Giorno per giorno – 21 Luglio 2009

Carissimi,

“Egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12, 48-50). C’è chi sostiene che la famiglia di sangue di Gesù vantasse nella comunità cristiana qualche diritto di precedenza, e che questa parola servisse in qualche modo a rimetterla al suo posto. A noi comunque interessa ciò che l’Evangelo vuol dire a noi, oggi, qui, duemila anni dopo. E l’accento ci sembra vada posto su ciò che ci fa “famigliari” di Gesù: non un certificato di nascita (o, se si preferisce, di battesimo), né il partecipare periodicamente a riti che ci tocchino affettivamente o emotivamente (la festa, il “pasto”), e meno ancora il riconoscersi in una determinata cultura (religiosa, politica o che altro, che troppo facilmente si etichetta come cristiana), ma il “fare la volontà del Padre”, che si riassume nella Buona Notizia ai poveri, portata dal Signore Gesù. Diversamente si è inesorabilmente “fuori”. Come appunto, i famigliari di Gesù, nel brano evangelico di oggi (Mt 12, 46). Ed è impossibile comunicare con Lui.

 

Oggi noi ricordiamo: Alejandro Labaca e Inés Arango, missionari e martiri nella foresta ecuadoriana; Albert John Luthuli, testimone di pace, e Franco Rodano, uomo dell’Esodo.

 

21 Arango y Labaka.jpgIl 21 luglio 1987 cadevano nella foresta amazzonica dell’Ecuador monsignor Alejandro Labaca, vescovo cappuccino  del Vicariato apostolico di Aguarico,  e suor Inés Arango, terziaria cappuccina della Congregazione della Sacra Famiglia. Alejandro Labaca era nato il 19 aprile 1920 a Beizama (Spagna). Cappuccino dal 1942, e sacerdote dal 1945, era stato mandato missionario in Ecuador, dove aveva speso decenni nell’approssimazione agli indigeni della regione amazzonica, apprendendo e condividendo con loro, lingua, costumi, tradizioni, modo di vestire e di mangiare. Riuscì a farsi benvolere da tutti i gruppi huaorani, meno uno, i tagairi, che non avevano mai accettato l’intromissione di nessuno sul loro territorio. Nominato vescovo di Aguarico, il 2 Agosto 1984, denunciò ripetutamente le violazioni del diritto alla vita, alla terra e alla salvaguardia della propria cultura perpetrate ai danni dei popoli della foresta da parte delle compagnie petrolifere, delle istituzioni e del governo. Quando, nel luglio del 1987, seppe che la Petrobras era decisa ad entrare nella regione abitata dai tagairi, volle recarvisi, con suor Inés Arango, benché entrambi fossero consapevole dei rischi che questo implicava. Il piano era discutere con gli indigeni la maniera di sfuggire al probabile sterminio. Il 21 luglio 1987, il vescovo e la suora furono depositati da un elicottero in una radura della foresta, e non se ne seppe più nulla fino al giorno, quando i loro corpi furono trovati, trafitti con decine di colpi di lancia. “Morti come huaorani, in difesa degli huaorani, uccisi dagli huaorani, ritenuti nemici, confusi con i loro nemici”.

 

21 Lutuli.jpgAlbert John Luthuli era nato nel 1898 a Bulawayo (nell’attuale Zimbabwe) dove il padre era missionario. Il  nonno era capo di una piccola tribù a Groutville nella riserva della missione di Umvoti vicino a Stanger, nel Natal (Sudafrica). Alla morte del padre, Luthuli con la madre e il resto della famiglia fece ritorno al paese d’origine. Conseguito il diploma di insegnante, Luthuli sposò, nel 1927, Nokukhanya Bhengu, da cui avrà sette figli. Nel 1928 divenne segretario dell’Associazione degli Insegnanti africani e crebbe, nel frattempo, la sua attività in seno alla Chiesa congregazionalista di cui faceva parte.  Il 1° gennaio 1936, lasciato l’insegnamento, subentrò allo zio nella guida della tribù, e mantenne la carica fino al 1952, quando fu “dimissionato” dal Governo della minoranza bianca del Sudafrica. Questo gli  consentì, tuttavia, di dedicarsi a tempo pieno alle attività del ANC (Congresso Nazionale Africano), fino ad emergere come suo leader nazionale. La strategia dell’ANC combinava educazione politica e resistenza attiva non-violenta, i cui strumenti erano gli scioperi, il boicottaggio e la disobbedienza civile. La partecipazione alla lotta non-violenta per la fine del regime dell’apartheid si tradusse in ripetuti arresti e condanne al confino. Ma, gli valse, a livello internazionale, il conferimento del premio Nobel per la Pace, nel 1960. Contrariamente a quanti, suoi compagni di lotta, vedevano nel cristianesimo niente più che la religione degli oppressori, continuò a vivere con intensità e coerenza la sua fede cristiana. Vedendo, anzi in essa, la motivazione più vera e la radice più profonda del suo impegno politico. Luthuli morì il 21 luglio 1967 in un drammatico incidente ferroviario. 

