Giorno per giorno – 09 Febbraio 2009

Carissimi,
“Dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano gli infermi nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano” (Mc 6, 56). E coloro, invece, che giacciono là dove non giunge Gesù, o non hanno nessuno che li porti fino a Lui, né chi Gli chieda di sprigionare la sua energia di cura, o che, semplicemente, non possono più allungare il braccio e toccarlo con mano, e così guarire? Uomini e donne di poca fede siamo e resteremo. Anche coloro che furono guariti, in seguito morirono, forse di altra malattia, forse di vecchiaia. Persino Lazzaro che fu risuscitato, dovette fare il bis, conoscere nuovamente le sofferenze di una malattia, la fatica dell’agonia. E, se l’avesse immaginato, forse non avrebbe messo la firma sotto la sua risurrezione, e quando Lui gli gridò: Lazzaro, vieni fuori!, se ne sarebbe rimasto quieto, quieto, facendo finta di non sentire. Ma, cure, guarigioni, risurrezioni, servono solo a dirci il nostro destino ultimo ed è solo per questo che vale la pena guarire, per poi riammalarsi, risorgere per rimorire. Così Gesù, nella liturgia di qualche giorno fa, a Giairo, cui avevano appena detto: Tua figlia è morta, potè dire senza mentire: “Non temere, continua solo ad avere fede” (Mc 5, 36). E, quando, riuscendo a farsi largo tra la folla di finti piagnoni, di perditempo in cerca di emozioni a buon mercato, e degli immancabili sciacalli, ma anche di gente sinceramente solidale, raggiunse infine la camera dove stava distesa la ragazza, le prese la mano e le disse: Talità Kum. E subito la ragazza si alzò. Anzi, secondo l’originale, “risuscitò”. Ed erano le prove generali della sua, di risurrezione. E di quella di ognuno(a) di noi. Anche, e soprattutto, oggi, di Eluana. Finalmente restituita a Dio e ai suoi genitori.

Il nostro calendario ci porta la memoria di Marone, eremita, e di Felipe Balam Tomás, martire al servizio dei più poveri.

09 MARONE.jpgDel monaco Marone, vissuto tra il IV e il V secolo, soppiamo pochissimo. Ammirato da Giovanno Crisostomo, visse come eremita nel deserto siriano, spendendo il suo tempo nella preghiera e nelle pratiche ascetiche. Assai ricercato come maestro spirituale, esercitò un grande influenza sul movimento monastico nella regione di Cirro e di Aleppo. Morì dopo breve malattia e fu sepolto nel monastero di Beth-Morum, nella regione siriana di Apamea, presso la sorgente del fiume Oronte. Sarà qui che, qualche secolo più tardi, cristiani di fede calcedonese, in seguito all’invasione araba della Siria, daranno vita alla chiesa maronita, che venera Marone come suo fondatore.

Felipe Balam Tomás era un giovanissimo religioso della Congregazione dei Missionari della Carità. Aveva solo 18 anni, quando, il 9 febbraio 1985, fu sequestrato dalle forze di sicurezza governative nel villaggio Las Escobas, municipio di San Martín Jilotepeque, nel dipartimento di Chimaltenango. Stava animando una celebrazione della Parola, quando tre uomini armati entrarono in chiesa e lo portarono via a forza. Per ottenerne la liberazione si mosse il Nunzio apostolico, e l’arcivescovo di Città del Guatemala, Próspero Penados del Barrio, ma inutilmente. Felipe sparì nel nulla, donando la sua vita di poco più che adolescente, perché anche altri, a partire dalla fede nel Dio della vita, lottassero per la liberazione dei fratelli.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.1, 1-19; Salmo 104; Vangelo di Marco, cap.6, 53-56.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

TU BISHVAT.jpgOggi, i nostri fratelli ebrei festeggiano Tu Bishvàt che letteralmente significa il “15 di Shevàt”. È la festa che ricorda Rosh Hashanà lailanòt o Capodanno degli alberi. Anticamente, in Terra d’Israele, la data segnava l’inizio di un nuovo anno agricolo, perché, giorno più giorno meno, era come oggi che gli alberi cominciavano a gemmare, lasciando presagire la primavera imminente. La festa, che in realtà è una mezza festa (non è infatti proibito lavorare), è celebrata con un séder a base di frutta: grano, orzo, olive, datteri, uva, fichi, melagrana, agrumi ecc. Durante il pasto si leggono brani della Torà, di Ezechiele e dei Salmi e si bevono quattro bicchieri di vino: il primo bianco (che simboleggia l’inverno, ma anche il male che è in noi), il secondo ancora bianco, ma con qualche goccia di rosso (a significare l’avvicinarsi della primavera, e i primi passi sulla via della conversione), il terzo metà rosso e metà bianco (quando la primavera avanza e la nostra teshuvà si consolida) e l’ultimo solo rosso (segno che la primavera è in pieno rigoglio e la tendenza verso il bene e la vita è ormai prevalsa in noi). Che questo possa essere vero anche per noi e, più che mai, per le terre di Israele e Palestina. Perché il deserto rifiorisca, giustizia e pace si abbraccino, e i loro popoli, finalmente, vivano.

Bene, noi ci si congeda qui, lasciandovi a una breve riflessione di Riccardo Di Segni, Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, che troviamo nel bel sito di Torah.it Ha come titolo “Tu bishvat e il tiqqùn” ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Tu Bishvat è il compleanno degli alberi. Lo festeggiamo mangiando della frutta. Sembra tutto molto semplice, ma in realtà non lo è. Importanti simboli si nascondono sotto semplici gesti, nella tradizione di mangiare un po’ di frutta. Un filo sottile collega l’uso di Tu bishvat con la storia delle origini dell’uomo. La storia dell’uomo inizia, tra l’altro, con una regola alimentare: Mangerai da ogni albero del giardino (Gen 2, 16). La storia segue subito dopo con un divieto alimentare: “… ma dall’albero della conoscenza non mangerai” (Gen 2, 16). Sappiamo cosa è successo: il divieto viene violato e per questo Adamo ed Eva escono dall’Eden ed entrano nel mondo. Tra le conseguenze della trasgressione, un’altra regola alimentare che suona come una condanna: “e mangerai l’erba del campo” (Gen 3, 18). La caduta dell’uomo è così segnata da una strada alimentare: prima il frutto permesso e proibito, poi l’erba del campo. Quando a Tu bishvat mangiamo i frutti dell’albero e ci fermiamo a ricordare la terra d’Israele, le sue stagioni, il dono divino dei suoi frutti, ed esprimiamo gratitudine per tutto questo, iniziamo un percorso simbolico inverso rispetto a quello della caduta: il ricordo della terra d’Israele, delle sue stagioni e dei suoi frutti sono un primo passo nel processo della riparazione del danno, del Tiqqún. Non c’è bisogno di gesti sovrumani. Basta poco per fare un tiqqún , per contribuire a riparare il mondo e ognuno è in grado di farlo. (Riccardo Di Segni, Tu bishvat e il tiqqùn).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-09T23:12:00+01:00da fraternidade
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