Giorno per giorno – 04 Febbraio 2009

Carissimi,
Gesù “non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6, 5-6). Ancora e sempre noi in ballo: noi della sua famiglia, della sua casa, del suo paese, del paese che ne vanta le radici, della sua sinagoga, ovvero della sua chiesa. Stamattina ci dicevamo che, se qui a Goiás, ci sono così tanti malati in giro, nel corpo, nella mente, nello spirito, (non sappiamo bene come vadano le cose da voi), è perché noi, sotto sotto, mica ci crediamo in Gesù. O, per carità, magari alcuni vanno in chiesa persino con una certa regolarità (qui tra l’altro abbiamo di che scegliere, contiamo infatti una denominazione diversa ogni mille abitanti, senza contare quelle, assai più numerose, che ci differenziano più o meno consapevolmente nel nostro piccolo universo cattolico); chi va a scuola frequenta l’ora di religione (che, da noi, è ecumenica); nessuno bestemmia, neppure se è ateo, libertino o miscredente; molti dei cattolici si fanno i loro bei pellegrinaggi, partecipano alle commosse rappresentazioni della Settimana Santa, mentre gli evangelici chiedono, per quelli e per queste, perdono a Dio; ma Gesù, Lui, sempre che sia una qualche volta passato di qui, si dev’essere fermato un bel po’ a guardarci e poi dev’essersi detto: perdinci questi non hanno capito niente! Beh, mica tutti, è chiaro. Infatti anche a Nazareth, “impose le mani a pochi ammalati e li guarì”. Pure qui, qualcosa di buono succede, ed è certo lo Spirito di Gesù che si fa presente. Però, per il resto, se dovessero scrivere un giorno il Vangelo della nostra città, crediamo dovranno annotare sconsolatamente: E Gesù si meravigliava della loro incredulità. E andò altrove. Gesù porta la rivoluzione. Se non c’è una rivoluzione nel nostro modo di pensare, di essere, di interessarci a e di relazionarci con gli altri e con l’ambiente, di scegliere chi ci amministra, nelle priorità che ci vogliamo dare, e anche in molte altre cose (con il dovuto equilibrio, certo, con il dovuto equilibrio!) è perché Gesù, qui, non c’è più. E, se davvero ci interessa, urge allora [ri]chiamarlo.

Bene, il martirologio latino-americano ci ricorda il Massacro di Chimaltenango, in Guatemala.

04 Massacre Guatemala.jpgGli anni tra il 1978 e il 1983 coincisero con il periodo più violento della repressione messa in atto dal regime al potere in Guatemala, quando le operazioni militari si concentrarono nelle regioni del Quiché, Huehuetenango, Chimaltenango, Alta y Baja Verapaz, la costa meridionale e Città del Guatemala. Queste azioni, denominate “operazioni di terra spianata”, avevano come obiettivo le comunità degli indigeni maia, considerati “nemico interno”, e consistevano in indiscriminati massacri di popolazioni indifese, nella distruzione delle loro coltivazioni, vettovaglie, raccolti, bestiame, delle loro istituzioni sociali, economiche e politiche, dei loro simboli, valori e pratiche culturali e religiose. Secondo la “Comisión para el Esclarecimiento Histórico”, circa 626 massacri furono eseguiti in quegli anni. Tra questi, quello di cui noi facciamo memoria oggi. Il 4 febbraio 1981, nei villaggi di Papa-Chalá, Patzaj e Panimacac, furono massacrati dall’esercito 168 contadini, dopo che gran parte di essi erano stati torturati. Numerose donne furono impiccate, mentre i soldati incendiavanno case e raccolti e saccheggiavano scuole e oratori. Le persone che, terrorizzate, cercavono di fuggire nelle campagne circostanti e di nascondersi nei valloni, furono bombardate dagli elicotteri. Tutto era cominciato quando gli abitanti di Papa-Chalá avevano reagito con indignazione all’uccisione a calci di un neonato strappato alla madre. I massacri si ripetirono nei villaggi di Petén, San Marcos e Huehuetenango.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap.12, 4-7.11-15; Salmo 103; Vangelo di Marco, cap. 6, 1-6.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

Di José Calderón Salazar sappiamo solo che era un giornalista guatemalteco, nato il 22 gennaio 1911. Di lui conosciamo un solo testo, dal titolo “Amenazado de resurrección”, pubblicato nel Maggio del 1978 dalla rivista argentina “Actualidad Pastoral”. Ve lo proponiamo, nel congedarci, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dicono che sono minacciato di morte. Forse. Sia come sia, io sono tranquillo. Perché se mi ammazzano non mi toglieranno la vita. Io la porterò con me, appesa a una spalla come una bisaccia da pastore. A colui che qualcuno uccide si può togliere tutto anticipatamente come usano oggi, vale a dire: le dita delle mani, la lingua, la testa. Possono bruciare il corpo con sigarette, segarlo, tagliarlo, farlo a pezzi, triturarlo. Tutto si può fare e quanti mi leggono si commuoveranno profondamente con ragione. Io non mi commuovo molto. Perché fin da bambino, Qualcuno ho soffiato nelle mie orecchie una verità incrollabile che è, nel contempo, un invito all’eternità: “Non temete coloro che possono uccidere il corpo, ma non possono togliere la Vita”. La vita – la vera vita – si è rafforzata in me, quando, attraverso Pierre Teilhard de Chardin, ho imparato a leggere il Vangelo: il processo della risurrezione inizia con la prima ruga che spunta sul nostro viso; con la prima macchia di vecchiaia che appare sulle nostre mani; con il primo capello bianco che scopriamo sulla nostra testa, un giorno, mentre ci pettiniamo; con il primo sospiro di nostalgia per un mondo che, improvvisamente, davanti agli occhi, svapora e si fa sempre più lontano… Così comincia la risurrezione. Così comincia, non quella, così incerta, che alcuni chiamano ‘l’altra vita”, ma la vita “altra”… Dicono che sono minacciato di morte. Di morte corporale, quella che Francesco amò. Chi non è “minacciato di morte”? Tutti lo siamo, fin dalla nascita. Perché nascere è anche un po’ seppellirsi. Minacciato di morte. E allora? Se così fosse, perdono a tutti, anticipatamente. Che la mia croce sia una perfetta geometria d’amore, purché io possa continuare ad amare, parlare, scrivere e far sorridere, di tanto in tanto, tutti i miei fratelli, gli uomini. Dicono che sono minacciato di morte. C’è in questo avviso un errore concettuale. Né io né nessuno siamo minacciati di morte. Siamo, invece, minacciati di vita, minacciati di speranza, minacciati d’amore… Sì, ci sbagliamo di grosso! Noi cristiani non siamo minacciati di morte. Siamo “minacciati”di risurrezione. Perché oltre ad essere il Cammino e la Verità, Lui è la Vita, per quanto crocifisso sulla cima della discarica del mondo… (José Calderón Salazar, Amenazado de resurrección).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-04T23:24:00+01:00da fraternidade
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