Giorno per giorno – 21 Settembre 2008

Carissimi,
per chi lavora duro durante la settimana, rinunciare al riposo domenicale non è uno scherzo, e perdersi la proposta tentatrice di una scampagnata in fazenda ancor di più. Questo aiuta a spiegare che ci sia chi ha dato forfait in questo terzo mutirão (lavoro comunitario a titolo gratuito) organizzato per sistemare la casetta di Divina e Aparecida. Lo “zoccolo duro”, comunque, ha resistito. Così, stamattina alle otto, sotto una pioggerellina mite e insistente, con cui il buon Dio sembra aver voluto benedire l’iniziativa, si era sul posto, armati degli strumenti del mestiere. Dei volonterosi, ricorderemo, questa volta, solo il nome di Marcinho, che, del mutirão di oggi, a causa anche della temporanea indisposizione di Valdiron, si è accollato il peso maggiore, e quello del giovanissimo William, che da qualche tempo è una presenza fissa nelle attività della Comunità. E trasmette allegria ed entusiasmo. L’unica retribuzione prevista in questo tipo di lavoro è il pasto comunitario, la merenda, il caffè, l’acqua fresca e l’allegria dello stare insieme. Offerti ugualmente a tutti, quale che sia il contributo apportato, il tempo speso e la stanchezza che ne è derivata. Gesù doveva conoscere o immaginare qualcosa dello spirito del mutirão, quando raccontò la parabola degli operai mandati nella vigna (Mt 20, 1-16a). Che ancora oggi non manca di lasciare perplessi quanti sono abituati a misurare prestazioni e relativi compensi col cartellino orario, quando non col cronometro alla mano. Premiando meriti e capacità dei migliori, più efficienti e più fortunati, e sacrificando la persona e la vita di chi non è in grado di rendere a sufficienza, di reggere i ritmi imposti o di giungere a tempo. La logica del regno di Dio è differente, per certi versi simile a quella proposta, in tempi più recenti, da un altro ebreo come Gesù. Che suona: Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità”. E, infatti, a sera, gli operai del racconto ricevono tutti in egual misura: quanti hanno lavorato tutto il giorno, come chi ha lavorato un’ora sola. Parabola della liberalità e gratuità di Dio. Della sua sovrabbondante grazia. Invito a convertirci a Lui, penetrare nella sua maniera d’essere, nel suo mistero.

I testi che la liturgia di questa xxv Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.55, 6-9; Salmo 145; Lettera ai Filippesi, cap.1, 20c-24.27; Vangelo di Matteo, cap.20, 1-16a.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità é chiese cristiane.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Matteo, apostolo ed evangelista, e del gesuita Gabriele Malagrida, apostolo del Brasile.

65649367.jpgNei racconti di vocazione Matteo è presentato anche col nome di Levi. È uno dei Dodici, tradizionalmente considerato l’autore del primo dei vangeli canonici. Figlio di Alfeo, prima della sua conversione, era pubblicano, cioè esattore delle imposte per conto dei romani. Mentre stava seduto al banco dell’esattoria, Gesù lo vide e gli disse: “Seguimi”. E lui si alzò e lo seguì. Si ritiene che la sua attività apostolica si sia limitata, almeno in un primo momento, alla Palestina, o che, comunque, si sia diretta a una comunità di giudei cristiani, nell’ambito della quale sarebbe poi stato redatto il Vangelo che porta il suo nome. Una tradizione indica l’Etiopia come suo successivo campo di missione, altre tradizioni suggeriscono la Persia. Forse morì martire.

