco. È quella di aprire l’udito, di insegnare l’ascolto dell’altro (e dell’Altro) e perciò anche di noi stessi, e poi di parlare ciò che si è udito dall’altro (e dall’Altro) e da noi stessi. Dal profondo di noi stessi. Dal nostro cuore.  Il mistero di Dio che Gesù rivela è questa comunicazione che è già in Dio stesso tra Padre e Figlio attraverso lo Spirito. E tra Dio e la sua creazione. E tra Dio e l’umanità. E, quando il peccato interviene a dividerla tra ricchi e poveri, tra Dio e questi ultimi, come suoi interlocutori privilegiati. Dio infatti ha scelto di manifestarsi e dirsi, come Colui che, prima di ogni altra cosa, ha visto e udito: “Ho visto la miseria e ho udito il clamore” (Es 3, 7). Per questo noi lo possiamo pregare: “Signore, ascolta la mia voce!” (Sal 130,2). E Dio ci chiama ad essere come Lui. Per questo Gesù ci apre “sospirando” gli orecchi, perché è sempre troppo tardi. E ci scioglie la lingua, affinché possiamo annunciare, e più ancora testimoniare con le nostre azioni, non tanto lui, come fosse solo una bella storia di duemila anni fa, o un’innocua immagine dipinta sulle pareti di una chiesa, o, peggio ancora, il simbolo blasfemo di una guerra che muoviamo contro l’altro, lo straniero, il diverso, il povero, ma la Buona Notizia che egli è. Sempre e soltanto.

 

I testi che la liturgia di questa XXIII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.35, 4-7a; Salmo 146; Lettera di Giacomo, cap.2, 1-5; Vangelo di Marco, cap.7, 31-37.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Oggi noi ricordiamo Charles Péguy, poeta di Dio.

 

06 CHARLESPEGUY.jpgCharles Péguy era nato il 7 gennaio 1873 a Orleans. Rimasto a pochi mesi orfano di padre, fu cresciuto dalla madre, impagliatrice di sedie, e dalla nonna e conobbe la vita dei poveri. Entrato a scuola, studiando sodo e cavandosela bene, riuscì a ottenere una serie di borse di studio che gli permisero di arrivare, nel 1894, all’universitá, dove fu allievo di Romain Rolland e del filosofo Henri Bergson, e dove maturò le sue convinzioni socialiste. Abbandonata l’universita, Péguy si dedicò per tre anni alla stesura del dramma Giovanna d’Arco, il fascino per la cui figura l’accompagnerà per tutta la vita.  Nel 1897 sposò Charlotte Baudouin, sorella del suo miglior amico, Marcel, morto l’anno prima. Da lei avrà quattro figli. Nel 1898 a Parigi fondò con altri amici la “Libreria socialista Bellais”, ma l’esperienza non durò a lungo. Nel 1900 Péguy chiarì i caratteri della sua scelta socialista: “Noi siamo tra coloro cui non riesce per nulla di separare la rivoluzione sociale dalla rivoluzione morale, nel duplice senso che da un lato noi non crediamo che si possa realizzare profondamente, sinceramente, seriamente la rivoluzione morale dell’umanità senza operare l’intera trasformazione del suo ambiente sociale, e all’inverso noi crediamo che ogni rivoluzione esteriore sarebbe vana se non comportasse il dissodamento e il profondo rivolgimento delle coscienze”.  Nello stesso anno fondò la rivista quindicinale Cahiers de la quinzaine, di taglio socialista e dreyfusista (dal nome di Alfred Dreyfus, un ufficiale francese ebreo che, accusato falsamente di tradimento, divise in quel tempo la Francia, e che Péguy difese accanitamente).  Nel 1908, staccatosi dal socialismo ufficiale, ma non dai suoi ideali, confidò ad un amico di aver ritrovato la fede cattolica dei suoi primi anni. Per rispetto e amore della moglie che restava su posizioni agnostiche, non le propose di “regolarizzare” il matrimonio con il rito religioso, né di battezzare i figli. Convinto com’era che “Ci si deve salvare insieme. Non possiamo andare a Dio da soli. Lui ci chiederebbe subito: Gli altri dove sono?”. Negli anni successivi scrisse altri libri, a carattere religioso e mistico, che editorialmente si rivelarono un fallimento. Inviso agli antichi compagni, guardato con sospetto dai cattolici, Péguy, volta a volta pacificato e angosciato, continuò la sua personalissima battaglia, in cui convinzioni, vita, arte, teologia, diventano preghiera e dialogo con Lui. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si arruolò nella fanteria, come tenente della riserva. Inviato al fronte, cadde colpito a morte, a Villeroy, il 5 settembre 1914, primo giorno della battaglia della Marna.

 

In chiusura, vorremmo solo chiedervi in più di portare nelle vostre preghiere la nostra amica dell’Asilo, Tiazinha, che oggi abbiamo trovato dolorante per i postumi di una caduta, e il nostro amico di vecchia data, Armando, della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, che ci è venuto a visitare stamattina: ha da poco cominciato un trattamento contro l’hanseniasi ed è molto sofferente.

 

La speranza non va da sé”, scrive Charles Péguy in questa citazione tratta da “Il portico del mistero della seconda virtù”, che, congedandoci, vi proponiamo come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere c’’è solo da lasciarsi andare, c’è solo da guardare. Per non credere bisognerebbe farsi violenza, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Prendersi a rovescio, mettersi a rovescio, riprendersi. La fede è tutta naturale, tutta alla buona, tutta semplice… È una buona donna che si conosce, una buona vecchia, una buona vecchia parrocchiana, una buona donnetta della parrocchia… La carità purtroppo va da sé. Per amare il prossimo c’é solo da lasciarsi andare, c’é solo da guardare una simile desolazione. Per non amare il prossimo bisognerebbe farsi violenza, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi… La carità è tutta naturale, tutta zampillante, tutta semplice, tutta alla buona. È il primo movimento del cuore. È il primo movimento che è quello buono. La carità è una madre e una sorella… Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia. (Charle Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-06T23:54:00+02:00da fraternidade
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