Giorno per giorno – 02 Giugno 2009

Carissimi,
“I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani mandarono a Gesù alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso” (Mc 12, 13). Ciò che, in primo luogo, emerge, nel Vangelo d’oggi, è questa davvero poco santa alleanza tra gli esponenti del potere religioso, di quello politico e della élite culturale, che ha come scopo di togliere di scena Gesù, la Buona Notizia che il Padre ha inviato al mondo. Che incomoda, evidentemente, i Poteri. Se l’Evangelista lo annota, è perché questa eventualità rappresenta una costante nel tempo. Proprio oggi ci è capitato sotto gli occhi questo passo di una lettera scritta, il 6 agosto 1959, da don Giuseppe De Luca a mons. Montini, allora arcivescovo di Milano, sul clima che regnava nella Curia romana, nei mesi successivi all’elezione a papa di Giovanni XXIII: “La Roma che tu conosci e dalla quale fosti esiliato non accenna a mutare come pareva che dovesse pur essere alla fine. Il cerchio dei vecchi avvoltoi, dopo il primo spavento, torna. Lentamente, ma torna. E torna con sete di nuovi strazi, di nuove vendette. Intorno al carum caput [Papa Giovanni] quel macabro cerchio si stringe. Sì, ricomposto, certamente”. A essere realisti, il cerchio dei vecchi avvoltoi non ha mai cessato di volare sulla chiesa, cercando di volta in volta le alleanze giuste che consentano di neutralizzare e spegnere i fermenti di Vangelo che lo Spirito non cessa di seminare ovunque. Anche dove sembrerebbe ormai impossibile. Sì, i vecchi avvoltoi. Ma il Vangelo aggiunge anche che i poteri riescono ad avere complici, nella loro manovra, gente del popolo, religiosi devoti come i farisei assieme a sostenitori della casa di Erode, il ricco, corrotto e dissoluto tetrarca della Galilea. E, allora, una volta di più, in ballo, potenzialmente, ci siamo anche noi. Ed è, perciò anche a noi che Gesù dice: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Mc 12, 17). Ma si tratta di intenderlo bene. Gesù non si preoccupa di garantire il mantenimento dell’ordine sociale, l’ossequio alle autorità costituite, il pagamento delle tasse, e neppure di richiamare il nostro dovere di assolvere i nostri obblighi religiosi. Si premura invece che si dia a Dio ciò che è di Dio. Non un dio qualunque, creato ad hoc dal “sistema-mondo” o da noi stessi costruito a nostra immagine e somiglianza, ma il Padre che, continuamente, dona e si dona, si prende cura, e ci vuole liberi da ogni oppressione, politica, economica, sociale, religiosa. Se noi diamo a Dio, a questo Dio, ciò che da Lui abbiamo ricevuto, la nostra vita in primo luogo, se cioè facciamo di essa l’espressione di questo assoluto, non ci prostituiremo più davanti a nessun Cesare, non ci lasceremo beffare da nessun “unto del Signore”, ma ci lasceremo guidare da Dio nella scelta corretta in ogni situazione. Scelta che ribadirà sempre e comunque il primato dell’uomo, di ogni uomo. Perché, come diceva mons. Romero, parafrasando s. Ireneo, “la gloria di Dio è che il povero viva”. E, di conseguenza, il suo disonore, la sua più vera negazione, consiste nello sfruttamento, nell’oppressione, nell’esclusione, nella morte a cui questo nostro Sistema condanna i poveri. Di fronte a questo, le nostre chiese che fanno, noi che facciamo?

Noi, oggi, si fa memoria di Jacques de Jesus, carmelitano, martire sotto la dittatura nazista, di Giulio Facibeni, prete per gli altri, e di Blandina e compagni, martiri in Gallia.

