Giorno per giorno – 17 Agosto 2009

Carissimi,

“Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt 19, 21). Nel suo Discorso della montagna, Gesù aveva detto: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Ora ci fornisce un altro elemento di questa perfezione. Che consiste nello spogliarsi di tutto. Come Dio, appunto, che si dona in continuazione. Il che, noi, lo abbiamo appreso da Gesù. Se no, di suo, l’uomo mica poteva immaginarselo, lui che, Dio, era portato a pensarlo come un satrapo immobile e imperturbabile, assiso in trono nel più alto dei cieli e nei secoli dei secoli, che se fosse vero sarebbe già morto di noia lui per primo. Non è vero che a Gesù non piacciano i ricchi, semmai non gli piacciono le loro ricchezze, perché sa che gli fanno male. Comprese (anzi di più) le Chiese e le altre istituzioni ecclesiastiche, quando ne hanno. Dunque, Gesù a quel ricco (che siamo, poi, tutti noi che ci s’ha qualcosa oltre la pelle di cui Lui ci ha fornito, con l’aggiunta di un “Io” grande così) fa due tipi di proposte, non sapendo bene ancora se si tratti di uno che si accontenta o, invece, uno di grandi ambizioni. E, per rispettare in pieno la sua scelta, non mette in atto nessun tipo di ricatto. Così gli dice: se vuoi avere una vita benedetta da Dio, gurda bene, neppure ti obbligo ad andare in chiesa, cerca di essere bravo e rispettare gli altri; in sostanza: Ama il tuo prossimo come te stesso. Se, però. E deve esserselo guardato ben bene e aver pensato: questo è dei nostri!! E solo allora ha continuato: Se però, vuoi essere come Dio, essere cioè tu benedizione per gli altri, amare gli altri più di te stesso, allora va’, vendi quello che possiedi. E via di seguito. Il Regno (cioè, le relazioni umane a misura di Gesù, a misura di Dio) si realizza quando qualcuno comincia a [s]ragionare come Gesù. Diversamente, per bene che vada, avremo una società di bravi figlioli (e sarebbe già molto per i tempi che corrono), ma, confessiamolo, piuttosto noiosetta.    

 

Oggi è memoria di Johann Gerhard, teologo, e di quanti sono ricordati come i Martiri africani di Mombasa (sec.XVII).

 

17. Johann Gerhard.jpgJohann Gerhard nacque il 17  Ottobre 1582 a Quedlinburg, in Germania. All’età di quindici anni contrasse una grave malattia ed entrò in un tale stato di prostrazione che che si pensò dovesse presto morire. Questa esperienza contribuì in misura determinante a caratterizzare e ad approfondire la sua spiritualità, portandolo a comporre, a soli ventidue anni, opere dedicate alla preghiera e alla meditazione. Su consiglio del suo consigliere pastorale, Johann Arnd, che il giovane considerò per tutta la vita come un vero e proprio padre nello spirito, intraprese lo studio della teologia, dapprima a Wittenberg,  poi a Jena, a Marburg, e infine di nuovo a Jena, dove, il 13 novembre 1606, conseguì il suo dottorato. A Jena, a partire dal 1616, insegnò teologia fino alla morte. Con Johann Major e Johann Himmel costituì quella che nell’ambiente accademico venne chiamata la “terna dei Johann”, tre teologi con lo stesso nome, dei quali comunque, il nostro, benché il più giovane d’età,  fu presto riconosciuto come il maggior teologo vivente del Protestantesimo tedesco. Nel 1621 compose i “Loci theologici”, che costituiscono un vero e proprio compendio dell’ortodossia luterana. Oltre alla Sacra Scrittura, studiò e approfondì la spiritualità patristica e medievale, che gli permise di riscoprire in tutta la sua ricchezza il principio del senso spirituale dell’esegesi. Assieme all’attività di studio, si dedicò alla direzione spirituale di molti uomini di chiesa e di statisti. Morì il 17 agosto 1637.

 

Il conflitto scoppiato nel 1614 tra i portoghesi e i nativi delle isole di Zanzibar e Lamu (tra i quali c´era un buon numero di convertiti al cristianesimo) culminò nell’assassinio del sultano Hassan e in innumerevoli angherie nei confronti della popolazione locale. Questo portò il nuovo sultano, Yusuf (che pure era stato cristiano), alla decisione di tornare alla religione islamica e di cancellare ogni traccia della religione dei colonizzatori bianchi. Le spese le fecero comunque soprattutto i nativi. Furono circa centocinquanta gli africani che rifiutarono di abbandonare la fede cristiana, incontrando così la morte.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dei Giudici, cap. 2, 11-19; Salmo 106; Vangelo di Matteo, cap.19, 16-22.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista. 

 

È tutto per stasera. Noi ci congediamo con questa citazione di Johann Gerhard, tratta dalle sue “Sacred Meditations”, che ci siamo presi la briga di tradurre per voi. Per proporvela come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La fede non è una semplice opinione o una vuota professione; è una viva ed efficace comprensione di Cristo così come Egli è presentato nel Vangelo. Essa è una sincera convinzione della grazia di Dio per noi, una quiete fiduciosa del cuore, e una pace imperturbabile della coscienza fondata sui meriti di Cristo. Tale fede nasce dal seme della parola divina, poiché la fede e lo Spirito sono una cosa sola, ma è attraverso la Parola che lo Spirito è comunicato alle nostre anime. La fede è della stessa natura del seme. Essa è un frutto divino; perciò il seme divino, cioè la parola di Dio, dev’essere sempre presente. Così come nella creazione, la luce apparve al suono della parola di Dio, perché Dio disse: “Sia la luce” e la luce fu (Gen 1,3); così la luce della fede sorge dalla luce della Parola divina . “Nella tua luce noi vedremo la luce”, dice il Salmista (Sal 36, 9). Dato che, poi, la fede ci unisce strettamente a Cristo, essa è in realtà la madre di tutte le virtù in noi. Dove c’è la fede, c’è Cristo; dove c’è Cristo, c’è una vita santa, cioè, vera umiltà, vera bontà, vero amore. Cristo e lo Spirito Santo non sono mai separati; e quando lo Spirito Santo è presente in un’anima, vi è allora vera santità. Perciò, quando la vita non è santa, è perché lo Spirito santificante è assente; e se lo Spirito Santo è assente, Cristo non può essere presente; e se Cristo non c’è, neppure c’è in essa una vera fede. Ogni tralcio che non trae la sua vita e il suo aiuto dalla vite, non può considerarsi unito alla vite (Gv 15, 4); così noi non siamo uniti a Cristo dalla fede, se non riceviamo da Lui tutta la nostra vita e la nostra forza spirituale. La fede è la nostra luce spirituale; essa illumina i nostri cuori e diffonde tutt’intorno il salutare influsso dei suoi raggi nelle nostre buone azioni; e dove mancano buone azioni, quei luminosi raggi della vita spirituale, lì la luce della vera fede non è ancora sorta. (Johann Gerhard, Sacred Meditations, XII) .

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Agosto 2009ultima modifica: 2009-08-17T23:58:00+02:00da fraternidade
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