Giorno per giorno – 04 Agosto 2008

396745977.JPG1432791731.JPGCarissimi,
“Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!” (Mt 14, 30). La sensazione di affondare, per un motivo o per l’altro, noi la proviamo quasi ogni giorno. Per fortuna non tutti insieme, ma uno(a) per volta, così c’è sempre chi finisce per allungarci una mano. Gerson diceva stamattina che la storia della barca che naviga a fatica, a causa del vento contrario, racconta la vicenda della chiesa, di ogni chiesa. Persino di una comunità piccola come la nostra. E meno male che c’è sempre Lui, che dall’alto [del monte] prega e veglia su di noi. Pietro, poi, è figura di ognuno(a) di noi. Se e quando si ha il coraggio di buttarsi in mare, cioè di buttarsi via (che è un po’ la riscoperta del significato del battesimo), e dirgli: mi sei rimasto solo Tu, non mi tradire. Lui è qualcuno che ci afferra, ci strappa a noi stessi, ci spinge da dentro, ci butta in acqua, come il bagnino quando vuole insegnarci a nuotare. Sappiamo bene che di Lui ci si può fidare, e che basta continuare a nuotare. Però può succedere che ci prenda una strana paura. Il mare non lo sentiamo proprio come nostro ambiente naturale (che è invece ciò di cui sono popolati i nostri sogni, il nostro personalissimo Eden). Ma è, nondimeno, quello in cui si avanza più o meno tutti, a nuoto o in barca. Da soli o in comunità. Ed è il nostro quotidiano. È il quotidiano che ci fa paura, con la scoperta delle piccole persone che siamo, le piccole cose a cui siamo chiamati, le piccole sfide che ci fronteggiano, le piccole vedute, le piccole liti, i piccoli rancori, le piccole inutili sofferenze, i piccoli malanni, le allegrie troppo piccole. Così in certi momenti si resta come paralizzati e si dice: basta, non ce la faccio più, non ha senso. E invece, il senso è lì a portata di braccio. È quel braccio che si tende e ci afferra. E che poi si moltiplica all’infinito nelle nostre braccia, se solo riusciamo a credere davvero che Lui non è una fiaba, un fantasma, un’illusione. Ma la verità della nostra vita.

Oggi è memoria di due preti che Lui, non l’hanno preso per un fantasma: Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, e mons.Henrique Angelelli, vescovo martire di la Rioja.

Giovanni Maria Vianney era nato l’8 maggio 1786 da una famiglia contadina a Dardilly, nei pressi di Lione. Voleva farsi prete, ma negli studi si rivelò presto una frana. Fu chiamato ad arruolarsi nell’esercito napoleonico, ma non gli andava proprio di servire in armi il ducetto che aveva, tra gli altri, il grosso torto di aver messo in prigione il suo papa, Pio VII. Decise di disertare, restando poi nascosto fino al 1810, quando un’amnistia gli permise di tornare alla vita civile e di riprendere la sua formazione. I superiori decisero alla fine, nel 1815, di ordinarlo sacerdote. Più per disperazione che per convinzione, dato che “il suo zelo e la sua spiritualità compensavano la mancanza di preparazione accademica”. Questo, devono aver pensato, non può rappresentare la norma, ma a volte vale la pena. E, difatti. Dopo due anni come vicario a Ecully, è mandato ad Ars. Ma da lì vorrebbe presto scappare. I suoi parrocchiani non sembrano voler capire il suo Vangelo esigente e rigoroso. Lui, del resto, si sente così inadeguato! Tiene comunque duro. Vivendo di niente, quasi non dormendo. Dicendo messa, o in ginocchio davanti al tabernacolo, o piazzato per ore (certi giorni fino a diciotto) in confessionale. Guardato dall’alto in basso o con sarcasmo dagli altri preti, colti e navigati. Ma da lui comincia ad arrivare la gente (di ogni tipo e, presto, da ogni dove), che trova in questo piccolo insignificante prete chi sa ascoltarla, consigliarla, confortarla. Sarà così sino alla morte, avvenuta il 4 agosto 1859.