02 Jacques de Jesus.jpgLucien Louis Bunol nacque a Barentin (Francia), quarto di otto figli della famiglia di Zoé Pauline Pontif e Alfred Joseph Bunol. Seguendo la chiamata al sacerdozio, entrò a dodici anni entrò nel seminario minore di Rouen. L’11 luglio 1925 fu ordinato prete. Dopo aver insegnato per alcuni anni, sentendosi attratto dalla vita contemplativa, prese contatto, nel 1927, con il Carmelo di Havre e cominciò ad insistere con il suo vescovo perché gli permettesse di lasciare la diocesi per entrare nel Carmelo. Il che avvenne il 28 agosto 1931. Un anno più tardi emise i suoi primi voti, assumendo il nome di Jacques de Jesus. Nel 1934 il Consiglio Provinciale dell’Ordine gli affidò la direzione di un collegio fondato a Avon e il frate ci si dedicò anima e corpo. Il 3 settembre 1939 la Francia entrò in guerra e anche padre Jacques fu inviato al fronte. Fatto prigioniero il 18 giugno 1940, fu liberato a novembre. Nel gennaio del 41 la scuola riaprì. Nel 1943, d’accordo con i suoi superiori, accolse e nascose in collegio tre ragazzini ebrei per salvarli dalla deportazione ed entrò in contatto con la Resistenza per offrire una via di scampo a quanti fuggivano dalla deportazione dei civili decisa da Hitler per fornire mano d’opera schiava all’industria di guerra tedesca. Il 15 gennaio, in seguito ad una spiata, padre Jacques fu arrestato assieme ai tre ragazzi ebrei dalla Gestapo. (Le circostanze saranno narrate nel film di Louis Malle, Au revoir, les enfants). Rinchiuso nella prigione di Fontainebleau, fu trasferito qualche mese più tardi a Compiègne, poi nel campo di rappresaglia di Sarrebrück, infine a Mauthausen et a Gusen, ovunque esercitando nascostamente il suo apostolato. Il 5 maggio 1945, il campo di Gusen fu liberato dagli americani. Trasferito all’ospedale di Linz, in Austria, padre Jacques si spense dolcemente. Le sue ultime parole furono: “Negli ultimi momenti, lasciatemi solo”. Era il 2 giugno 1945. Nel memoriale di Yad Vashem, a Gerusalemme, Jacques Bunol è onorato dagli ebrei come “Giusto tra le nazioni”.

02 GIULIO FACIBENI BIS.jpgGiulio Facibeni era nato a Galeata, in provincia di Forlì, il 29 luglio 1884, in una famiglia poverissima di risorse, ma ricca di figli, ed era cresciuto, per dirla con le sue parole “con l’ansia degli studi e dell’impossibilità di compierli”. Dopo il liceo, nel 1904, si spostò a Firenze, dove s’iscrisse alla Facoltà di Lettere, lavorando nel contempo come assistente nel semiconvitto delle Scuole Pie fiorentine, per mantenersi agli studi. Fu qui che maturò la sua vocazione a prete. Ordinato nel 1907, per cinque anni si dedicò all’azione pastorale tra le figlie dei carcerati, nelle scuole parrocchiali serali e fra gli studenti medi. Nel 1912 fu mandato nella popolosa parrocchia di S. Stefano in Pane, nella zona industriale di Rifredi. Lasciò così l’insegnamento, decidendo anche di rinunciare alla laurea, ormai prossima, per dedicarsi anima e corpo al nuovo campo di apostolato. A Rifredi, nel primo dopoguerra creò l’Opera della divina Provvidenza Madonnina del Grappa: “una famiglia per chi non ha famiglia”, come diceva lui. Si trattava degli orfani che la guerra, l’inutile strage, aveva lasciato dietro di sé. Seppe amare quei ragazzi come un vero padre. Altre opere sarebbero seguite negli anni successivi. Durante la Seconda Guerra Mondiale profuse il suo impegno per salvare gli ebrei, vittime delle leggi razziste emanate dal regime fascista. Nel 1948, fu colpito dal morbo di Parkinson, che lo rese, per gli ultimi dieci anni di vita, sempre più dipendente dagli altri. Morì a Rifredi il 2 giugno 1958. Aperto, sulla sua scrivania, aveva il libro Esperienze Pastorali di don Lorenzo Milani, a cui aveva promesso una recensione ampiamente favorevole. Ma potè presentarla solamente lassù.

02 BLANDINA.jpgIl documento conosciuto come Atti dei Martiri di Lione è una lettera che le Chiese di Lione e di Vienne inviarono a quelle d’Asia e Frigia, con il resoconto delle persecuzioni scatenate contro i cristiani negli anni 177 e 178. Il tutto era stato originato da un pogroom anticristiano, a cui il magistrato rispose con un’azione giudiziaria generalizzata. Contro le vittime, naturalmente, non contro gli aggressori. Blandina era una schiava che faceva parte del gruppo capeggiato dal vescovo Potino ed era stata arrestata assieme alla sua padrona. Condotta inizialmente nell’anfiteatro e appesa ad una croce, aveva pregato ad alta voce e le fiere l’aveva risparmiata. Successivamente, fu costretta ad assistere alla morte atroce dei suoi compagni, mentre lei superava il tormento della graticola ardente. Infine, rimasta sola, fu lasciata in balia della furia di un toro, che colpendola con le corna, la lanciò più volte in aria. Fu finita con la spada

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Tobia, cap.2, 9-14; Salmo 112; Vangelo di Marco, cap.12, 13-17.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

Lo scorso 16 maggio, a Rifredi (Firenze), nella parrocchia di S. Stefano in Pane, che fu di don Facibeni, si sono riunite circa 300 persone, espressione di diverse realtà ecclesiali del vostro Paese, nel Convegno “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”. Vi erano convenute, mosse dalla comune convinzione che “Il Concilio Vaticano II è stato ed è una grande grazia, la grazia maggiore donata alla Chiesa del nostro tempo, perché essa riscopra la forza del Vangelo nella storia vissuta” e dalla consapevolezza che “Il Signore ci ha chiamati a edificare non una chiesa che condanna, ma una chiesa che manifesti la misericordia del Padre, viva nella libertà dello Spirito, sappia soffrire e gioire con ogni donna e con ogni uomo che le è dato di incontrare”. Gli amici e amiche che desiderassero saperne di più, potranno trovare i contributi nel sito www. Statusecclesiae.net . Noi scegliamo di congedarci proponendovi un brano dell’intervento del teologo don Pino Ruggieri, che ha per titolo “Per una chiesa della fraternità”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La via della povertà, come stile della chiesa nel mondo, significa una cosa molto semplice. Nella sua missione in mezzo agli uomini la chiesa deve usare gli stessi mezzi che ha impiegato il Cristo e cioè soltanto la potenza del Vangelo. La chiesa dei poveri è prima ancora una chiesa povera. […] I privilegi giuridici che la chiesa ha accumulato lungo i secoli vanno abbandonati laddove il loro uso può far dubitare della sincerità della testimonianza evangelica. Dovremmo ben comprendere l’ironia eversiva dell’autore della lettera agli Efesini quando, usando proprio il linguaggio delle armi, ci esorta a prendere l’armatura completa di Dio, la verità per cintura dei nostri fianchi; a rivestirci della corazza della giustizia; a mettere come calzature ai nostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; a prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potremo spegnere tutti i dardi infocati del maligno, e anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. Il destino di questa istanza evangelica come stile della missione della chiesa, dopo il Concilio e fino ai nostri giorni, è stato ed è amaro. Con l’eccezione dei vescovi dell’America Latina, possiamo dire che i brani relativi siano stati semplicemente censurati dal magistero ecclesiastico successivo. Di “Lumen Gentium” 8, 3, per lo più viene citato solo l’ultima parte, quella della necessaria penitenza nella chiesa senza alcun nesso con l’istanza della povertà evangelica. L’attuale ricorso da parte della gerarchia ecclesiastica a strumenti giuridici e politici per la difesa dei valori considerati essenziali è il riflesso lampante di questa censura. E quando si parla di povertà, esigita soprattutto dai ministri della chiesa, se ne parla in senso individuale, non come stile oggettivo e obbligatorio della chiesa stessa nell’annuncio e nella testimonianza del vangelo. Sta a noi, se vogliamo proprio evitare la ricaduta della chiesa nel temporalismo, nella pretesa di contendere e controllare gli altri poteri presenti nella società, di far valere la forza del vangelo con mitezza e testardaggine, nella parrhesia che lo Spirito dona a coloro che se ne lasciano conquistare. (Giuseppe Ruggieri, Per una chiesa della fraternità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Giugno 2009ultima modifica: 2009-06-02T23:47:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo