Giorno per giorno – 27 Marzo 2009

Carissimi,
“Gesù, mentre insegnava nel tempio, esclamò: “Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato” (Gv 7, 28-29). Al di là delle nostre professioni di fede, come conosciamo noi Gesù? Se lo riconoscessimo davvero come venuto da Dio, Suo figlio, sarebbe Lui il senso profondo della nostra vita e noi non saremmo quello che siamo. Saremmo Lui. E invece. C’è, poi, forse, anche un altro significato che ci comunica il Vangelo di oggi. Che vi proponiamo così come ce l’ha suggerito Valdecí. Noi, in genere, si ha la pretesa di sapere tutto di tutti, almeno di quanti fanno parte del piccolo universo che ci circonda. Sappiamo da dove vengono, di chi sono figli, padri, madri, mogli, mariti, che lavoro fanno, o se non lavorano affatto, se sono sinceri o mentono, se sono onesti o rubano, se sono fedeli o tradiscono, se si drogano, si prostituiscono o se gli è capitato persino di fare qualcosa di peggio. Eppure, anche sapendo tutto questo, non sappiamo ancora nulla di loro. Perché, in verità, ognuno di loro, come ognuno di noi, viene da Lui, ed è Lui che lo ha mandato. Anch’essi sono figli di Dio, più di quanto non siano figli dei loro genitori. E, allora, sono Parola di Dio che ci interpella, che noi dobbiamo saper accogliere e interpretare, per dare a Lui, nascosto in essi, la risposta che Lui si attende. “ “Spogliati nudo” dice il carabiniere ad un ragazzo in canottiera che sta tremando per il freddo e la paura. Lui non capisce. Resta immobile un minuto intero. “What is the problem”, urla il carabiniere e gli tira uno schiaffo sulla testa. L’immigrato, pallido e magro come uno scheletro, trema. Altro schiaffo. Tutte le persone in quel momento nude davanti ai carabinieri vengono prese a schiaffi…”. È cronaca delle vostre parti, di quel CPT di Lampedusa raccontato da Fabrizio Gatti. Ma potrebbe essere, cambiando solo qualcosa, anche di qui. Nelle nostre prigioni. In altre, a qualche centinaio di chilometri, pure peggio, infinitamente peggio. Il Vangelo di oggi proseguiva con questa annotazione: “Allora cercarono di arrestarlo” (v.30). E l’iniziativa non è, in questo caso delle autorità, ma, spontanea, della gente, “alcuni del popolo” (v.25). Una sorta di anticipazione delle vostre ronde. In sintonia, certo, con quanti “vogliono uccidere Gesù”. Cercano, dunque, (o cerchiamo, o diamo mandato ad altri) di arrestarlo, prenderlo, metterlo al chiuso, confinarlo, sottrarlo alla vista e all’udito. Perché non parli più. Non ci infastidisca più. Noi non vogliamo più saperne di Dio. Per questo lasciamo che sia maltrattato, sequestrato, ucciso, con la nostra collaborazione attiva, la nostra approvazione esplicita, il nostro silenzio complice, o la nostra indifferenza. Che si chiami Gesù, o Milad, Lotfi, Habib, Fatima, Juninho, Wesley, Nego, Ciato, Geralda, Ditinha, che sia santo o delinquente, trafficante, tossico, prostituta, sem-terra, favelado, disoccupato o sottoccupato, clandestino, prigioniero, malato, matto, è di un(a) figlio(a) Dio che si tratta. “Ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso” (v.30). Dipende anche da noi che Dio resti in libertà.

Oggi facciamo memoria di Meister Johann Eckhart, teologo e mistico.

27 Meister Eckhart.jpgJohann Eckhart era nato intorno al 1260 a Hochheim, nei pressi di Gotha (che qualche secolo dopo avrebbe dato il nome ad un programma del partito operaio tedesco e, più conosciuta ancorta, alla critica che ne fu fatta). Entrato quindicenne nell’ordine domenicano, Eckhart vi compì i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1298 fu nominato priore del convento di Erfurt e vicario provinciale di Turingia. Conseguito, nel 1302, il dottorato in Teologia, all’università di Parigi, l’anno successivo fu eletto provinciale della recentemente istituita provincia di Sassonia e, nel 1307, vicario provinciale di Boemia. Nel 1311 lo troviamo nuovamente a Parigi a insegnarvi teologia; poi, dopo il 1314, professore e predicatore a Strasburgo, Francoforte, e Colonia. In quest’ultima città giunse nel 1320, e lì rimase fino alla morte. La teologia di Eckhart si basava sul principio dell’ unione mistica dell’anima con Dio. Alcune formulazioni tuttavia parvero all’arcivescovo di Colonia suscettibili di una lettura panteista, tanto che Eckhart fu denunciato come eretico. Il domenicano si difese, affermando: “Io posso certo sbagliare, ma non sono eretico. Il primo caso infatti ha a che vedere con la mente, il secondo con la volontà”. Comunque, per amore di pace, non esitò a ritrattare 26 proposizioni. Quando il 27 marzo 1329 il papa avignonese Giovanni XXII ne identificò e condannò 28, nella sua bolla In agro Domini, Meister Eckhart se ne stava già dove il Mistero non è più tale. O, almeno lo è, presumibilmente, di meno.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Sapienza, cap.2, 1a. 12-22; Salmo 34; Vangelo di Giovanni, cap.7, 1-2. 10. 25-30.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Un amico ci scrive di suo padre, Giuseppe, che moriva in un Venerdì santo, cinquanta anni fa come oggi, e ce ne racconta l’esistenza nei termini di una ordinaria santità (ma la santità non è sempre straordinaria?). Quella maniera d’essere che compie la parola del profeta: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Mi 6, 8). Dato che ci chiede di ricordare nella preghiera la grande e bella famiglia che ne è discesa, noi giriamo la richiesta anche a voi.

E per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura il brano di una predica di Meister Eckhart, dal titolo “Qui audit me”. Che è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se tu ami te stesso, ami tutti gli uomini come te stesso. Finché ami un solo uomo meno che te stesso, non ti sei davvero amato mai, a meno che tu non ami tutti gli uomini come te stesso, ed in un uomo tutti gli uomini, e questo uomo è Dio e uomo. Un uomo è come deve essere, quando ama se stesso ed ama tutti gli uomini come se stesso, ed il suo agire è completamente giusto. Alcune persone dicono: Io amo il mio amico, che è buono con me, più di un altro. Ciò non è bene, è una imperfezione; tuttavia bisogna ammetterlo, così come alcuni vanno per mare non avendo che un mezzo vento, eppure lo traversano. Così è per le persone che amano una creatura più di un’altra, ed è naturale. Se io la amassi davvero quanto me stesso, ciò che le accadesse – gioia o dolore, morte o vita – dovrebbe colpirmi nello stesso modo che se accadesse a me, e questa sarebbe vera amicizia. Perciò san Paolo dice: Vorrei essere eternamente separato da Dio, per il mio amico e per Dio. Separarsi un istante da Dio, è essere eternamente separati da lui; essere separati da Dio, è il tormento dell’inferno. Che pensa dunque san Paolo quando dice che vorrebbe essere separato da Dio? La cosa più elevata ed estrema cui l’uomo possa rinunciare, è rinunciare a Dio per Dio; ora san Paolo rinunciava a Dio per Dio; rinunciava a tutto quello che poteva prendere da Dio, a tutto quello che Dio poteva dargli, a tutto quello che poteva ricevere da Dio. Mentre vi rinunciava, rinunciava a Dio per Dio, e Dio rimaneva per lui tale quale è presente a se stesso, non come ricevuto od acquisito, ma nel puro essere che Dio è in se stesso. Egli non dette nulla a Dio, non ricevette nulla da Dio, ma è una unità, una pura unione. (Meister Eckhart, Prediche).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Marzo 2009ultima modifica: 2009-03-27T23:50:00+01:00da fraternidade
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