Giorno per giorno – 05 Agosto 2009

Carissimi,

“Gesù rispose: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. È vero, Signore, – disse la donna – eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Allora Gesù le replicò: Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri. E da quell’istante sua figlia fu guarita” (Mt 15, 26-28). L’episodio segna una nuova presa di coscienza di Gesù circa i destinatari della sua missione. Il passaggio dalla convinzione che egli dovesse sostanzialmente dirigersi “alle pecore perdute della casa d’Israele” (v.24) alla percezione improvvisa, propiziata dalla parola di quella donna pagana, che l’orizzonte della sua azione di riscatto fosse assai più ampio di quello pensato inizialmente. Con la sua preghiera insistente quella donna gli ricordava un principio che egli aveva già espresso: “Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliene domandano!” (Mt 7, 11). Noi, dice infatti la donna, in quanto stranieri e pagani, saremo pure cani (o anche peggio, come da sempre è pensato il “diverso”); ma ora, dimmi, il tuo Dio non saprà essere migliore del peggiore dei nostri padroni, che riserva pur sempre ai suoi cani almeno i resti della sua mensa? E il povero Gesù, colpito e affondato! Ma anche, subito, pronto a riconoscere che questa fede – la fede di una donna pagana che non sa nulla delle veritá ebraiche e futuramente cristiane – è grande. Ed è la sola capace di pensare ed esprimere Dio nel modo giusto. Con tutte le conseguenze per il comportamento di coloro che dicono di credere in Lui. 

 

Oggi facciamo memoria dei Diecimila martiri ebrei dei progrom del 1391 in Spagna.

 

05 antica sinagoga di Barcellona.jpgTutto era cominciato con la predicazione – che durava dal 1378 – di un esaltato e sciagurato figuro, di nome Ferrand Martinez, arcidiacono della città di Écija, in Andalusia (Spagna). Da quando il chierico aveva preso ad incitare le folle ad uccidere gli ebrei e a saccheggiarne le proprietà, affermando che così facendo, avrebbero fatto opera grata a Dio. La violenza esplose, alla fine, il 6 giugno 1391 a Siviglia e si estese nei mesi successivi a tutta la Spagna, con l’eccezione di Granada. Nella data di oggi si ricorda l’assalto all’antico quartiere ebraico di Barcellona, costruito quattrocento anni prima nei pressi del castello. Solo nel primo giorno si contarono 250 morti ammazzati, quasi altrettanti lo furono nei giorni successivi. L’intero quartiere ebraico venne raso al suolo. Durante un anno, sarebbero stati circa diecimila, in tutta la Spagna, gli ebrei che pagarono con la vita la loro fedeltà alla religione dei padri. Che era la stessa religione di Gesù.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dei Numeri, cap.13, 1-2. 25 – 14, 1.26-30; Salmo 106; Vangelo di Matteo, cap.15, 21-28.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti operano in vista della pace, della giustizia e della fraternità tra i popoli, quale che sia la fede religiosa o la filosofia di vita professata.

 

“Il dieci del quinto mese, anno settimo, alcuni anziani d’Israele vennero a consultare il Signore e sedettero davanti a me” (Ez 20,1). Secondo un midrash (Shir Hashirim Rabba 7,8), gli uomini venuti a consultare Dio erano Anania, Misaele e Azaria, i compagni di Daniele, condannati a morte dal re Nabucodonosor, per aver disobbedito all’ordine di adorare l’idolo. Ciò che volevano sapere era se Dio li avrebbe salvati. E Dio, attraverso il profeta, dice loro che no, non li avrebbe salvati. Al che essi rispondono: Ebbene, ci salvi o no, noi siamo pronti al martirio. Affermazione che traducono nella sfida che lanciano a Nabucodonosor: “Sappi che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace con il fuoco acceso e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto” (Dn 3, 17-18). Riflettendo su questo “anche se non” (che suona in ebraico hen lâ, cioè, letteralmente, “ no”), André Neher, nel suo libro “L’esilio della parola” (Marietti), legge in esso, sulla scorta di Isaac Abrahams, uno “dei valori permanenti del pensiero ebraico”.  È solo a partire da questo silenzio/assenza di Dio che si dà il martirio; “dal cuore del No che scaturisce il ” e la fede è allora “segno supremo dell’azione volontaria, della scelta deliberata e irreversibile”, che “appare dal nulla”.  Dal libro di Neher  prendiamo e vi proponiamo in lettura una citazione che ci sembra adeguata alla memoria odierna e che è per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Al martirio è necessario il paesaggio deserto. Solo il paesaggio arido e desertico, dove non s’intuisce alcuna traccia di Dio – neppure la sua ombra  -, dove non si percepisce alcuna parola di Dio – neppure la sua eco -, dove le cose non sono il riflesso di una realtà che le circonda o le illumina dall’esterno, ma sono soltanto se stesse, accartocciate nell’abbandono e nella nudità del loro proprio essere, solo questo paesaggio può essere il luogo di nascita della fede, che fa germinare il a partire delle radici del No. Hen lâ’! […] I martiri della storia vivono in questo universo, senza essere salvati. Nella situazione di frontiera di un Giobbe, ma che muore sul suo letamaio, di un Abramo, ma che uccide suo figlio, essi costruiscono di fronte alla No God’s Land il della loro Man’s land. Costruiscono la speranza frustrata della salvezza. Ma non lo fanno senza che esploda il rumoreggiare della rivolta, lanciando verso Dio muto i dardi della collera umana. Tra i Selihot, poemi composti in pieno medioevo cristiano, all’epoca delle crociate, dei roghi e dei massacri di ebrei, tutto un gruppo di questi scritti, ben individuabili per il loro taglio metrico e per il loro tema ricamato sul capitolo XXII della Genesi, porta il significativo titolo di ‘aqedâ. Raramente queste ‘aqedot, scolpite sullo sfondo di ciò che accadeva a Blois, a Worms, a York sono ispirate a serenità. Un soffio di rivolta le percorre, e l’autore di una di esse si erge all’improvviso verso il cielo gridando: “Un tempo, per una sola ‘aqedâ che, per giunta si concluse felicemente, ci fu tutto uno scompiglio in cielo, e gli angeli, i cherubini, i serafini si radunarono e volteggiarono… ed ora tante e tante ‘aqedot hanno luogo sotto i tuoi occhi, tanti e tanti innocenti sono massacrati, e Tu taci?”. (André Neher, L’esilio della parola).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Agosto 2009ultima modifica: 2009-08-05T23:37:00+02:00da fraternidade
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