Giorno per giorno – 14 Novembre 2008

Carissimi,
“Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece perire tutti” (Lc 17, 26-27). Già, il mondo era pieno di corruzione e violenza (Gen 6, 11), ma a quasi nessuno sembrava importasse granché: la gente (anche quella perbene, presumibilmente), lavorava, consumava i suoi pasti, si sposava, faceva figli, e andava a messa la domenica (o faceva qualcosa di simile). Ma che il mondo andasse male non era affar suo. Noè, invece, prestò ascolto al richiamo di Dio. E si diede da fare. Il midrash racconta addirittura che durò centoventi anni la costruzione dell’arca, durante i quali egli fece di tutto per convincere i suoi vicini a imitarlo. Ma, inutilmente. Era una sorta di Green Peace inascoltato. Ai tempi di Sodoma, la situazione del mondo non era certo migliore. Il profeta Ezechiele ne denunciò il peccato con queste parole: “Essa e le sue figlie avevano superbia, ingordigia, ozio indolente, ma non stesero la mano al povero e all’indigente” (Ez 16, 49). Ancora una volta la colpa è additata nell’indifferenza di fronte al male di quanti “mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano” (Lc 17, 28), senza muovere un dito perché si ponesse fine all’oppressione e all’emarginazione dei poveri. Pare la fotografia delle nostre società dell’opulenza! Ebbene, il giorno del Figlio dell’uomo, si propone come drastica alternativa alla scelta del mondo, di “quel” mondo. Vuole essere affermazione del Principio della cura, nell’assunzione responsabile della salvezza dell’altro (le creature e la porzione di creato a portata della mia azione), a costo, nel caso, della mia vita. Che è per noi il significato della Croce. Se, invece, avremo cercato di salvarci da soli (come individui, comunità, chiesa, popolo, nazione), attardandoci a guardare “dietro” di noi (le nostre radici, la nostra identità, la nostra città, la nostra civiltà), così come accadde alla moglie di Lot, avremo perduto noi stessi, il nostro pezzo di mondo, il pezzetto di storia che rappresentiamo.

Oggi ricordiamo Gregorio Palamas, mistico esicasta.

14 GREGORIO PALAMAS BIS.jpgGregorio nacque a Costantinopoli l’11 novembre 1296. A vent’anni, assieme ai fratelli Macario e Teodosio, si fece monaco sul Monte Athos, divenendo in seguito abate del monastero di Esfigmenou. Il suo radicalismo e il rigore nelle pratiche ascetiche lo resero però ben presto inviso ai suoi monaci, che preferivano di gran lunga una vita tranquilla e senza troppe pretese. Dato che come spesso accade, la moneta cattiva scaccia quella buona, anche Gregorio fu cacciato dal monastero. Ma non tutto il male viene per nuocere. Recatosi a Salonicco, potè impegnarsi meglio nella sua battaglia a favore della dottrina mistica dell’ “esicasmo”. Ebbe il tempo di farsi scomunicare come eretico e mandare in esilio. Ma poi con l´appoggio insperato dei suoi antichi confratelli, fu richiamato in patria e eletto arcivescovo di quella città (1347). Da allora la sua diverrà dottrina ufficiale della Chiesa bizantina. Contro ogni pericoloso panteismo, ma anche contro ogni dualismo che contrapponga spirito e materia, Gregorio affermò che lo spirito umano è radicalmente differente da Dio, tanto quanto il corpo: ma Dio, concedendo la sua grazia, salva l’intero essere umano, la sua anima e il suo corpo. Questa grazia e salvezza non si situa fuori della storia, ma agisce già qui e adesso, in un’escatologia realizzata, che ci permette di rifare l’esperienza degli apostoli sul Tabor. Ogni cristiano, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, laico o consacrato, coniugato o celibe (dato che, come sosteneva san Simeone il nuovo Teologo, “la vita più alta è lo stato a cui Dio chiama ciascuno personalmente”), per raggiungere tale condizione escatologica nel divenire esistenziale dopo il battesimo, deve alimentare incessantemente la propria quotidianità con la pratica sacramentale ed ascetica ed essere così perennemente in comunione con Cristo. Questo il senso anche della “preghiera del Nome”, la ripetizione incessante del nome di Gesù, propria della tradizione esicasta. Gregorio morì il 14 novembre 1359. Fu canonizzato dal patriarca ecumenico Filoteo nel 1368.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera di Giovanni, 4-9; Salmo 119; Vangelo di Luca, cap.17, 26-37.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Oggi sono ottantasei le primavere del nostro amico Pedrão, al secolo Pierre Recroix, un monaco francese, nato in Algeria, che si è regalato ai poveri del Brasile e, tramite essi, a Gesù. Certo che la buon’anima della sua mamma, dandolo alla luce in questo giorno, mica sapeva nulla della memoria che vi si celebrava, quella di Gregorio Palamas, dalla cui spiritualità, Pedro avrebbe attinto, nei più recenti decenni, la pratica della Preghiera del Nome. Che, per lui, dev’essere come un respiro. Lo mettiamo nella vostra preghiera, come lui del resto porta noi tutti nella sua. E poi, nel congedarci, vi proponiamo un testo di Gregorio Palamas, tratto dalla sua “Difesa dei Santi Esicasti”, che probabilmente non rispecchia la nostra esperienza, ma che è nondimeno bello almeno contemplare. Ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nel secolo futuro non vedremo forse l’Invisibile a faccia a faccia, secondo la parola della Scrittura (1Cor 13,12)? Perciò fin d’ora quelli che hanno il cuore purificato ne ricevono la caparra e il preludio. Essi ne vedono sensibilmente la figura spirituale e invisibile che abita nel loro intimo. Lo spirito infatti è immateriale per natura e potremmo definirlo una luce apparentata con la Luce prima e sublime, con cui tutti gli esseri comunicano, benché essa tutti li trascenda. Quando in una totale tensione verso la vera Luce, nella preghiera immateriale, incessante e purificata, la mente s’innalza definitivamente verso la stessa Deità, quando si trasforma per acquisire fin d’ora la dignità angelica, illuminata dal Lume originale, come gli angeli, allora la mente diventa per partecipazione quello che è l’Archetipo a titolo di principio. Manifesta in sé stessa lo splendore della Bellezza occulta, il suo fulgido chiarore inaccessibile. Davide, il divino melode, percepì spiritualmente quella chiarità nel suo intimo, se ne rallegrò e insegnava ai fedeli quel grande e misterioso possesso. Egli cantava: “Lo splendore del nostro Dio è sopra di noi” (cf Sal 89,17 Vulg). (Gregorio Palamas, Difesa dei Santi Esicasti).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Novembre 2008ultima modifica: 2008-11-14T23:21:00+01:00da fraternidade
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