Giorno per giorno – 19 Aprile 2009

Carissimi,
“Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente! Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 26-28). Gli altri discepoli avevano forse gioito troppo in fretta e superficialmente nel “vedere il Signore” (v.20). E, probabilmente, c’era bisogno della’incredulità di Tommaso per cogliere tutte le implicazioni del credere a Gesù risorto. La resistenza di Tommaso è in realtà la nostra, la stessa che aveva portato Pietro a rimproverare il Maestro quando questi si era lasciato andare a quelle scure previsioni circa la sua fine (Mc 8, 32). Eppure è “quella” fine che Dio riconosce come la sua verità. E restasse solo Sua, potrebbe ancora andare bene. Ma Lui è alla ricerca di una banda di disperati che accettino di fare di essa la verità anche della loro vita. E, questo, gli apostoli (e noi con loro), non l’avevano messo in conto. Senza quella fine (fine, punto e basta!), Gesù sarebbe un Superman qualsiasi, e il Vangelo una telenovela. Dio, invece, fortunatamente, ma anche purtroppo per noi, è infinitamente più serio nel suo darsi (sino alla fine, appunto) e nel chiedere di darci. Il fallimento è la vera cifra di Dio, come lo è di ogni vero amore e della sua riprova. Come dire: tu mi fai del male, mi vuoi male, mi ferisci, mi perseguiti, mi uccidi, io continuerò a volerti bene. Più che a un figlio(a), a un fratello, a una sorella, a uno sposo(a), amante, amico(a). Infinitamente di più. Noi, si fosse stati Tommaso, a toccare quelle piaghe, si sarebbe scappati via subito. Lui, invece, è esploso in quella confessione, che lo strappava per sempre ad ogni possibile meschinità e faceva di lui una nuova storia: Mio Signore, mio Dio! Saremo mai capaci di far nostre quelle piaghe, di volere vincere nella forma della sconfitta, di affermarci beati, quando perduti e dannati? Per amore. Ed anche: saremo capaci di riconoscere la presenza del Signore in ogni crocifisso della storia, che sforando le pareti dei nostri egoismi, entra clandestino a inquietare la tranquillità (?) delle nostre case, la quiete (?) dei nostri conventi, la penombra (?) delle nostre chiese, la sicurezza (?) dei nostri confini, in cui ci siamo asserragliati? Per paura, certo, sempre di qualcuno. In realtà, per paura della nostra libertà. “Mio Signore, mio Dio!”: riusciremo mai a dirlo?

I testi che la liturgia di questo Ottavo Giorno e 2ª Domenica di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.4, 32-35; Salmo 118; 1ª Lettera di Giovanni, cap.5, 1-6; Vangelo di Giovanni, cap.20, 19-31.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.

Il martirologio latinoamericano ci porta oggi la memoria di Joana Tum de Menchu, martire per la giustizia in Guatemala. Noi ricordiamo anche il Massacro dei Conversos di Lisbona.

MARTIRES 1.jpgJuana Tum de Menchu era catechista e parteira di una comunitá indigena del Quiché. Sposata a Vicente, anche lui catechista e leader di comunità, ebbe undici figli, di cui due morirono ancora piccoli, vittime della miseria e della fame; un altro, Patrocinio, sedicenne, anche lui catechista, fu sequestrato dall’esercito, il 9 settembre 1979, torturato brutalmente e ucciso. Il 31 gennaio del 1980 fu la volta di Vicente, bruciato con altri 36 compagni, nel rogo dell’Ambasciata di Spagna, da loro pacificamente occupata per denunciare all’opinione pubblica mondiale l’espropriazione arbitraria delle terre indigene e la repressione governativa. Juana fu sequestrata il 19 aprile 1980, violentata, torturata e lasciata poi morire dissanguata. Un altro figlio, Victor sarebbe stato ucciso dall’esercito, l’8 marzo 1983. Una figlia, Rigoberta Menchu, che ha saputo dar voce alla cultura, alla sofferenza e alla resistenza del suo popolo, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace, nel 1992.

18 pogrom praga.jpgIl 19 aprile 1506 scoppiarono a Lisbona, fomentati dalla predicazione di alcuni frati domenicani, una serie di tumulti contro i conversos (ebrei convertiti). Circa diecimila abitanti della città, cui si aggiunsero marinai tedeschi, olandesi e francesi, entrarono nel quartiere dove i conversos abitavano e massacrarono uomini, donne e bambini. Furono accesi numerosi roghi nella città e vi furono bruciati molti già morti ed altri ancora vivi. Il massacro ebbe fine solo il 23 aprile. Il numero delle vittime oscillò tra tre e quattro mila.

Oggi si celebra la Giornata Panamericana dell’Indio, votata dal 1° Congresso Indigenista inter-americano, riunito in Messico il 19 aprile 1940. Mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e l’azione dei governi per ciò che concerne la salvaguardia e la valorizzazione delle culture autoctone, la tutela delle terre tradizionalmente occupate dagli indigeni e la loro protezione contro gli atteggiamenti predatori, di cui da secoli sono vittima.

Bene, per quest’ultimo giorno della Solennità della Pasqua, vi proponiamo, nel congedarci, la citazione di un vescovo francese, il Card. Jules-Géraud Saliège (1870-1956), che si diede tra l’altro a conoscere per le sue coraggiose prese di posizione contro l’occupazione nazista della Francia e in difesa degli ebrei perseguitati. Tratta dal suo libro “Écrits spirituels” (Grasset), parla, appunto, della Pasqua. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La gioia della Pasqua è la gioia universale. Dal sacrificio alla gloria; dall’abnegazione alla fecondità; dalla rinuncia all’amore, dall’amore alla vita! La nostra timidezza ci paralizza, il nostro egoismo ci svilisce. Non vi è altra via che conduce alla beatitudine, alla pienezza completa, alla Vita. È il cammino tracciato dalla Risurrezione. I nostri sogni sono meschini: mancano d’ambizione: non portano con sé l’avvenire. Li limitiamo a delle soddisfazioni passeggere, a delle gioie effimere. Noi non viviamo, per tema di morire. Noi ci chiudiamo nel nostro guscio, perché abbiamo paura delle rinunce necessarie. Non comprendiamo la bellezza dei rischi da correre e, pur avendo la possibilità di essere degli eroi, ci accontentiamo di restare degli esseri insignificanti. L’ambiente ristretto in cui viviamo, costituisce per noi l’intero universo e, nei nostri sforzi, non andiamo al di là del nostro comune e meccanico modo di agire. Eppure noi valiamo molto di più. In ciascuno di noi vi sono i lineamenti di una statua divina, il fermento che trasforma una vita. Agisca il martello dello scultore, e la statua si sprigioni, splendida e viva. Per mezzo della morte alla vita. Ciò è vero per il tempo, ciò è vero per l’eternità. Il Salvatore non conosce uomini fatti, ma uomini da rinnovare continuamente. Ecco perché si è trasformato in fermento per ogni anima che desideri completarsi. Alleluia! La risurrezione è un appello alla fiducia: essa è pure la garanzia della vita che non muore. Alleluia! Il cristianesimo è un inno alla vita, è la religione dei vivi. “E io, quando sarò innalzato in croce, trarrò tutto a me” (Gv 12, 32). O eterno Vivente, attira fra le tue braccia trepidanti di tenerezza ed al tuo cuore palpitante d’amore, gli uomini, tuoi fratelli; comunica loro questa vita divina che è ampliamento ed innalzamento della vita naturale, e si realizzi sulla terra la tua ultima preghiera prima del Calvario: Padre, io in essi e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità (Gv. 17, 23). Alleluia! Cristo è risorto, è divenuto spirito vivificante. La grazia fermenta le anime, il lievito spirituale non cessa di agire, il mondo è in marcia verso l’unità dei figli di Dio. Il Cristo risorto non muore più. (Card. Jules-Géraud Saliège, Écrits spirituels).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Aprile 2009ultima modifica: 2009-04-19T23:30:00+02:00da fraternidade
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