Mons.Henrique Angelelli, vescovo di La Rioja (Argentina), era nato il 18 luglio 1923 a Cordoba, in Argentina. Ordinato prete nel 1949, fu consacrato vescovo il 12 marzo 1961 e destinato alla diocesi di La Rioja nel 1968. La sua vita e la sua voce rappresentarono una delle poche voci profetiche, certo la più alta, nella Chiesa argentina del suo tempo. Per la sua fedeltà al Vangelo del Regno e alla sua gente, fu amato dai poveri e odiato e combattuto dai potenti. Sequestrarono, torturarono e uccisero i preti e i cristiani della sua diocesi maggiormente impegnati. Lui, cercarono prima di distruggerlo moralmente e spiritualmente. Poi lo assassinarono, il 4 agosto 1976, simulando un incidente d’auto.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.28, 1-17; Salmo 119; Vangelo di Matteo, cap.14, 22-36.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Stanca, frastornata, emozionata, ma soprattutto carica di una gioia interiore che le sprizza dagli occhi e le trasuda da tutti i pori, Nadia è tornata stamattina dalla sua romaria (così era chiamato un tempo il pellegrinaggio a Roma sulle tombe dei testimoni della fede ed il nome è rimasto per ogni tipo di pellegrinaggio). Dopo essere stata a Ribeirão Cascalheira (MT), al santuario dei Martiri della Camminata, la comitiva ha incontrato a Bom Jesus, Dom Leonardo, attuale vescovo della Prelazia, poi, a São Felix, dom Pedro Casaldaliga, e, infine, a Santa Terezinha, le piccole sorelle di Gesù che vivono tra gli indios tapirapé. Avrà tempo di raccontarci ogni cosa. Si è fatto tardi e noi ci salutiamo qui. Con un brano del Messaggio Pasquale del 1975, affidato da Mons. Henrique Angelelli alla sua chiesa. È il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La pace non è indolenza né repressione; non è frutto della paura né di compromessi; non si realizza senza l’uomo ed è impossibile da conseguire senza sete di giustizia. La pace non si trova: la si costruisce, dato che non è né passività ne conformismo. La pace si costruisce con una dolorosa maturazione della fraternità, segnale e anticipazione del regno dei cieli nella sua pienezza; si costruisce con la gioia di esprimere e ascoltare liberamente gli aneliti custoditi nell’anima di un popolo; riscoprendo il senso, la necessità e la dimensione di adorare Dio come Padre che ama i suoi figli e agisce perché essi abbiamo vita, e l’abbiano in abbondanza. La pace si costruisce riscoprendo l’eminente dignità dei poveri e rischiando la propria vita nell’amore; fino a morire a se stessi e a dare la vita nell’amore perché gli altri siano felici; la pace si costruisce amministrando i beni materiali e culturali per la felicità di tutti, essendo uomini veritieri, di servizio e creativi. La pace esiste quando la relazione con Dio è il fondamento ultimo della pace interiore e della pace sociale. Quando è considerata un tesoro spirituale e sono felici coloro che la costruiscono ogni giorno nel proprio cuore e nelle relazioni con i fratelli. Quando è frutto della giustizia e dell’amore, perché la pace rende saggi gli uomini. Lì dove si trovano ingiuste disuguaglianze sociali, politiche, economiche o culturali, c’è un rifiuto del dono della pace che il Signore ci dona. Ma così, c’è un rifiuto del Signore stesso. Perché la pace è il dono di Dio agli uomini. La pace è Cristo, il Signore risorto. Fratelli: poiché sappiamo in chi abbiamo posto la speranza, vi invito a continuare a camminare a costruire la nuova vita nel nostro popolo. Questa è la nostra missione. (Mons.Henrique Angelelli, Mensaje pascual, Abril de 1975).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Agosto 2008ultima modifica: 2008-08-04T22:41:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo