Giorno per giorno – 14 Marzo 2009

Carissimi,
soffrire, il padre della parabola (Lc 15, 11-32), davanti alla richiesta del figlio, deve avere sofferto. Ma non lo ha dato a vedere. Dio, ci dicevamo stamattina, è [anche] questo silenzio rispettoso delle nostre scelte, della nostra libertà. Che noi capiremo, se mai lo capiremo, dopo. Strana figura di padre, questo Dio, di cui non ci riesce di trovare l’equivalente in nessuna esperienza umana, e che, tuttavia, Gesù, nel raccontarcelo, deve aver pur pensato come modello per le famiglie, e forse anche per il suo gruppo (quello che sarebbe più tardi divenuto la sua chiesa), sempre che abbia avuto in mente per esso una qualche funzione ed esercizio dell’autorità. Visto che Lui parlava sempre e solo di servire. O, ispirandosi all’immagine del pastore, di pascere, ma più ancora di dare la vita. Per poco che trapeli, la nostra reazione di fronte all’allontanamento o alla ribellione (nelle sue molteplici forme, anche quella, minima, della discordanza di idee) da parte di un figlio, o di un componente della comunità, di un fedele della chiesa, non riesce a nascondere almeno un filo di amarezza, dar voce ad una stretta del cuore. Lui, no. Né prima, né dopo. La strada della libertà deve essere percorsa sino in fondo e Lui, questo, lo mette sempre in conto. Certo l’insegnamento c’è, è lì. Ma ciascuno ha i suoi tempi per riconoscerlo, assimilarlo o meno, e, infine, tradurlo nel concreto di una situazione. Quella che è data dall’ambiente da cui si viene e in cui si vive, ma in primo luogo dal dato che si è. Sono tutti elementi che Lui conosce e che a noi invariabilmente sfuggono. E tuttavia, Lui non giudica, noi sì. Ciò che vuole che si sappia è, comunque, che Egli sta infinitamente sopra e al di là delle nostre colpe e dei nostri sensi di colpa, così come dei nostri pentimenti superficiali o solo opportunistici, e anche di quel peccato, peggiore di tutti, che è la nostra mancanza di misericordia. Quello che, sì, più di ogni altra forma di odio, di vero o presunto disprezzo per la vita, di omicidio, di guerra, ci scomunica, ci estranea, cioè, “ipso facto” dalla comunione con Lui. Alla quale, tuttavia, Egli non cessa di richiamarci e sospingerci. Anche se fossimo vescovi senza cuore. Così simili al fratello maggiore della parabola. Che, del Padre, ha capito ancora meno del figlio ribelle.

Oggi noi si fa memoria di Fannie Lou Hamer, paladina dei diritti civili dei negri afro-americani, e di Chiara Lubich, promotrice del dialogo interreligioso.

14 FANNIE LOU HAMER.gifFannie era nata il 6 ottobre 1917 a Montgomery County, nel Mississippi, ultima dei venti figli di una coppia negra di mezzadri, Jim e Lou Ella Townsend. Della sua infanzia dirà un giorno: “La vita era più che dura, era tremenda! Non c’era mai abbastanza da mangiare e non mi ricordo quanti anni avevo quando mi sono potuta permettere il mio primo paio di scarpe, ma ero già grande. Nostra madre cercava di tenerci i piedi al caldo avvolgendoceli con stracci che legava poi con dei pezzi di corda”. Per molti anni la sua vita non fu diversa da quella di una qualunque povera ragazza negra di quella regione. La svolta si ebbe nel 1962, quando, già quarantacinquenne e madre di famiglia, partecipando ad una manifestazione per i diritti civili, Fannie udì uno degli oratori invitare i negri a registrarsi per il voto. E lei lo fece. Ora, questa scelta, così apparentemente innocua, negli Stati del profondo Sud di quegli anni, significava cercarsi la morte. E si tradusse comunque subito nell’espulsione della sua famiglia dalla terra e più tardi in arresti e brutali pestaggi. Da allora inizia la storia dell’impegno di Fannie nella battaglia per i diritti civili dei negri, nella contestazione della guerra del Vietnam e nella creazione di una coalizione che riunisse tutti i poveri e i lavoratori americani. Instancabilmente e sino alla fine, quando morì per un tumore al seno, il 14 marzo 1977. Un giorno aveva detto: “Dobbiamo renderci conto quanto sia serio il problema oggi negli Stati Uniti, e io penso che il cap.6 della Lettera agli Efesini, versetti 11 e 12, ci aiuti a comprendere ciò che noi stiamo combattendo: ‘Prendete le armi che Dio vi dà, per poter resistere contro le manovre del diavolo. Infatti noi non dobbiamo lottare contro creature umane, ma contro spiriti maligni del mondo invisibile, contro autorità e potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso’. Questo mi viene in mente, quando penso al mio contributo alla battaglia per la libertà”.

14 CHIARA LUBICH.jpgChiara Lubich era nata a Trento il 22 gennaio 1920 da una famiglia di tipografi. Durante il regime fascista, suo padre, socialista, rimase senza lavoro a causa delle sue idee, sicché la famiglia dovette sopportare anni di gravose difficoltà economiche. Durante la seconda guerra mondiale, l’incontro di Chiara con una donna che aveva perso i suoi quattro figli a causa della guerra, la portò alla convinzione che il Vangelo poteva diventire il meccanismno di una potente trasformazione sociale, se vissuto condividendo le sofferenze e le privazioni dei poveri. Nacque così quella che sarebbe divenuta l’ “Opera di Maria” (meglio conosciuta come Movimento dei Focolari), di cui Chiara e un gruppo di amiche formarono il primo nucleo. Alcuni anni più tardi, nel 1962, Giovanni XXIII diede la prima appovazione al movimento, che venne, via via, chiarendosi e approfondendo quello che sarà il suo specifico carisma: una “spiritualità dell’unità” tra generazioni, culture, chiese, religioni. E, ad aprire cammini nell’ambito del dialogo interreligioso, soprattutto con ebrei, musulmani e buddisti, Chiara Lubich si dedicò fino ai suoi ultimi anni. Il 10 marzo 2008, il peggioramento delle sue condizioni di salute, già precarie a partire dal 2006, richiesero un suo ricovero in ospedale, dove ricevette la visita del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Giudicando prossima la fine, il 13 marzo chiese di poter far ritorno nella casa di Rocca di Papa, dove si spense il giorno successivo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Michea, cap.7, 14-15. 18-20; Salmo 103; Vangelo di Luca, cap.15, 1-3.11-32.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Anche per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad una citazione di Chiara Lubich, che troviamo in rete, e che è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Penso che il dialogo supera di gran lunga la tolleranza; anche se non la disprezzerei del tutto la tolleranza, in quanto in certi posti conviene che ci sia, perché almeno, per essa, non c’è la lite, la lotta. Però il dialogo è tutta un’altra cosa: è un arricchimento reciproco, è un volersi bene, è un sentirsi già fratelli, è un creare una fraternità universale già su questa terra. Naturalmente il dialogo è vero se è animato dall’amore vero. Ora l’amore è vero se è disinteressato; se no non è amore. È egoismo. In tal caso sarebbe un dialogo costruito senza l’amore; quindi non sarebbe un dialogo, ma um’altra cosa: proselitismo, ad esempio. Il proselitismo deve restare fuori da questa porta, non può esserci, perché altrimenti non c’è dialogo. Dialogo significa amare, donare quello che abbiamo dentro di noi per amore dell’altro, e anche ricevere e arricchirsi. (Chiara Lubich, da un messaggio del 1998)

Ricevete l’abbraccio dei vistri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Marzo 2009ultima modifica: 2009-03-14T23:13:00+01:00da fraternidade
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