Giorno per giorno – 11 Maggio 2008

Carissimi,
1946749376.JPG“All’inizio della Preghiera Eucaristica un detenuto è stato chiamato fuori: l’Ispettore gli doveva comunicare qualcosa di urgente. Mi dispaceva che proprio in quel momento celebrativo venisse a mancare lui. È tornato fra noi al momento in cui stavo consumando l’ultima ostia rimasta dopo la distribuzione del Cristo frantumato nel Pane. Aveva un sorriso sulle labbra e mentre stavo per precipitarmi a consegnargli il Signore dice a tutti: “Mi hanno aumentato la pena, ma ho voluto rientrare a Messa per vivere con il Signore questo momento, perchè solo da Lui mi viene la forza”. E con un sorriso dolce sulle labbra e con molta attenzione ha ricevuto il frammento di pane eucaristico. Gli ho detto che non avrei mai più dimenticato nella vita questa sua testimonianza”. Era il racconto di una Pentecoste in carcere, che padre Augusto ci aveva fatto qualche anno fa. Pentecoste è l’evento di questa forza. E, forse, è per questo che dalle nostre parti, è la festa più sentita. Più del Natale e della Pasqua, più delle feste della Madonna, di quella dei Santi Re Magi e di San Giovanni Battista. Più grande di queste, che sono già grandi, è la celebrazione del “Divino Espirito Santo”, il Padre dei poveri, Dispensatore di doni, Luce dei cuori, grande Difensore, Riposo nella fatica, Refrigerio nel calore, Tenerezza nel dolore, per dire solo alcuni dei nomi con cui la nostra gente l’invoca. Buona Pentecoste, dunque, a noi e a voi, a quanti hanno bisogno di essere rianimati nella speranza, di rinnovarsi nel coraggio, nell’allegria, nelle ragioni per vivere e proseguire nella Sua sequela.

I testi che la liturgia della Solennità di Pentecoste propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.2, 1-11; Salmo 104; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.12, 3b-7. 12-13; Vangelo di Giovanni, cap.20, 19-23.

La preghiera della domenica, e oggi più che mai, è in comunione con tutte le chiese e comunità cristiane ed è volta ad ottener loro il dono di un’unità che sappia esprimersi nell’ascolto e nell’accoglienza reciproca, nell’amore fraterno, nella comune disposizione al servizio, nella salvaguardia e valorizzazione delle differenze e dei rispettivi carismi.

In questa data il nostro calendario ci porta le memorie di Matteo Ricci, il “saggio d’Occidente”, missionario in Cina, Carlos Mugica, prete dei poveri e martire in Argentina; Alfonso Navarro e Luis Torres, martiri in Salvador.

1320435318.jpgMatteo Ricci era nato a Macerata il 6 ottobre 1552. Dopo aver studiato nel collegio dei gesuiti della sua città, fu dal padre inviato a Roma per studiarvi diritto. Nel 1571 interruppe gli studi e decise di entrare nella Compagnia di Gesù. Sei anni più tardi, trasferitosi a Lisbona, in vista di una sua partenza per le missioni, studiò teologia per un anno nel collegio di Coimbra. Nel marzo 1578 s’imbarcò per l’India, con destinazione Goa, dove giunse dopo un viaggio di quasi sei mesi. Lì, proseguì i suoi studi teologici e fu ordinato sacerdote nel 1580. Nel 1582 fu inviato a Macao, per aiutare un suo confratello, padre Ruggeri, nel tentativo di entrare in Cina. Vi riuscirono insieme nel settembre 1583 e fondarono così la prima residenza di Zhaoqing. Cominciava in questo modo la grande avventura di questo giovane gesuita dalla cultura eccezionale e dalla memoria prodigiosa, sotto il segno del “farsi cinese con i cinesi”, in un processo di inculturazione linguistica, culturale, sociale e religiosa, che parve a molti rivoluzionario e ai limiti della tollerabilità per quei tempi, ma che ha ancora da insegnare ai nostri. Introdusse in Cina le conoscenze scientifiche dell’Occidente, nel campo della matematica, della geometria, della geografia e dell’astronomia. E, con i suoi scritti, fornì all’Europa una conoscenza ampia ed esaustiva della cultura cinese in tutti i suoi aspetti. Il rispetto che nutrì e mostrò nei confronti della civiltà millenaria che l’aveva accolto fu ampiamente ricambiato dall’ atteggiamento di stima e di benevolenza che lo circondò, al punto di essere nominato mandarino e di ottenere un vitalizio a spese dello stato. Alla sua morte, avvenuta a Pechino l’11 maggio 1610, l’imperatore proclamò un lutto generale e consentì, cosa mai concessa ad uno straniero, che fosse sepolto nella capitale.

