Giorno per giorno – 21 Agosto 2009

Carissimi,

“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 37-40). Noi, ogni volta che si legge questo passo, che è uno dei più conosciuti e ripetuti del Vangelo, si vorrebbe lasciar perdere. Tanto sentiamo non essere vero nella nostra vita, lontano dal divenire pratica in quella dei movimenti, delle comunità, delle chiese, che pure si rifanno alla figura di Gesù Cristo. E meno ancora nelle società e civiltà che con una buona dose di approssimazione e faciloneria si sono dette lungo i secoli “cristiane”.  Non è un caso che i commenti su questa parola, da un po’ di tempo in qua, saltino quasi a pié pari, la prima parte della sentenza, la più importante ed esigente, perché ci chiede di consegnarci per intero alla verità dell’essere e dell’agire di Dio, assumendolo come verità della nostra vita, scivolino poi, imbarazzati, sull’amore del prossimo, per concentrarsi su quel “come te stesso”, il nostro porto sicuro, l’amore di sé, che è, poi, la cifra più vera della nostra civiltà. Così, anche in uno dei commenti di stamattina è venuto fuori che, è vero, per amare gli altri, dobbiamo prima imparare ad amare noi stessi. Il che potrebbe anche avere una sua parte di verità, se non fosse, che in genere ci si impiega una vita a cercare di imparare ad amare noi stessi (tagliando fuori nel contempo gli altri), senza per altro mai riuscirci. Anche perché, Lui ce l’ha insegnato già da duemila anni, chi ama la sua vita, la perde. E la maniera migliore per amare noi stessi è amare gli altri. Forse, a questo punto, varrebbe la pena di ricordare, come suggeriva recentemente il card. Martini, che la traduzione più corretta dell’espressione in questione è: “Amerai il tuo prossimo, perché è come te”. Anche se mi è antipatico, non lo sopporto più, mi ha deluso, ha ripreso a bere o a drogarsi, non la pensa come me, parla, prega, vive, diverso da me. “Lui da due giorni non beve, ha smesso di colpo, come suo solito, di bere e fumare e ieri era molto mal messo. Tremava molto, era nervosissimo e stava male. In compenso era più pulito. Una trentina di toscani al giorno lo fanno in genere sembrare uno spazzacamino. Lui, il suo lenzuolo, la maglietta e tutto quello che tocca. Oggi era il suo compleanno e io non ero sicura di come lo avrei trovato. Un conto è sperare il meglio per lui, un altro illudermi ogni volta che sia quella buona, anche se sempre ci spero. Questa mattina…  gli ho preparato le cotolette che a lui piacciono tanto, gli ho preso degli integratori con minerali e vitamine e tutto quello che gli serviva e sono andata, non senza un senso di fatica. Lui era sdraiato come sempre ma molto più bello. Mi ha fatto notare che era pulito e si era lavato e cambiato (ma non i piedi e le calze). Gli ho fatto un sacco di complimenti e poi gli ho chiesto se potevo lavargli i piedi e cambiare le calze (me lo lascia fare solo raramente) e così ho fatto. Gli ho tagliato le unghie, lunghissime, di mani e piedi e alla fine ero felice e gli ho detto: Così il regalo me lo hai fatto tu invece che io. Ed era quello di vederlo tutto pulito e in ordine. Era contento anche lui, anche se meno entusiasta di me. Quando sono venuta via mi risuonavano le parole: “Sei sulla strada giusta, vai pure… sì. è proprio la direzione giusta, sei proprio beata perché sei sulla strada”. Ed ero davvero contenta”. Ce lo scriveva due giorni fa una nostra amica. “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’inco­minciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo”. Lo dice Francesco d’Assisi nel suo testamento.  “Ama il tuo prossimo, perché è come te”. Anche i settantatre immigrati lasciati morire nel Mediterraneo. E i cinque sopravvissuti che ora rischiano l’incriminazione. Per la legge infame di un governo che non abbiamo parole.

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Rabbi Pinchàs di Korez, mistico ebreo, e ci ricorda il martirio della Comunità ebraica di Chinon.

 

21 Rabbi Pinchas.jpgRabbi Pinchàs era nato a Shklov, in Russia, nel  1728, figlio di Rabbi Avraham Abba, un tempo deciso oppositore del movimento dei chassidim. Almeno fino a quando incontrò il Baal Shem Tov, che gli fece cambiare idea. E, con lui, alla famiglia. Del nostro, il carismatico fondatore della scuola chassidica disse un giorno che “anime come quelle di rabbi Pinchàs vengono al mondo solo ogni cinquecento anni”. Pur avendo visitato il Baal Shem solo due volte, Pinchàs è considerato a tutti gli effetti uno dei suoi maggiori discepoli. A lui e alla sua scuola dobbiamo la trasmissione di alcuni detti del Maestro, di cui non troviamo traccia in altre fonti. Tra questi, fondamentale, l’insegnamento che dobbiamo amare di più chi più ci odia e ci fa del male, per compensare in qualche modo lo squarcio e il vuoto di santità provocato da quel comportamento. Stabilitosi a Korez, vi restò vent’anni, approfondendo lo studio della Torah e preoccupandosi di rinnovarsi continuamente, immergendosi nel proprio nulla. Insegnava: “Come il cacciatore mette cibo nel nido, e non appena l’uccello viene a mangiare tira la corda e gli imprigiona il piede, così il Maligno pone davanti all’uomo tutto il bene che ha compiuto, lo studio, la beneficienza e ogni pia azione, per prenderlo nella rete dell’orgoglio. Ma se questo riesce, l’uomo non è più capace di muoversi, proprio come l’uccello prigioniero. Allora nulla lo può più salvare se non l’aiuto di Dio”.  Conquistati dalla bellezza della sua anima, furono molti coloro che, di ogni condizione di vita, tra loro molti rabbini, si aggiunsero al circolo dei suoi discepoli. Per motivi che non sappiamo, si trasferì a Ostroh, in Volhynia. Nel 1790 decise di trasferirsi a Zfat, in terra d’Israele, ma lungo la via, giunto a Shipitovka (Russia), cadde malato e morì il 1o del mese di Elul del 5550 (20 agosto 1790).

 

21 Martiri ebrei di Chinon.jpgIl 21 agosto 1321, a Chinon, in Francia, 160 ebrei furono accusati di aver avvelenato i pozzi per provocare un’epidemia. Senza che nessuna prova fosse addotta a sostegno dell’accusa e senza alcun processo, vennero tutti bruciati vivi in un rogo, fatto erigere fuori città, su un’isola del fiume Vienne. Sarà, più tardi, lo stesso re Filippo V, il Lungo, a proclamare l’innocenza degli ebrei.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Ruth, cap.1, 3-6. 14b-16.22; Salmo 146;Vangelo di Matteo, cap.22, 34-40.

 

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad un aneddoto su Rabbi Pinchàs di Korez, che prendiamo dal libro “I Racconti dei Chassidim” (Garzanti) di Martin Buber. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Rabbi Pinhàs e i suoi scolari, quando si parlava di uomini cattivi e ostili, solevano richiamarsi al consiglio che una volta il Baalshem aveva dato al padre di un figlio rinnegato: che amasse di più suo figlio. “Se tu vedi uno che ti odia e ti fa del male,” dicevano, “devi farti forza e amarlo più di prima.  Solo così potrai fare che si ravveda. Poiché la comunità d’Israele è un veicolo per la santità. Se tra i suoi appartenenti c’è amore e unione, allora la Shechinà e ogni santità è su di essi. Ma se tra essi c’è, Dio non voglia, discordia, allora si fa uno squarcio e un vuoto e la santità cade giù nei ‘gusci’. Così, tu quando il tuo compagno si allontana da te nella sua anima, devi venirgli più vicino di prima, per colmare lo squarcio”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).


Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro. 

Giorno per giorno – 21 Agosto 2009ultima modifica: 2009-08-21T23:22:00+02:00da fraternidade
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