Giorno per giorno – 24 Aprile 2008

Carissimi,
“Se mai volessi darti un consiglio, sarebbe questo: stasera, quando torni da scuola o dal lavoro, o la prossima volta che vedi tua madre, va’ in camera sua, con calma, in silenzio, e siediti con un sorriso accanto a lei. Senza dire niente, fa’ in modo che smetta di lavorare; guardala e riguardala a lungo. Guardala bene per vederla davvero, per renderti conto che lei è lì, viva, vicino a te. Poi prendile la mano e falle questa breve domanda: “Mamma, sai una cosa?”. Sarà un po’ sorpresa e ti chiederà sorridendo: “Che cosa caro?”. Continua a guardarla negli occhi e a sorriderle serenamente e dille: “Lo sai che ti voglio bene?”. Chiediglielo senza aspettarti una risposta. Anche se hai trenta o quarant’anni o più, sei il suo bambino: chiediglielo in questa veste. Sarete felici, tua madre e tu, consapevoli di vivere un amore eterno. Poi un giorno, quando lei se ne andrà, non avrai rimpianti”. È una pagina degli “Insegnamenti sull’amore” (Neri Pozza) del monaco buddhista Thich Nhat Hanh. E, di amore, parla anche il Vangelo di oggi: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (Gv 15, 9-10). Due versetti che sono quasi tutto il Vangelo del giorno. Così pochi, eppure, alla resa dei fatti, così difficili da praticare. Eppure per rimanere nell’amore di Cristo, almeno chi ha scelto il progetto del Regno che Gesù è venuto ad annunciare, non c’è altro modo che obbedire ai suoi comandamenti. Che poi, come in un circolo virtuoso, sono solo uno: il comandamento dell’amore. In questo consiste la testimonianza, che anche noi possiamo dare, del Crocifisso risorto.

Il 24 aprile gli armeni ricordano Metz Yeghern (il Grande Male), che designa lo Sterminio di un milione e mezzo di civili armeni, deciso dal governo dei “giovani turchi” durante la prima guerra mondiale.

2122084432.JPGIl 24 aprile 1915, con l’arresto e la deportazione dell’intera élite armena di Costantinopoli – ecclesiastici, politici, letterati, avvocati e giornalisti -, prese il via l’eliminazione sistematica del popolo armeno sul territorio ottomano. Nella sola primavera del 1915 circa 600 mila armeni furono massacrati dall’esercito turco. Gran parte dei massacri avvenne il 24 aprile. Il Partito di governo “Unione e Progresso”, laicista e antireligioso, pretese di giustificare il genocidio con la volontà di “salvare la madrepatria dalle ambizioni di questa razza maledetta e di prendersi carico sulle proprie spalle patriottiche della macchia che oscura la storia ottomana. La Jemiet (= l’Assemblea), incapace di dimenticare tutti i colpi e le vecchie amarezze, ha deciso di annientare tutti gli armeni viventi in Turchia, senza lasciarne vivo nemmeno uno e a questo riguardo è stato dato al governo ampia libertà d’azione…”. Il decreto provvisorio di deportazione, datato maggio 1915, e quello di confisca dei beni non furono mai ratificati dal parlamento. Tra le prime vittime, ci furono i maschi adulti, chiamati a prestare servizio militare, e passati per le armi. Seguì la fase dei massacri e delle violenze indiscriminate sulla popolazione civile. Per ultimo, i superstiti furono costretti ad una terribile marcia nel deserto, con destinazione Deir es-Zor, in Mesopotamia. Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, morirono a migliaia. I sopravvissuti furono gettati in caverne e bruciati vivi, altri annegati nel fiume Eufrate e nel Mar Nero. Pochissimi furono coloro che, per salvare la vita, rinnegarono la fede dei padri.

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.15, 7-21; Salmo 96; Vangelo di Giovanni, cap.15, 9-11.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Stasera, eccezionalmente, la Comunità “Evangelho é Vida” non si è riunita. E dev’essere, a memoria d’uomo, una delle pochissime volte, se non l’unica, che questo accade. Ma Berenice era libera solo stasera e, per fare un regalo alle donne del bairro, è valsa la pena. L’iniziativa di invitare Berenice, che è un’autorità in materia di salute qui nella nostra città, è partita da Lurdinha, che è farmacista e fa parte della nostra associazione, ed è stata subito accolta con entusiasmo da tutti. Sicché stasera nel nostro Centro comunitario si sono riunite le donne, in buon numero, a discutere di argomenti assolutamente impegnativi, come la prevenzione di Hpv e di altre malattie sessualmente trasmissibili. Da qui a un mese sarà la volta degli adolescenti su tematiche analoghe.

Daniel Varoujan (Taniel Varuzhan ) è uno dei maggiori poeti armeni del XX secolo. Nato a Prknig, villaggio della provincia di Sivas, in Turchia, nel 1884, lasciò, solo dodicenne, la famiglia, per studiare prima a Costantinopoli, poi a Venezia e infine in Belgio. Rientrato in patria nel 1909, fu tra le prime vittime del Metz Yeghern nell’agosto 1915. Aveva solo trentun’anni Nel congedarci, vi offriamo in lettura una sua poesia, “The longing letter” che dice il sentimento della madre per la lontananza, durata anche troppo a lungo, del figlio. Ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Scrive mia madre: “Mio figlio pellegrino, / Per quanto tempo sotto una luna straniera vagherai ancora? / Quanto dovrà passare prima che il tuo povero capo / Al mio tiepido petto possa stringere, a casa? // Oh, troppo a lungo sotto stelle straniere han camminato / I tuoi piedi, che tra le mani io scaldavo un giorno. / Il tuo cuore, in cui un tempo io svuotavo il mio seno, / Ora, lontano dal mio vuoto cuore, si è consumato dal dolore! // Le mie braccia sono stanche al filatoio; / Ed io tesso il mio sudario con i miei capelli di neve. / Ah, potessero i miei occhi vederti una volta ancora, / e poi chiudersi per sempre, assieme al mio cuore! // Siedo sempre triste davanti alla mia porta, / chiedo notizie ad ogni gru che vola. / Quella muta di salice che tu hai piantato un giorno / è cresciuta sino a coprirmi con la sua ombra. // Attendo invano il tuo ritorno a sera. / Tutta la bella gente del villaggio passa, / passa il bracciante, il forte mandriano / io con la luna, ahimé, sono lasciata sola! // La mia casa in rovina non ha chi la diriga. / A volte per la morte, e sempre per conforto/ del mio stesso cuore io languo. Tartaruga io, / le cui viscere aderiscono al suo guscio spezzato! // Oh, vieni, figlio, ripara la tua vecchia casa! / Hanno sfondato la porta e fatto razzia della dispensa. // Ora tutte le rondini di primavera entrano / attraverso le finestre infrante, aperte ai venti. // Del grande gregge di un tempo, / nella nostra stalla resta solo un ariete coraggioso. / Sua madre un giorno – ricordi, figliolino, – / ancora agnella / mangiò orzo dalle tue mani. // Riso, crusca e bel trifoglio gli do ora, / per nutrire la sua ricca coda insigne per misura; / pettino il soffice suo vello con pettine di legno; / egli è un caro e prezioso sacrificio. // Al tuo ritorno, con la sua testa incoronata di rose, / sarà sacrificato per festeggiare te, mio caro. // E nel suo sangue, mio amato figlio, / io allora laverò i piedi stanchi del mio pellegrino”. // (Daniel Varoujan, The longing letter).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Aprile 2008ultima modifica: 2008-04-24T23:10:00+02:00da fraternidade
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