445453685.jpgCarlos Francisco Sergio Mugica Echagüe era nato a Buenos Aires, il 7 ottobre 1930, terzo di sette figli di Adolfo Mugica (che sarà deputato e successivamente ministro degli esteri argentino) e di Carmen Echagüe. Studente brillante, appassionato di sport e giovane dai molteplici interessi culturali, dopo un viaggio a Roma, in occasione dell’anno santo 1950, maturò la vocazione sacerdotale. Lasciò allora gli studi di Diritto per il seminario. Ordinato sacerdote il 21 dicembre 1959, fu da prete che si accorse dell’esistenza dei poveri. Cominciò allora a compiere scelte che lo avrebbero posto sovente in esplicito contrasto con una gerarchia, perlopiù retriva e conservatrice, in tempi di ingiustizia, violenza e repressione, che richiedevano invece attitudini profetiche. Pregava così: “Signore, voglio vivere d’ora in avanti come uomo libero. Voglio ricordare, una volta per tutte, che il mio futuro è nelle tue mani e che tu sei mio Padre. E quando mi assaliranno paura, scoraggiamento, sfiducia, ricordami, mio Dio, che mi sei vicino e che le fila della mia vita sono nelle tue mani, mani di padre, mani di amico, che mai mi hanno abbandonato”. Nel 1967 fu mandato a Parigi a studiare e seppe della nascita del Movimento Sacerdoti del Terzo Mondo, cui aderì da subito. Tornato, l’anno successivo in Argentina, fu destinato a Villa Retiro, un sobborgo povero di Buenos Ayres, dove con l’aiuto del fratello Alessandro costruì un centro polivalente dedicato a Cristo Operaio. Accusato di contiguità con gli ambienti dei Montoneros, fu più volte minacciato di sospensione a divinis, minaccia che il prete confessava di vivere con tristezza e angoscia. Il 2 luglio 1971 una bomba esplose, fortunatamente senza far vittime, nella casa dove, in una cameretta all’ultimo piano, abitava padre Carlos. Questi dichiarò: “Niente né nessuno mi impedirà di servire Cristo e la sua Chiesa, lottando insieme ai poveri per la loro liberazione. Se il Signore mi concederà il privilegio, che non merito, di perdere la vita in questa impresa, sono a sua disposizione”. E, il privilegio gli fu dato. L’11 maggio 1974, mentre saliva in macchina dopo aver celebrato messa nella Chiesa di san Francesco Solano, fu colpito a morte da cinque colpi sparati da Rodolfo Eduardo Almirón, un killer della Triplice A, un’organizzazione dell’estrema destra peronista. Il peggio, per l’Argentina, sarebbe arrivato di lì a poco.

1326255962.gifAlfonso Navarro era un prete salvadoregno, parroco a San Juan de Opico, dove si era dedicato a rafforzare la locale cooperativa dei piccoli contadini e a formare operatori di pastorale, soprattutto giovani. La sua predicazione e la sua attuazione indispettirono presto i latifondisti della zona, che presero ad accusarlo di essere sovversivo e comunista, minacciandolo di morte. Questo spinse il suo vescovo a trasferirlo alla parrocchia di Colônia Miramonte, in una zona residenziale di San Salvador. Ma anche lì, padre Alfonso continuò quello di sempre, propondendosi di aiutare la gente a scoprire la dimensione fraterna della comunione. E questo suonava male all’orecchio dell’oligarchia locale. Nel gennaio 1977 una bomba fu collocata nel garage della casa parrocchiale, la sua automobili finì distrutta, ma il prete si salvò per una questione di attimi. L’11 maggio dello stesso anno, quattro uomini armati penetrarono in casa. Con un colpo di karaté gli spezzarono un braccio, lo crivellarono con sette proiettili e, prima di uscire, spararono a bruciapelo alla testa di Luis Torre, Luisito, di 14 anni, uccidendolo sul colpo. Un altro dei giovani compagni che era subito accorso per prestare assistenza al prete, lo udì sussurrare: “Muoio per aver annunciato il Vangelo. So chi mi ha ucciso. Sappiano che li perdono”. Alfonso Navarro aveva 35 anni.

Pentecoste è anche considerata un po’ il compleanno della Chiesa. Che quest’anno coincide con la Festa della Mamma. Doppiamente festa, allora, dato che la Chiesa-comunità è la madre di quanti si riconoscono in essa. Noi, per l’occasione, vogliamo esprimerle un augurio e un sogno (e, a forza di sognarlo, siamo certi si realizzerà). Lo facciamo con le parole di Mons. Guy Déroubaix, scomparso nel gennaio 1996, che fu vescovo di Saint Denis, in Francia. È questo per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Noi amiamo la nostra Chiesa, con i suoi limiti e le sue ricchezze, è nostra Madre. Per questo la rispettiamo, sognando che sia sempre bella: Una Chiesa dove è bello vivere, dove si può respirare, dire ciò che si pensa: una Chiesa di libertà. Una Chiesa che ascolta prima di parlare, che accoglie prima di giudicare, che perdona senza voler condannare, che annuncia invece di denunciare. Una Chiesa di misericordia. Una Chiesa dove il più semplice dei fratelli capisce ciò che l’altro dice, dove il più sapiente dei suoi capi sa di non sapere, dove è tutta la gente ad esprimersi e manifestarsi. Una Chiesa di saggezza. Una Chiesa dove lo Spirito Santo possa essere ancora invitato perché non tutto è già stato previsto, regolato e deciso in anticipo. Una Chiesa aperta. Una Chiesa in cui il coraggio del nuovo sia più forte dell’abitudine di fare come in passato. Una Chiesa dove si possa pregare nella propria lingua, esprimersi nella propria cultura, esistere secondo la propria storia. Una Chiesa di cui la gente non dica: “Guardate come sono organizzati” ma “Guardate come si amano”. (Guy Deroubaix, Faire l’Eglise du Christ).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Maggio 2008ultima modifica: 2008-05-11T23:37:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo