Giorno per giorno – 30 Gennaio 2009

Carissimi,
“Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura” (Mc 4, 26-29). Per il regno di Dio succede come per il contadino che semina il suo seme nella terra e poi pazientemente aspetta. E se il contadino è Dio e il regno è Gesù, beh, non ci riesce facile credere che Lui riuscisse a dormire pacificamente mentre il semino che era suo Figlio cresceva e germogliava nel seno di Maria, prima, e poi, nella sua terra, e poi, ancora, sotto terra – e Lui sapeva che poteva avvenire solo così – , per dare vita, tra gli altri, anche a noi, ultimi arrivati. E insegnarci “come” si dà la vita. O, almeno, come la dà Lui. Cioè, com’è il regno. Dov’è il regno, oggi? Dov’è la vita come dono, le relazioni come servizio disinteressato, l’ “amatevi come io vi ho amato”? No, non ci sono grandi segnali, ci dicevamo stamattina. D’altra parte, questi non sono nello stile di Dio. Eppure, a guardar bene, di segni, ce n’è, sì, come sempre, ma a fior di terra. Anche nelle nostre famiglie (e nelle vostre), nelle nostre comunità e chiese (e in quelle degli altri). Persino fuori da ogni chiesa e magari da ogni richiamo a Dio, ci ritroviamo Gesù e il suo significato. Che poi è la verità di Dio. Pessimisti, perciò, non si può essere. “La terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”. La terra che, forse, per noi, vuol dire la storia. E, vai a saperli, i tempi della storia. Dio, se è Lui il contadino che ha seminato il regno, non ne forza i tempi. Ci sono terreni più fertili, climi più propizi che favoriscono persino due o tre raccolti l’anno. Altri meno, ma prima o poi avviene quel che deve avvenire. Noi siamo comunque invitati ad essere concime buono. Di quello che, dopo un po’, Dio guarda giù e si dice soddisfatto: perdinci, come hanno fatto in fretta! Del resto, ai suoi occhi, mille anni sono come il giorno che è passato (cf Sal 90, 4). Noi, a dire il vero, speriamo ce ne vogliano un po’ meno.

Oggi è memoria del Mahatma (grande anima) Mohandas Karamchand Gandhi, profeta di pace e martire della nonviolenza. Di cui noi si fa memoria oggi.

30_GANDHI III.jpgMohandas Karamchand Gandhi nacque il 2 Ottobre 1869 a Pobandar, città costiera della penisola di Kathiawar, in India. Trascorse l’infanzia in un ambiente familiare agiato. A tredici anni, secondo le regole della propria casta, si sposò, divenendo padre a diciotto anni. Dopo aver compiuto i suoi studi in patria, si recò nel 1898 a Londra, per conseguire l’abilitazione alla professione forense. Restò lì circa tre anni. Tornato per un breve periodo in India, viaggiò alla volta del Sudafrica nel 1893, dove resterà fino al 1915, impegnandosi nella lotta non-violenta contro la discriminazione razziale che là dominava. Tornato in patria, volle in primo luogo dedicarsi al miglioramento morale e spirituale del suo popolo, cominciando da se stesso. A tal fine pronunciò i suoi voti: di assoluta onestà, del divieto di uccidere e della soppressione in sé del desiderio di nuocere o sopraffare chicchessia; di castità e di purezza di vita, di dieta semplice e vegetariana e di perfetta povertà. Nel febbraio 1919, fondò il “Satyagraha Sabhaio”, per combattere la presenza coloniale britannica e conseguire l’indipendenza e l’unità nazionale, con mezzi non-violenti. La sua lotta appassionata fu interrotta ripetutamente da arresti e carcerazioni, ma venne infine coronata da successo quando nel 1947, dopo lunghe trattative l’India ottenne infine l’indipendenza. Gandhi morì il 30 gennaio 1948 assassinato da un fanatico indù, a Nuova Delhi.

Le letture proposte dalla liturgia odierna alla nostra riflessione sono tratte da:
Lettera agli Ebrei, cap.10, 32-39; Salmo 37; Vangelo di Marco, cap.4,26-34.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

È tutto per stasera. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad una citazione piuttosto conosciuta del Mahatma Gandhi, che ricaviamo da una scelta di suoi scritti e discorsi, apparsa anni fa con il titolo “Antiche come le montagne” (Edizioni di Comunità). È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La vostra convinzione che non vi sia rapporto tra mezzi e fine è un grande errore. Per via di questo errore, anche persone che sono state considerate religiose hanno commesso crudeli delitti. Il vostro ragionamento equivale a dire che si può ottenere una rosa piantando un’erbaccia nociva. Se voglio attraversare l’oceano, posso farlo soltanto con una nave; se a questo scopo usassi un carro, sia io sia il carro coleremmo ben presto a picco. “Quale è Dio, tale è il suo fedele”, è una massima su cui vale la pena di riflettere. Il suo significato è stato travisato e gli uomini si sono fuorviati. Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra il mezzo e il fine vi è appunto la stessa inviolabile relazione che vi è tra il seme e l’albero. È improbabile che io ottenga i risultati derivanti dall’adorazione di Dio prosternandomi davanti a Satana. Se però qualcuno dicesse: “Voglio adorare Dio; non importa che lo faccia per mezzo di Satana”, queste parole verrebbero considerate la follia di un ignorante. Raccogliamo esattamente quello che seminiamo. (Gandhi, Antiche come le montagne).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Gennaio 2009ultima modifica: 2009-01-30T23:09:00+01:00da fraternidade
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