Giorno per giorno – 26 Febbraio 2009

Carissimi,
“Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno. E, a tutti, diceva: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 22-23). Stamattina ci dicevamo che il Vangelo mette in rilievo il fatto che Gesù soffre violenza ed è emarginato attraverso l’azione congiunta di diversi poteri, una vera e propria cospirazione: il potere politico (gli anziani), quello religioso (i sommi sacerdoti) e quello ideologico (gli scribi). In qualche modo, questo è ciò che accade in ogni tempo e sotto ogni cielo. È nella logica stessa del potere infatti negare priorità e diritto di cittadinanza al principio della dedizione e della cura (che è il significato di Gesù, cioè del regno, cioè di Dio). Dove prevale e si afferma la prima, si sconfessa automaticamente il secondo. Questo è vero anche nel nostro vissuto quotidiano, in cui rinnegare se stessi e abbracciare la croce sono due aspetti della medesima scelta. In altri termini: gettar via la propria vita, per trovare la vita di Dio. Che, detto così, può anche suonare retorica, almeno per noi che non si riesce a viverlo, però poi, ascoltando dona Dominga raccontare il vangelo della sua vita, sei costretto a dirti che c’è chi ce la fa. Diceva stamattina: la croce di ogni giorno, se capisco bene, non è una cosa triste, è anzi ciò che ci mette in movimento, sin dal mattino. È alzarsi da letto, dimenticare i propri acciacchi, e già pensare cosa si può fare per risolvere i problemi dell’uno o dell’altro; poi, durante il giorno, correre dietro a tutte le incombenze, e arrivati a sera dirsi: non sono riuscita a fare tutto, ma c’è domani. Ha fatto una pausa e poi è andata avanti con un tono appena un po’ più basso: È la mia famiglia e io ringrazio Dio per tutti e per ciascuno. Certo, c’è chi sbaglia: i piccoli bisogna correggerli, perché crescano bene; i grandi, quando si può, ci si parla. Ma non bisogna mai giudicare nessuno. Se loro sentono che non li giudichi, torneranno sempre e un giorno capiranno. È la croce di dona Dominga.

Oggi è memoria di Antonio de Valdivieso, pastore e martire dell’Evangelo del Regno.

26 ANTONIO VALDIVIESO.jpgNato a Villa Hermosa in Spagna, da Antonio de Valdivieso e Catalina Álvarez Calvente, attratto dalla vita religiosa, il giovane Antonio era entrato nel convento domenicano di San Paolo a Burgos, dove aveva studiato, emesso i voti religiosi ed era stato ordinato sacerdote. Inviato in America, passò qualche anno come missionario a Santo Domingo, poi fu inviato in Messico e assegnato alla provincia del Nicaragua, dove si distinse per l’azione in favore della libertà e dignità delle popolazioni indigene. Nominato vescovo di Leon, il 29 febbraio 1544, ricevette la consacrazione dalle mani del profetico Bartolomé de Las Casas, il successivo 8 novembre. Non sarebbe durato molto. Le esortazioni, le pubbliche denunce e le lettere inviate al re Carlo V per invitarlo a por fine agli arbitri e ai maltrattamenti crudeli degli indigeni da parte dei conquistadores, gli attirarono ogni giorno di più l’odio dei connazionali. I più accaniti nemici del vescovo erano i fratelli Hernando e Pedro de Contreras, figli di Rodrigo de Contreras, già governatore del Nicaragua, il cui allontanamento dall’incarico essi addebitavano alle severe denunce di Valdivieso. Raggiunti da un provvedimento di scomunica, i due fratelli, dando ascolto ai suggerimenti di un mestatore, tal Juan Bermejo, ai consigli della loro stessa madre, dona Maria de Peñalosa, nonché di un frate apostata dell’Ordine, Pedro de Castañeda, si recarono, accompagnati da alcuni soldati, alla residenza del vescovo. Trovatolo a colloquio con un frate domenicano e un altro sacerdote, lo accerchiarono e, gettandoglisi addosso, lo pugnalarono a morte. Sopraggiunse la madre, richiamata dal clamore e prese il figlio morente tra le braccia. Antonio ebbe il tempo di recitare il Credo, poi additando il Crocifisso, disse: Affido la mia Chiesa a questo Signore: so che la governerà bene. Aggiunse qualche parola di perdono per i suoi assassini e spirò. Era il 26 febbraio 1550. Gli aggressori saccheggiarono la casa, poi uscirono in piazza gridando: “Libertà” e “Viva il principe Contreras”, dando inizio ad un golpe che durò venti giorni e che finì con la morte dei sediziosi.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap. 30,15-20; Salmo 1; Vangelo di Luca, 9,22-25.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

La figura di Antonio de Valdivieso, con la dimensione profetica e il coraggio fino al martirio che la caratterizzano, dovrebbe interpellare anche noi, motivare le nostre scelte, decidere del nostro stare nella società e nella chiesa, orientare le nostre relazioni. Sappiamo sempre e comunque (o almeno qualche volta) onorare il nostro nome di cristiani (così vituperato, in questi tempi, più per colpa di quanti se ne arrogano l’identità, che per il pregiudizio di loro presunti avversari)? E, citando a braccio Ellacuría, sappiamo denunciare le ingiustizie che crocifiggono i poveri della terra, confessare le nostre responsabilità, chiederci cosa possiamo concretamente fare per schiodarli dalla croce, noi da qui, voi da lì? Certo, decidersi di seguire Gesù può essere decisamente scomodo. Deve essere. Se no, si sta seguendo qualcun altro. Noi ci si congeda qui, offrendovi un brano tratto dal libro di Jon Sobrino, dal titolo “Gesù Cristo liberatore” ( Cittadella editrice). Ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Quello che ci interessa mettere in evidenza è che Gesù non solo annuncia il regno e proclama un Dio Padre, ma denuncia l’antiregno e smaschera gli idoli. Con questo egli va alle radici di una società oppressa sotto ogni tipo di potere: economico, politico, ideologico e religioso. Esiste dunque l’antiregno e Gesù – oggettivamente – spiega quali ne siano le radici. Né si accontenta di denunciare il Maligno, realtà ultrastorica, ma denuncia pure i suoi responsabili, realtà decisamente storiche. In questa prassi la figura di Gesù si staglia nella linea dei profeti classici di Israele, come Amos, Osea, Isaia, Geremia, Michea… e in quella dei profeti moderni, come mons. Romero, mons. Proaño, Martin Luther King… nel confronto-scontro con l’antiregno e gli idoli. Al centro del suo messaggio c’è la difesa degli oppressi, la denuncia degli oppressori e lo smascheramento dell’oppressione che si fa passare per cosa buona e si giustifica col pretesto della religione. È questa prassi che lo renderà simile ai profeti anche nel loro destino: l’antiregno reagisce fino a dargli morte. (Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-26T23:41:00+01:00da fraternidade
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