Giorno per giorno – 16 Dicembre 2008

Carissimi,
Gesù aveva appena messo a tacere i vertici della curia gerosolomitana e i politici di alto bordo loro alleati, che gli erano andati a chiedere conto del suo agire (“Con quale autorità fai questo?”), ma non si ferma lì, intende mettere a nudo i loro (e anche i nostri) pensieri nascosti. E racconta la prima di una serie di parabole: “Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Dicono: L’ultimo. E Gesù disse loro: In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21, 28-31). Già, ma che c’entrano i due figli con i preti, il regno, i pubblicani e le prostitute? Beh, se l’ha detto Lui, devono entrarci. Loro e le conseguenze che Gesù ne tira. E mica tanto per un gusto della provocazione che qualcuno potrebbe addebitargli. No, il fatto è che Lui ci tiene davvero a tutti, anche ai casi cosiddetti perduti, Quelli, per esempio, di chi è insediato al potere e nessuno lo smuove più. E c’è bisogno allora di sollevarli di peso, rovesciandogli addosso quel po’ po’ di parolacce: le prostitute sono meglio di voi. Detto ai sommi sacerdoti e ad alcuni prestigiosi senatori! Provate a pensare all’effetto che farebbe oggi. Rispondere all’indovinello di Gesù era fin troppo facile. Senza tra l’altro sentirsi tirati in causa. La parabola presentava una famiglia di contadini e il loro lavoro. Niente di più lontano dall’esistenza di quei prelati e dei loro amici. Così è facile per Gesù prenderli in castagna. Perché la vigna della parabola è più che una semplice vigna, è l’opera del Signore. Un’opera che più che un fare è un vivere. Forse quello sintetizzato nelle parole di Michea: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Mi 6,8). Così semplice, così impossibile! In questo, poi, consiste anche il Regno, quando esso finisce per accadere. Sempre che noi gli si offra la chance. Credendo a quella parola che ci convince del nostro peccato e ci invita a cambiare strada. Il che, francamente, è più facile, quando si è raggiunto il fondo del pozzo, che quando si è seduti su un trono. Anche solo quello delle nostre sicurezze o apparenze.

Il nostro calendario, benché la ricorrenza cadesse in realtà ieri, ci porta oggi la memoria di Rabbi Dov Bär di Mètzeritch, mistico ebreo, e di Isaac de Castro Tartas e compagni, martiri ebrei dell’Inquisizione.

16 Magghid.jpgDov Bär nacque a Lukatch, in Volinia (Ucraina), nel 1704. All’età di cinque anni, vedendo la madre disperarsi davanti all’incendio della casa, le chiese: “Mamma, è giusto che tu soffra così per la perdita di una casa?”. Lei gli rispose: “Non è per la perdita della casa, ma perché è stato distrutto un documento che provava la nostra discendenza da Rabbi Yochanan HaSandlar, che era un discendente diretto del re David” . “Se è per questo – replicò il bambino – con l’aiuto di Dio, darò io origine per voi ad una nuova dinastia”. Completati gli studi, Dov Bär si sposò ancor giovane, guadagnandosi da vivere come maestro in un piccolo villaggio e dedicandosi sempre più allo studio della Torah e dei misteri della Kabbalah. Come molti altri maestri dei chassidim, inizialmente combattè il movimento chassidico, ma a partire dal momento in cui, gravemente malato, accettò il suggerimento di recarsi dal famoso Baal Shem Tov, che aveva fama di guaritore, ne divenna il più acceso sostenitore, fino ad assumere, alla morte di quest’ultimo, la successione alla sua guida. Stabilitosi a Metzeritch, fece di questa città il nuovo centro del Chassidismo. Sotto la sua guida, il movimento si diffuse rapidamente, nonostante i numerosi avversari. I suoi discepoli si diedero a percorrere l’intera regione, recando a tutti il messaggio di speranza, consolazione, fede e soprattutto di gioia nel servizio di Dio e nel compimento dei precetti. Rabbi Dov Bär morì ad Hanipol il 19 di Kislev 5532 (15 dicembre 1772).

16 Rogo.jpgIsaac de Castro Tartas era nato nel 1626 nel sud della Francia, dove i genitori, portoghesi, si erano rifugiati. Trasferitosi ad Amsterdam, a sedici anni decise di partire con uno zio materno per il Brasile, allo scopo di convincere gli ebrei costretti a battezzarsi a far ritorno alla Legge mosaica. Giunse a Recife con un bagaglio culturale di tutto rispetto, versato in latino, ebraico, portoghese, spagnolo e in medicina. Durante un viaggio in Bahia, allora sotto controllo portoghese, fu accusato di aver rinnegato il battesimo per tornare alla pratica religiosa dei padri. Arrestato, fu trasferito a Lisbona per essere processato dal tribunale dell’Inquisizione. Invitato ad apostatare, si rifiutò. Fu perciò condannato al rogo assieme ad altri cinque ebrei, mentre altri sessanta loro compagni furono condannati alla prigione perpetua. La condanna venne eseguita il 15 dicembre 1647. Le cronache del tempo raccontano che, mentre bruciava, il ventunenne Isaac gridava a gran voce e con grande devozione le parole dello Shemah Israel… (Ascolta, Israele), che costituisce la professione di fede ebraica. I testimoni che, raccontando il fatto, ne riferivano le parole, preoccuparono non poco l’Inquisizione che, ossessionata, proibì ai cristiani di pronunciare la formula dello Shemah, che riprende testualmente alcuni versetti del libro del Deuteronomio (Dt 6, 4-9).

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Sofonia, cap.3, 1-2.9-13; Salmo 34; Vangelo di Matteo, cap.21, 28-32.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

Noi ci congediamo qui. Il Vangelo di oggi parlava di due fratelli. Di due fratelli parla anche questo episodio della vita del Rabbi Dov Bär, il Magghid di Mètzeritch, tratto da “I racconti dei Chassidim” (Garzanti) di Martin Buber. Ve lo proponiamo come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Prima che il Magghid incominciasse a insegnare ai due fratelli, Shelke e Pinhàs, disse loro come dovevano condursi tutto il giorno, dallo svegliarsi fino all’addormentarsi, e nel far questo tenne in considerazione le loro consuetudini, insieme approvandole e superandole, come se conoscesse tutta la loro vita. Alla fine disse: “E prima di mettersi a letto si fanno i conti di tutto il giorno. E se l’uomo calcola di non aver sciupato neanche un momento, e il suo cuore s’insuperbisce, in cielo prendono tutte le sue buone opere, ne fanno una palla e la scaraventano nell’abisso. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Dicembre 2008ultima modifica: 2008-12-16T23:11:00+01:00da fraternidade
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