Giorno per giorno – 15 Maggio 2009

Carissimi,
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. E voi siete quelli che io amo se fate ciò che io vi comando” (Gv 15, 12-14). Allora, come prima cosa: sbattezziamoci tutti. Dato che per dirci dei “suoi”, dobbiamo fare ciò che Lui comanda, cioè amare come egli ama, dando la vita. E noi invece abbiamo da sempre deciso (anche se qualche volta ci capita di sognare alla grande) che ci accontenteremo di vivere la nostra vitina, cercando di amare, poco e male, solo noi stessi. Nella sua prima lettera Giovanni riproporrà il tema con insistenza: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3, 16). Questo conoscere non è una conoscenza intellettuale, è un sentirsi raggiunti, uno sperimentare. Senza che questo avvenga, non sappiamo ancora niente dell’amore, di quell’amore. E se ancora ci pesa spenderci per i fratelli, anche quando ci sono nemici, come ci ricorda Matteo (Mt 5, 44-45), questa è la prova provata che noi non l’abbiamo ancora incontrato. E allora: Maranatha, vieni Signore Gesù!

Oggi è memoria di Isidoro, il contadino, di Pacomio, padre del monachesimo e di Michel Kayoya, martire nel Burundi.

15 ISIDORO.jpgDi Isidoro, sappiamo proprio poco. Nacque in una famiglia contadina e fece sempre il bracciante. Gli piaceva lavorare la terra, ma trovava il tempo, ogni giorno, di ritagliarsi i suoi spazi di gratuità, partecipando alla Messa e dedicandosi alle sue devozioni. Con un certo spasso dei suoi compagni di lavoro.Ma lui li lasciava dire. Incontrò la donna che faceva per lui, una tale Maria, che sposò e da cui ebbe un figlio, morto da piccolo. Vissero insieme il resto della vita, lui lavorando duro fuori casa, e lei dentro. E il denaro che si sudavano, poco, bastava comunque per tanti. Se un povero bussava alla porta, per loro era sempre il Povero. E non se ne andava mai via a mani o con la pancia vuote. E loro erano pieni di allegria. Un giorno poi lui, uno dei piccoli amati da Dio, morì. Era il 15 maggio 1130.

15 PACOMIO.jpgPacomio era nato nell’Alto Egitto, l’anno 287, da genitori pagani. A vent’anni era stato arruolato a forza nell’esercito imperiale e, durante un trasferimento, era finito in carcere a Tebe con tutte le reclute. Fu in quell’occasione che il giovane venne per la pria volta a contatto con dei cristiani: gente che di notte portava ai prigionieri del cibo. Chi vi manda, chiedevano loro. Il Dio del cielo, rispondevano. E Pacomio pregò allora quel Dio di liberarlo, che lo avrebbe servito per la vita intera. Quando fu congedado, si recò a Khenoboskion e si aggregò ad una piccola comunità cristiana, dove fu istruito nei santi misteri, al fine di ricevere il battesimo. Visse lì per un certo tempo, dedicandosi al servizio della gente. Conobbe un vecchio anacoreta, Palamone, e lo scelse come guida spirituale. Infine gli giunse un’illuminazione: perché non dar vita a una comunità alternativa? C’erano altri cristiani e cristiane che si erano allontanate dalle città, insoddisfatte dello stile di vita che le caratterizzava. Forse valeva la pena di mettersi insieme e provare a se stessi e agli altri che “un altro mondo era possibile”. Si stabilirono nel villaggio abbandonato di Tabennesi e cominciarono ad organizzarsi in una vita di preghiera, lettura della Parola di Dio e lavoro manuale. Nasceva così il monachesimo cenobitico. Al vescovo Atanasio che gli chiese un giorno: Ma insomma chi diavolo siete?, Pacomio rispose: siamo semplici cristiani. Perdinci, ma se è vero che il monaco è un semplice cristiano, allora ogni cristiano è un monaco. Corretto, ma nell’uno e nell’altro caso, vale la pena di aggiungere: se si prende sul serio. Pacomio morì nel 346, durante un’epidemia di peste, dopo aver servito i suoi sino alla fine.

15 MICHEL KAKOYA.jpgMichel Kayoya era nato nel 1934 a Kibumbu, in Burundi. Entrato in seminario, dopo gli studi filosofici, nel 1958 venne mandato in Belgio a studiare teologia. Nel 1963 fu ordinato sacerdote. Nominato vice parroco a Rusengo, si impegnò nei movimenti di Azione Cattolica e assunse la responsabilità delle cooperative. Dal 1967, per tre anni, fu rettore del seminario minore di Mugera; nel 1970 fu chiamato a ricoprire l’ufficio di economo generale della Diocesi di Muynga. Nel mese di aprile 1972, le autorità ecclesiastiche l’obbligarono a lasciare il luogo. Il 15 maggio venne ucciso dai Tutsi nel corso del massacro che costerà la vita ad altre 200 mila persone. Il cadavere fu gettato in una fossa comune. Era sostenitore di un umanesimo che ha alla base il rispetto: “Rispetto del povero, rispetto del piccolo, rispetto del vecchio, rispetto dell’invalido”. Il contrario della civiltà occidentale. A chi gli chiedeva conto del perché fosse cristiano, rispondeva: “Ho deciso di restare cristiano non per paura di impegnarmi, non per paura di lottare. Come cristiano sentivo in me una gioia, un motivo di impegno superiore ed un’energia nuova per consacrarmi alla causa dei miei fratelli, gli uomini. Ero cristiano, volevo che nella lotta contro la fame, la carestia, l’ingiustizia, il disonore, il mio popolo si tessesse un’eternità vera”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.15, 22-31; Salmo 57; Vangelo di Giovanni, cap.15, 12-17.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

“Gli amici amano trascorrere tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’uno o l’altro soffrire. Nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli. Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni. Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e guarigione”. È il messaggio finale con cui Benedetto XVI ha voluto siglare la conclusione del suo pellegrinaggio in Terra Santa. Noi ne faremo la nostra preghiera in questi giorni che ci preparano alla Pentecoste, dando voce ai gemiti inesprimibili con cui lo Spirito intercede per l’umanità (Rm 8, 26).

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura una citazione tratta dalle Catechesi di Pacomio, nella versione che troviamo nel libro “Pacomio e i suoi discepoli. Regole e scritti” (Qiqajon). È per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ti prego ancora di non dar riposo al tuo cuore! Questa è la gioia dei demoni: far sì che l’uomo conceda riposo al suo cuore e trascinarlo nella rete prima che se ne accorga. Non essere negligente nell’apprendere il timore del Signore, cresci come le giovani piante e sarai gradito a Dio come un giovane bufalo che leva in alto corna e zoccoli. Sii un uomo potente in opere e parole, non pregare come gli ipocriti perché la tua sorte non sia come la loro. Non dissipare neppure un giorno della tua esistenza, sappi che cosa dai a Dio ogni giorno. Dimora solo, come un generale avveduto. Discerni il tuo pensiero sia che tu viva in solitudine, sia in mezzo agli altri. Ogni giorno, insomma, giudica te stesso. È meglio infatti vivere in mezzo a migliaia di uomini in tutta umiltà, piuttosto che vivere solo, nella tana di una iena, nell’orgoglio. Di Lot che viveva in mezzo a Sodoma è attestato che era un uomo di fede, buono. Abbiamo udito invece riguardo a Caino, con il quale non vi erano sulla terra se non tre esseri umani, che fu malvagio. (Pacomio, Catechesi).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Maggio 2009ultima modifica: 2009-05-15T23:58:00+02:00da fraternidade
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