Giorno per giorno – 14 Dicembre 2008

Carissimi,
È molto bello, che allegria lodarti, / o Padre amato, madre di amore e di bontà. / Da molto tempo avevi promesso al tuo popolo, / che saresti giunto a visitare l’umanità. // Tu vieni, tu vieni, io già ascolto i tuoi segnali! // Dall’antico popolo ti sei fatto ascoltare / attraverso i profeti della prima alleanza. / Le tue promesse si sono realizzate pienamente / in Gesù Cristo che è la nostra speranza. // La voce dell’angelo sussurrò al suo udito, / e lo Spirito prese possesso di Maria; / quando la Vergine disse sì alla tua chiamata / dalla tua Parola il nuovo popolo si lasciò ingravidare. // Ora gli incurvati rialzino la testa, / gli sfruttati uniscano le mani stanche, / i gemiti stanno già diventando un forte canto, / è Dio che viene! Già si avvicina la redenzione! // Oggi il tuo popolo qui unito per lodarti, / è un segnale che il tuo regno sta arrivando. / Per questo, ora, con gli angeli e i santi, / allegramente tutti noi stiamo cantando”. È il prefazio che qui si canta in questo tempo liturgico, particolarmente indicato per oggi, 3ª Domenica di Avvento, chiamata “Gaudete”, cioè “Rallegratevi”, perché il tempo si è fatto vicino. Il Vangelo di oggi, tratto dal prologo di Giovanni, noi lo si era meditato insieme giovedì sera a casa di Maria Helena, la mamma di Andréia e Elenice. Al centro di questo Vangelo c’è l’interrogatorio concitato dei farisei al Battista: “Tu, chi sei? Egli confessò e non negò, e confessò: Io non sono il Cristo. Allora gli chiesero: Che cosa, dunque? Sei Elia? Rispose: Non lo sono. Sei tu il profeta? Rispose: No. Gli dissero dunque: Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso? Rispose: Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaìa” (Gv 1,19-23). Noi siamo rimasti con quella domanda, rivolta oggi a noi: Che cosa dici di te stesso(a)? O anche: Di che cosa siamo voce noi? La nostra vita riesce a essere espressione del desiderio del Regno che percorre il mondo? a farsene, nelle scelte concrete, una sorta di esperimento in vitro, un primo laboratorio? A prestarsi al grido delle masse impoverite, dei popoli della fame, della vittime delle guerre, di ogni violenza e oppressione? Sappiamo denunciare gli idoli del tempo e rinunciare a quello che più spadroneggia in noi, il nostro io, per dirci, ad ogni momento, come libera disponibilità ad essere Suo gesto e promessa di liberazione, solidarietà, cura?

I testi che la liturgia ci propone in questa 3ª Domenica d’Avvento sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.61,1-2a.10-11, Salmo (da Luca, 1, 46-54); 1ª Lettera ai Tessalonicesi, cap.5,16-24; Vangelo di Giovanni, cap.1,6-8.19-28.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane ed è volta ad ottenere il dono dell’unità, nella piena valorizzazione delle differenze.

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria di Giovanni della Croce, contemplativo e maestro della fede, e di Catherine Kolyschkine de Hueck Doherty, mistica.

14_JO_O_DA_CRUZ2.JPGJuan de Yepez y Alvarez, o, come lo si conosce noi, Giovanni della Croce, era nato a Fontiveros presso Avila (Spagna), nel 1542, ed era entrato poco più che ventenne nel Carmelo, in un tempo in cui la vita monastica era assai rilassata. Dopo gli studi di filosofia e teologia a Salamanca, fu ordinato sacerdote nel 1567 e, in quello stesso anno, conobbe Teresa di Gesù, con cui iniziò a collaborare in vista della riforma del Carmelo. Questo non mancò di causargli problemi e perfino l’esperienza della prigione. Fu in questo periodo che egli scrisse alcune delle sue più belle poesie. Le sofferenze che conobbe lo portarono a scoprire il mistero della croce e ad avanzare sul cammino della più alta contemplazione. Cammino che egli descrisse nelle sue opere di teologia spirituale: “La Salita al monte Carmelo”, “La Notte oscura dell’anima”, “Il Cantico spirituale”, “La Fiamma viva di amore”. Morì a quarantanove anni, nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591 a Ubeda. Al centro del suo insegnamento pose l’unione per grazia dell’uomo con Dio, per mezzo di Gesù Cristo, in un itinerario che prevede le tappe della via purgativa, illuminativa e unitiva. Per arrivare al Tutto, che è Dio, occorre che l’uomo dia tutto di sé, non con uno spirito di schiavo, ma di amante. Disse: “Nella sera della tua vita sarai esaminato sull’amore”, e “Dove non c’è amore, metti amore e ne ricaverai amore”.

14 Catherine Doherty.jpgCatherine Kolyschkine era nata a Nizhny-Novgorod, in Russia, il 15 agosto 1896 da una famiglia aristocratica. Sposa a quindici anni del cugino, il barone Boris de Hueck, durante la prima Guerra mondiale fu al fronte come infermiera. Dopo la rivoluzione bolscevica, Catherine e Boris emigrarono dapprima in Inghilterra e poi, nel 1921, a Toronto, in Canadà, dove entrambi si adattarono a svolgere mansioni umili e sottopagate per sopravvivere e per mantenere il figlio George nato nel frattempo. L’inatteso affermarsi di Catherine come conferenziera di successo, se portò un nuovo benessere alla vita familiare, provocò tuttavia la crisi del matrimonio della coppia, che ottenne il divorziò e, successivamente, il riconoscimento di nullità. La prosperità recuperata generò una nuova e più profonda insoddisfazione nella donna, in cui echeggiavano incessantemente le parole di Gesù: “Vai, vendi tutto ciò che possiedi e dá il ricavato ai poveri, poi vieni e seguimi”. Fu così che Catherine decise di vendere tutte le sue proprietà e, dopo avere provveduto il necessario al figlio, si recò a vivere una vita nascosta negli slums di Toronto. In seguito si spostò a New York, dove ad Harlem fondò la Casa dell’Amicizia, per lottare insieme alla popolazione nera contro il peccato del pregiudizio razziale, dello sfruttamento economico e dell’ingiustizia sociale. Conobbe e ricevette sostegno da Dorothy Day e verso di lei si sentirà debitore il giovane Thomas Merton, in seguito trappista e maestro spirituale di molte generazioni di cristiani impegnati. Nel 1943 Catherine sposò il giornalista Eddie Doherty. Nel 1947 i due si trasferirono a Combermere, nell’Ontario, dove cominciarono a lavorare con i braccianti e i contadini poveri della regione. Da quell’esperienza nacque Madonna House, una comunità in cui confluirono uomini e donne, laici e presbiteri, desiderosi di vivere in comune i valori della solidarietà, della povertà e della preghiera. Nel 1955, Catherine e Eddie fecero voto perpetuo di celibato e, nel 1969, Eddie fu ordinato prete secondo il rito cattolico melkita. Morì nel 1975. Catherine gli sopravvisse fino al 14 dicembre 1985, giorno della sua morte, avvenuta dopo una lunga malattia.

La pustinia, l’eremo, come spazio che ricaviamo, anche solo nel cuore, per l’incontro con Dio, a noi l’ha fatta conoscere quasi sei anni fa Ivo, dei piccoli fratelli del Vangelo di Spello, durante un ritiro con la comunità. E molti di noi non l’hanno più dimenticata. Il libro di Catherine de Hueck Doherty, “Pustinia: le comunità del deserto oggi” (Jaca Book), l’avremmo letto solo più tardi. Ed è da questo che, comunque, prendiamo il brano che scegliamo di proporvi, nel congedarci, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il deserto è un altare, sul quale in ogni istante portate l’offerta di voi stessi. Perché la mia volontà è l’ostacolo che si erge eternamente tra Dio e me. Noi decidiamo che faremo questa o quell’altra cosa. Dio arriva e dice: “No, fate questo”. Si tratta di fare quello che lui vuole che facciamo, non perché abbiamo paura di lui o abbiamo paura di morire, ma perché siamo innamorati di lui e perché veniamo nella pustinia per compiere veramente la sua volontà e non la nostra. La pustinia esiste per foggiare in voi questa capacità. Il pustinik deve arrivare alla fine a capire che deve diventare così vuoto come Dio lo è diventato per lui. Verrà il momento in cui la processione delle offerte dell’uomo raggiungerà quella di Dio. Allora l’uomo può andare ovunque. Non gli è più necessario restare nella pustinia. Può partire in pellegrinaggio; può cessare di abitare in un solo luogo. È uno strano momento quando l’uomo si accorge, con la grazia di Dio, che questo è avvenuto in lui. Quando ascoltiamo la parabola del seme, dovremmo pensare a Dio divenuto seme nel grembo di Maria. Era il buon seme. Esso ha gettato profonde radici. Semmai arriviamo a presentire questo strano mistero di Dio che diventa un feto, un bambino, un adolescente, un uomo, cominceremo a capire l’amore di Dio per noi. Cominceremo allora a capire il vuoto che si deve fare in noi, la profondità dell’abbandono della nostra volontà a quella di Dio. Infine entreremo in una processione delle offerte, e la nostra processione raggiungerà quella di Dio, e lui e noi diverremo uno. (Catherine de Hueck Doherty, Pustinia: le comunità del deserto oggi).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Dicembre 2008ultima modifica: 2008-12-14T23:00:00+01:00da fraternidade
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