 

21 RODANO.jpgFranco Rodano è un nome che, oggi, forse, dice poco ai più, ma che ha significato molto per la generazione di  cattolici, cresciuta, in Italia, nel crogiuolo della lotta antifascista e per quella che nel dopoguerra si è data come compito, nella confluenza con le forze espresse dal movimento operaio,  quello di pensare e di aprire le vie di una salvezza storica, a partire dall’eliminazione dell’individualismo e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nato a Roma il 6 agosto 1920, Rodano iniziò la sua carriera come antifascista militante nelle file dell’Azione cattolica e della Fuci.  All’inizio degli anni quaranta è tra i promotori di quello che sarà il Partito comunista cristiano. Incarcerato e deferito al Tribunale Speciale, dopo l’8 settembre fonda il Movimento dei cattolici comunisti, chiamato in seguito Partito della sinistra cristiana. Allo scioglimento di questo, con altri militanti e dirigenti del partito aderisce al Pci, contribuendo con la sua riflessione al superamento della pregiudiziale atea e delle strettoie ideologiche che avevano caratterizzato fino ad allora il maggiore partito della sinistra italiana.  Sofferta, ma senza cedimento alcuno a sterili forme di ribellismo, fu la sua testimonianza di fede. Colpito nel 1947 da interdetto, nonostante la sofferenza che la misura gli causa, Rodano continuerà con umiltà e costanza la sua partecipazione alla vita della Chiesa, nei limiti stabiliti dall’autorità ecclesiastica, fino a che la sanzione sarà ritirata, nel clima aperto dal Concilio Vaticano II, e poi fino alla morte, avvenuta a Monterado (Ancona) il 21 luglio 1983.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dell’Esodo, cap.14,21 – 15,1; Salmo (da Es 15); Vangelo di Matteo, cap.12, 46-50. 

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Ieri è nato (a Faina, perché qui a Goiás non si trovava un medico che potesse assistere al parto!!), Daniel, figlio di una appena sedicenne Carola, figlia di Cleusa, figlia della nostra dona Almerita (che così è già bisnonna). E se è vero che ogni nascita è un augurio sul mondo, vale comunque la pena di accompagnarla con la nostra preghiera. Per stasera, è tutto. Giusto un anno fa vi proponevano in chiusura il brano di un articolo di Franco Rodano, apparso in “Il Regno-attualità” del  15 giugno 1981, col titolo Nella Storia comune degli uomini, come contributo al dibattito su “Identità cristiana e laicità della politica”. Ve ne propponiamo ora un altro, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il cristiano si trova sollecitato, in termini mediati, dall’annunzio evangelico a fornire con le sue opere “naturali”, con il suo modesto e laborioso contributo alla vita della società, una triplice, fondamentale testimonianza. La sua aspettativa di un assoluto a carattere trascendente gli permette infatti di avvertire anzitutto, e con ogni chiarezza, che il necessario processo di sviluppo dell’umanità associata non è, e non può essere, la via per il superamento e la liquidazione di ogni limite inerente all’uomo per sua natura; e che quindi la tensione, nel secolo, verso un tale traguardo – vissuta con particolare insistenza e frenesia dall’individuo moderno – non è per nulla in grado di condurre alla cosiddetta “felicità”. In secondo luogo, e per lo stesso motivo, il cristiano non può non essere limpidamente conscio che se, di contro, gli uomini si propongono appunto, sul piano e con i mezzi della vita secolare, di spingersi quasi a strappare una mèta di autoassolutizzazione, il risultato di una siffatta, deviante pretesa non può non esser quello di compromettere sempre più gravemente, e da ultimo di portar a fallire, la stessa costruzione concreta ed effettiva dell’edificio sociale, in corrispondenza, via via, con la maturazione storica raggiunta.  Infine – posto che, certo, la felicità rettamente intesa è pur sempre un obiettivo non obliterabile e un desiderio inestinguibile nel cuore dell’uomo -, il cristiano non può non essere edotto, in sintonia con quanto sopra, che il messaggio della sua fede porta a comprendere come una “felicità assoluta” possa venir trovata solo se si cessa dal perseguirla ostinatamente in impropri, contraddittori termini di autosufficiente e “rapinosa” ricerca. Esso sospinge dunque a riconoscere che, sul piano secolare, la vita dell’uomo si svolge “naturalmente”, “creaturalmente”, nella dimensione del servizio reciproco; e che dunque sta qui, di preciso, la sua terrena, modesta e sommessa felicità, e a un tempo – poiché ogni individualismo va estinto – la sua croce. (Franco Rodano, Nella Storia comune degli uomini).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Luglio 2009ultima modifica: 2009-07-21T23:57:00+02:00da fraternidade
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