Giorno per giorno – 27 Ottobre 2008

Carissimi,
“In quel tempo ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. Amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio” (Os 2, 21-22.25). Dio è questo potere di cambiare il nome e perciò anche il destino delle persone. Destino che poi si riduce ad un’alternativa secca: sentirsi amati o sentirsi non-amati. E dal disamore nascono tutte le ingiustizie, le oppressioni, le violenze, le sofferenze del mondo. Gesù se ne dev’essere ricordato, entrando in quella sinagoga e vedendo quella donna curva, che da diciotto anni non poteva drizzarsi in nessun modo. E non c’è stato bisogno che lei dicesse o chiedesse nulla. Lui l’ha toccata e le ha detto semplicemente: “Donna, sei libera dalla tua infermità” (Lc 13, 12). E lei ha potuto finalmente rialzarsi e lodare Dio. Ora, quella donna curva (immagine di ogni sofferenza, oppressione, sfruttamento, emarginazione) è specchio e denuncia di una società malata, a sua volta vittima del disamore. Come è ancora oggi la nostra, la vostra, e, forse, in diversa misura, tutte. E il parroco di quella sinagoga, che protesta con Gesù perché curando la donna, è andato contro il riposo del Sabato (espressione di ogni legge civile e religiosa), ne è l’espressione più evidente. Che razza di mamma o di papà avrà avuto quel signore? E più in profondo, che razza di dio adorerà? In altre parole, qual è il nostro principio guida: l’affermazione di sé (anche e soprattutto nelle sue forme plurali e collettive: famiglia, nazione, patria, chiesa, religione) o la misericordia, la com-passione, il patire assieme solidale per alleviare la vita altrui dai carichi troppo pesanti? Quella donna, ha detto stamattina Nesona, è immagine di noi ogni volta che siamo come piegati su noi stessi e non abbiamo occhi per gli altri. Paradossalmente Gesù infrange il sabato per restituirci alla libertà del Sabato e permetterci così di riconoscere Dio come è davvero, e cantarne le lodi. Quella donna per diciotto anni (tre volte sei, i sei giorni feriali senza più festa) non aveva più saputo la bellezza del sabato, né l’amore risanante di Dio, e il piacere di lodarlo. Finché, “quel sabato”, un rabbino itinerante della Galilea, aveva preso l’iniziativa e le aveva detto: Rialzati, Amata. Dio ti ama più di qualsiasi cosa al mondo, più di ogni precetto della sua pur santa Legge. E lei.

Ma noi, fino a dove sapremmo spingerci, quali barriere saremmo disposti ad abbattere, quali ostacoli riusciremmo a superare e, nel caso, quali leggi arriveremmo a trasgredire, per restituire dignità, salute, gioia di vivere al più piccolo dei nostri fratelli?

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Tukârâm, mistico indiano.

27 Tukaram.jpgNon abbiamo grosse notizie su di lui, salvo il fatto che nacque nel 1598, a Pandharpour, nello Stato indiano del Maharastra, nella famiglia di un contadino analfabeta, appartenente alla casta dei shudra, la più umile delle caste indiane. Sposatosi, ebbe un figlio, ma perse lui e la moglie durante una grave carestia. Nonostante questa tragedia, non venne mai meno in lui la fede e l’amore nei confronti di Krishna. Scrisse innumerevoli poesie che cantano la sua devozione a lui, in forma di abhanga nella lingua Marathi. Assalito dalla frustrazione e dai dubbi, un giorno era pronto a suicidarsi, ma fu proprio allora che percepì la presenza del divino. Da quel momento la sua vita cambiò. La sua filosofia era semplice ed efficace: “Siedi in silenzio e ripeti il nome di Dio. Questo solo basta per realizzarti”. Costantemente ripeteva che le norme morali e gli insegnamenti religiosi, come lo studio dei Veda, erano solo formalità e che il fine ultimo della religione sta nella realizzazione del divino attraverso l’amore. Morì nel 1650.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.4, 32-5,8; Salmo 1; Vangelo di Luca, cap.13, 10-17.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

È tutto per oggi. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una poesia di Tukârâm. Che è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Signore, come un mendicante / sto alla tua porta e ti imploro. // Mio Dio, fammi l’elemosina di un po’ d’amore: lo riceverò / dalle tue mani amorose. // Non permettere che ti invochi invano: / non ho alcun merito, / non possiedo nulla, non esigo nulla, / non domando che un dono gratuito. // Non lasciar cadere su di me il peso / schiacciante dei miei peccati: / nelle tue mani amorose rimetto / i miei innumerevoli errori. // (Tukârâm, Come un mendicante).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Ottobre 2008ultima modifica: 2008-10-27T23:42:00+01:00da fraternidade
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