1160600781.jpgGabriele Malagrida nacque a Menaggio, sul lago di Como, il 6 dicembre 1689. Entrato nella Compagnia di Gesu nel 1711, dopo alcuni anni di insegnamento a Bastia, in Corsica, ottenne di partire per il Brasile, nel 1721, dove per molti anni svolse il suo ministero nelle missioni del Pará e del Maranhão. Per dodici anni percorse oltre seimila chilometri, in gran parte a piedi, lungo un itinerario che lo portò fino a Salvador de Bahia e gli fece attraversare sulla via del ritorno gli attuali stati di Sergipe, Alagoas, Pernambuco, Paraíba e Ceará. Fu una grande marcia al servizio del Vangelo, durante la quale predicò, battezzò, confessò, fondò conventi e costruì chiese, ma soprattutto denunciò le soperchierie dei ricchi, difese i diritti degli indios, protesse emarginati, poveri e prostitute, condividendo con loro uno stile di vita povero e austero. Recatosi per un breve soggiorno a Lisbona nel 1750, vi fece ritorno nel 1754, chiamato a corte e accolto da uno moltitudine di fedeli, presso i quali si era diffusa la fama della sua santità. Sfortunatamente questo suo soggiorno coincise con la salita al potere, nel 1756, di Sebastião José de Carvalho e Melo, il famigerato marchese di Pombal, nelle cui mani si venne concentrando tutto il potere del Portogallo di Dom José I e che era nemico giurato delle missioni e dei gesuiti. Due opuscolo piuttosto farneticanti, attribuiti all’anziano gesuita, in cui si sosteneva che il terribile terremoto del 1° Novembre 1755 che aveva distrutto Lisbona era da considerarsi un castigo divino, offrì il pretesto al marchese di Pombal per ordinarne l’arresto e istituire successivamente un processo presso la santa Inquisizione. I giudici, legati a filo doppio al potente ministro, condannarono il gesuita, come visionario ed eretico, consegnandolo al braccio secolare per essere strangolato e bruciato sulla pubblica piazza. Il che avvenne il 21 settembre 1761. L’anno seguente, papa Clemente XIII lo beatificò e proclamò “martire della chiesa e apostolo del Maranhão”.

Seguire Gesù, convertirci alla logica del regno di Dio, imparare da suo Padre. In questo consiste l’essere discepoli. Per questo Gesù chiamò Matteo e gli altri. Chiama, se vogliamo capirlo e siamo disposti a rispondergli, anche noi. Dal libro di Dietrich Bonhoeffer “Discipulado” (Editora Sinodal), che ci pare sia edito in Italia con il titolo “Sequela”, prendiamo questo brano che, nel congedarci, vi proponiamo come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Essere discepoli significa compiere determinati passi. E, da subito, il primo passo che segue la chiamata, separa il discepolo dalla sua esistenza precedente. Così la chiamata alla sequela crea immediatamente una nuova situazione. Restare nella vecchia situazione ed essere discepolo è impossibile. All’inizio questo era ben evidente. Il pubblicano dovette abbandonare il banco delle imposte; Pietro dovette lasciare le sue reti, per seguire Gesù. Secondo la nostra comprensione ci potevano essere altre soluzioni: Gesù avrebbe potuto offrire al pubblicano una nuova conoscenza di Dio permettendogli di restare dove si trovava. Questo sarebbe stato perfettamente possibile, se Gesù non fosse il Figlio di Dio fatto uomo. Ma, dato che Gesù è il Cristo, doveva diventare chiaro che il suo messaggio non è una dottrina, ma una nuova creazione dell’esistenza. Si trattava di andare realmente con Gesù. Colui che era chiamato capiva che, per lui, c’era solo una possibilità di fede in Gesù, e cioè, abbandonare tutto e andare con il Figlio di Dio fatto uomo. Con il primo passo, il discepolo è posto nella situazione di poter credere. Se non segue Gesù, se resta indietro, non imparerà a credere. Chi è chiamato deve uscire da una situazione in cui è impossibile credere, verso un’altra in cui è già possibile credere. Questo passo non ha in sé nessun valore pragmatico; si giustifica solo per la comunione stabilita così con Gesù. Se Levi rimanesse alla dogana, o Pietro con le sue reti, potrebbero continuare onestamente e fedelmente le loro rispettive professioni, potrebbero conservare l’antica e la nuova conoscenza di Dio; ma se vogliono apprendere a credere in Dio, devono seguire il Figlio di Dio fatto uomo e camminare con lui. (Dietrich Bonhoeffer, Discipulado).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Settembre 2008ultima modifica: 2008-09-21T23:55:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo