Giorno per giorno – 15 Gennaio 2009

Carissimi,
“In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi guarirmi! Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci!. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì” (Mc 1, 40-42). La nostra Bibbia in portoghese, invece di “mosso a compassione”, legge: “Jesus ficou cheio de ira”, Gesù si adirò. E non sappiamo quale delle due traduzioni sia più vicina al testo originale. Forse entrambe. Perché la compassione per la sofferenza, l’emarginazione, la cattiva sorte di qualcuno, si accompagna, quasi sempre, con la rabbia e l’indignazione verso ciò che l’ha determinata. Come la denuncia, che era insieme grido e lamento, di Hanan Ashrawi, qualche giorno fa su un giornale. A proposito della striscia di Gaza. “Guardate quei filmati su YouTube, imprimetevi nella mente lo sguardo terrorizzato dei bambini di Gaza. Guardateli negli occhi: troverete una paura senza fine. Molti di quei bambini sono morti di paura, quando non sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani. Guardate quei corpi estratti dalle macerie delle scuole dell’ONU rase al suolo dall’artiglieria israeliana. Guardate e chiedetevi cosa c’è di “difensivo”, di moderato, in questo massacro di innocenti. Guardateli. E pensate cosa possono provare i loro fratelli o i loro padri. Su questi massacri sta crescendo in tutto il mondo arabo un odio profondo verso Israele”. Noi, quei filmati, non li abbiamo visti, ma possiamo immaginarli. Come possiamo intuire la marea montante dell’odio dei paesi arabi nei confronti d’Israele. Che è uno dei risultati cui mirava Hamas, con la sua politica dei “razzi artigianali” sul potente, ma vulnerabile, vicino. Chi, cosa, potrà guarire i due popoli, dalla paura, dall’escalation dell’odio, dal desiderio insaziato di vendetta? Forse accadrà se sapremo, tutti, ascoltare e lasciar parlare, la compassione e l’indignazione, che fino ad oggi abbiamo costretto al silenzio dentro di noi. E quando le parti in causa saranno riuscite a riconoscere la “lebbra” dell’intolleranza e dell’odio che le anima, e chiederanno di esserne guarite. Dalla pace, nella giustizia.

Oggi è memoria di don Zeno Saltini, profeta di una società fraterna.

15 don zeno.jpgZeno Saltini era nato il il 30 agosto 1900, a Fossoli di Carpi (Mo), a quattordici anni, lasciati gli studi, scelse di lavorare nei poderi della famiglia, entrando così in contatto con la dura realtà dei braccianti. Dopo il servizio militare, l’intenzione di difendere come avvocato coloro che non potevano pagarsi un difensore, lo portò a laurearsi in legge, e poi a decidere di farsi prete, per cercare piuttosto di prevenire che ci fossero quelli che finiscono in galera. Quando, nel 1931, celebrò la sua prima messa, adottò come figlio un ragazzo di 17 anni appena uscito dal carcere. Sarà il primo di molti. Dieci anni dopo, una ragazza fuggita di casa accettò di diventare la mamma “di vocazione” dei più piccoli tra gli ospiti di quella strano prete. Anche lei seguita da molte altre. Alla fine della seconda guerra mondiale (durante la quale molti componenti integrarono le file della resistenza antinazista), occupato il campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, don Zeno e i suoi costruirono la loro città. Accanto alle famiglie di mamme di vocazione si formarono le prime famiglie di sposi, che chiesero a don Zeno di accogliere i figli abbandonati, decisi ad amarli come quelli che sarebbero nati dal loro matrimonio. Nacque così Nomadelfia, che significa “Dove la fraternità è legge“. Le pressioni politiche dei partiti di destra e la difficile situazione economica degli anni che seguirono portarono al tentativo di “abolire” Nomadelfia. Il Sant’Ufficio ordinò a don Zeno di lasciare. Costretti ad abbandonare Fossoli, i nomadelfi si rifugiarono a Grosseto, in una grande tenuta da bonificare, frutto di una donazione. Per restare fedele alla sua famiglia, il prete chiese ed ottenne dal Papa, nel 1953, la rinuncia all’esercizio del sacerdozio. Anni più tardi, quando, nel 1961 i nomadelfi si diedero una nuova Costituzione come associazione civile, don Zeno chiese alla Santa Sede di riprendere l’esercizio del sacerdozio. Il 22 gennaio 1962 celebrò la sua “seconda prima messa”. Il papa, ricevendo i Nomadelfi, nell’agosto 1980, per una “serata” di festa, disse: “Se siamo chiamati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti”. Qualche mese dopo, don Zeno, colpito da infarto, moriva a Nomadelfia. Era il 15 gennaio 1981.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 3, 7-14; Salmo 95; Vangelo di Marco, cap.1,40-45.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Nomadelfia è stata “una” risposta, animata da compassione e indinazione, all’ingiustizia di un tempo che dura ancora. Quello che don Zeno Saltini tratteggiava così in una pagina di “Zeno – un’intervista, una vita” a cura di G. Ciceri e E. Gazzi, (Libreria Editrice Fiorentina). Che, nel congedarci, vi offriamo come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Io vado a lavorare sotto una ditta: siamo mille operai e guadagniamo quel tanto da vivere, anche da star bene. Dice il padrone: qui tu puoi guadagnare anche molto. Dice anche: se non si fa così l’uomo lavora senza passione. Ma questo allora vuol dire che siamo degli schiavi. Io dico invece che il mio lavoro non ha prezzo. [..] Il mio lavoro è un collaborare alla creazione per moltiplicare il benessere umano attraverso la produzione, anche se produco dell’arte, della musica. E io collaboro facendo l’operaio in questo stabilimento. Io so che per vivere ho bisogno di tanto, tanto se sono sano, tanto se sono malato, ed è bell’e finita. Però voglio sapere dove vanno i frutti del mio lavoro, io so che ogni operaio dà al principale il dieci o anche il cinquanta per cento di quel che produce. Non posso dartelo. La tua signora ha la villa al mare e ai monti, i tuoi figli spendono e spandono e giocano con i milioni, tu vai con le tue amanti… Uno ha fatto una villa e ha speso una cifra che servirebbe per fare, proprio fatti bene e da un onesto imprenditore, un centinaio di appartamenti. E non aveva bisogno di quella villa, perché ne ha delle altre. La ricchezza invece ha una funzione sociale precisa, e non parlo mica dal punto di vista religioso. Io voglio sapere che cosa arriva del mio lavoro a quello che è disoccupato, a quell’altro che è invalido, al negro che non ha mangiare. (Don Zeno Saltini, Zeno – un’intervista, una vita).

Ricevete l’abbraccio dei vostrio fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Gennaio 2009ultima modifica: 2009-01-15T23:17:00+01:00da fraternidade
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