Giorno per giorno – 03 Maggio 2009

Carissimi,
“In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4, 12). È la buona notizia che Pietro proclama subito dopo aver guarito l’uomo storpio dalla nascita. Non c’è altro nome che possa salvare fuori da quel “Dio-salva” che Gesù significa. E questo per dire due cose: che è “Dio” che salva. E che Dio “salva”, non fa altro. Se fa altro, non è Dio. È il suo contrario. Quindi noi incontriamo Dio in ogni esperienza di salvezza, liberazione, riscatto, redenzione, dalle forme maligne dell’esistere. Ce lo siamo ripetuti stamattina, durante l’Eucaristia celebrata con dom Eugenio nella chácara di recupero, dove André ha fatto la sua prima comunione. E chi l’avrebbe mai immaginato, anche solo l’anno scorso di questi tempi, quando lo incontravamo ogni giorno, sullo stradone che porta al bairro, in preda ai fumi dell’alcool o sotto l’effetto di una qualche droga. Di questo agire di Dio è figura il “buon Pastore”, in cui Gesù si identifica e che addita come modello a quanti si pongono alla sua sequela. Un pastore anomalo, come può essere solo un Dio lontano, lontanissimo, dalla nostra immaginazione, dalla nostra esperienza, dalle nostre proiezioni: capace di morire Lui per scampare noi dalle trame del male. “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10, 11). Noi siamo abituati ad altro, ai cattivi pastori denunciati già dai profeti nell’Antico Testamento, i leader incapaci di far fronte alle loro responsabilità, stolti e infedeli, preoccupati solo di arricchirsi, mentre lasciano perire o portano alla rovina il loro popolo, o ai mercenari, cui nulla importa delle pecore, segnalati da Gesù. Che, però non avranno l’ultima parola. Essa spetta invece al disegno divino che lo guida: “Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (Gv 10, 16). E non sarà la rimozione delle differenze che fanno ricca e bella la famiglia umana, e perciò neppure la riduzione ad una sola delle sue molteplici lingue, culture e religioni, ma forse solo la riscoperta del Significato che unico può salvarci, e salvarci tutti, quello che ci porta a decentrarci e a sporgerci sulle altre esistenze, per dir loro e compiere nei loro confronti l’unico comando di Dio: poiché mi stai a cuore, ti dono la mia vita.

I testi che la liturgia di questa IV Domenica di Pasqua sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.4, 8-12; Salmo 118; 1ª Lettera di Giovanni, cap.3, 1-2; Vangelo di Giovanni, cap.10, 11-18.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Filippo, apostolo, e di Giacomo, fratello del Signore.

03 FELIPE.jpgFilippo, originario di Betsaida, sul lago di Tiberiade, come Pietro e Andrea, è con loro uno dei primi ad essere chiamato da Gesú. Egli stesso recluterà in seguito un altro discepolo, Natanaele. È a lui che, poco prima della passione, si dirigono alcuni greci per essere presentati a Gesú. È ancora lui che, secondo il racconto di Giovanni, durante la cena chiede al Maestro: “Mostraci il Padre”. Gesú gli risponde: “È tanto tempo che sto con voi e tu non mi conosci, Filippo. Chi vede me, vede il Padre”. Nulla si sa di certo sulla sua vita dopo la Pentecoste. Una tradizione afferma che predicò il Vangelo in Frigia (nell’attuale Turchia), dove sarebbe morto martire, a Hierapolis, crocifisso a testa in giù, durante la persecuzione di Domiziano.

03 SANTIAGO__IRMÃO_DO_SENHOR.JPGGiacomo era cugino di Gesù e fratello di Giuseppe, Simone e Giuda, di Nazareth. Fu il capo della prima comunità di Gerusalemme (At 12,17). Durante il concilio di Gerusalemme, Giacomo propose che i cristiani di origine pagana non fossero tenuti all’osservanza della legge giudaica. La sua proposta passò (cf At 15). Secondo il racconto di Flavio Giuseppe, nelle Antichità Giudaiche, il sommo sacerdote Anano, nell’anno 62, convocò il sinedrio, per giudicare Giacomo e altri cristiani, che finirono per essere condannati a morte e lapidati. In seguito i farisei ottennero la destituzione del sommo sacerdote, perché la seduta non si era svolta secondo la legge ed era stata convocata a loro insaputa. A Giacomo è attribuita una delle sette Lettere, chiamate “cattoliche”. Controversa è la sua identificazione con l’apostolo Giacomo, figlio di Alfeo.

“Gesù cerca dei buoni pastori, ma non ne trova”. Lo scrive nel suo “Sequela” (Queriniana) Dietrich Bonhoeffer, che “pastore buono”, capace di dare la vita, seppe poi dimostrare di esserlo. Noi, che possiamo dire di noi stessi? Abbiamo occhi, orecchi, cuore, braccia, per gli altri, non i nostri – che dovrebbe essere scontato – ma per i più poveri, quelli che soffrono di più, che hanno meno, che sono nessuno? Essere pastori non è roba solo da preti, ci riguarda tutti. Noi che facciamo? Un brano del libro di Bonhoeffer cha abbiamo citato, ve lo offriamo, nel congedarci, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La vista della folla, che nei suoi discepoli, forse, suscitava avversione, ira o disprezzo, riempiva il cuore di Gesù di profonda misericordia e afflizione. Nessun rimprovero, nessuna accusa! Il popolo amato da Dio giaceva oppresso a terra e la colpa era di coloro che avrebbero dovuto rendere loro il servizio divino. Non ne erano causa i Romani, ma il cattivo uso della Parola di Dio da parte dei servitori della Parola. Non c’erano più pastori! Un gregge che non viene più condotto alla fresca sorgente, che non viene dissetato, pecore che il pastore non protegge più dal lupo, strapazzate e ferite, spaventate e atterrite sotto il duro bastone del loro pastore, prostrato a terra: ecco come Gesù trovò il popolo di Dio. Domande senza risposta, pena senza aiuto, scrupoli di coscienza senza liberazione, lacrime senza consolazione, peccato senza perdono! Dov’era il buon pastore di cui questo popolo aveva bisogno? Che serviva se c’erano scribi che costringevano duramente il popolo a frequentare le scuole, se gli zelanti difensori della legge condannavano severamente i peccatori senza aiutarli? A che servivano i predicatori e interpreti della Parola di Dio con la loro giusta fede se non erano afferrati dalla misericordia e dal dolore per il popolo di Dio oppresso e sfruttato? A che servono scribi, gente ligia alla legge, predicatori, se mancano i pastori della comunità? Di buoni pastori, ‘pastori’, ecco di che ha bisogno il gregge. “Pasci le mie pecore” è l’ultimo incarico affidato da Gesù a Pietro. Il buon pastore combatte per il suo gregge contro il lupo; il buon pastore non fugge, ma dà la sua vita per le sue pecore. Conosce per nome tutte le sue pecore e le ama. Conosce i loro bisogni, le loro debolezze. Guarisce ciò che è ferito, disseta ciò che è assetato, solleva ciò che sta per cadere. Le pasce con gentilezza e non con durezza. Le guida sulla giusta strada. Cerca la pecora smarrita, anche se è una sola, e la riconduce al gregge. I cattivi pastori, invece, dominano con violenza, dimenticano il loro gregge e si interessano solo della propria causa. Gesù cerca dei buoni pastori, ma non ne trova. (Dietrich Bonhoeffer, Sequela).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Maggio 2009ultima modifica: 2009-05-03T23:09:00+02:00da fraternidade
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