Giorno per giorno – 23 Aprile 2008

Carissimi,
“Dio è in Cristo e Cristo nella Chiesa, ma Cristo eccede la Chiesa. Vale a dire, la Chiesa non può pretendere di monopolizzare Cristo, affermando che solo quelli che stanno nella Chiesa sono cristiani. Ci sono molti cristiani nell’anima che non conoscono la Chiesa, ma che forse sono migliori di coloro che appartengono alla Chiesa. Sì, Cristo eccede la Chiesa, come quando si mette un bicchiere in un pozzo ricco di acqua, il bicchiere è pieno di acqua ma non contiene tutto il pozzo. C’è ancora molta acqua fuori dal bicchiere. Per questo il Concilio dice che vi sono molti elementi di verità e di grazia che appartengono a Cristo e che non sono nella Chiesa. Questa è una delle grandi rivelazioni o, meglio, riscoperte di una grande verità, perché quanti si sentono vanamente orgogliosi dell’istituzione chiesa, sappiano che possiamo dire: non è che sono cristiani tutti coloro che si trovano in essa, né vi si trovano tutti coloro che lo sono. Non ci stanno tutti quelli che sono, perché ci sono molti cristiani che non stanno nella nostra chiesa. Benedetto sia Dio, perché c’è molta gente buona, buonissima, fuori dai confini dell’istituzione ecclesiale: protestanti, ebrei, musulmani, ecc.”. È il brano di un’omelia di mons. Romero, del 13 agosto 1978. Che viene a puntino con il Vangelo di oggi (Gv 15, 1-8) ed anche con la lettura degli Atti degli Apostoli (At 15, 1-6), che ci raccontano, il che in fondo un po’ ci consola (o forse no), come i cristiani cominciassero da subito a litigare tra loro. In realtà ciò che interessa è il motivo di quel litigio: la necessità e l’esclusività o meno del segno religioso per determinare l’appartenenza. Ieri la circoncisione, oggi il battesimo, visti l’una e l’altro come segni dell’elezione alla salvezza, invece che della chiamata alla testimonianza. È, di fatto, quest’ultima, con i frutti che produce, che consente di rivendicare l’appartenenza a Cristo, come i tralci alla vite di cui parla l’Evangelo.

Due sono le nostre memorie di oggi: quella di César Chavez, leader della lotta non-violenta dei chicanos, e quella di Maria Gabriella Sagheddu, modello di ecumenismo.

394315131.JPGCésar Chavez era nato a Yuma, in Arizona (Usa), il 31 marzo 1927, da una famiglia di chicanos (oriundi messicani), che sarà ridotta sul lastrico dopo la grande crisi del 1929. I chicanos rappresentavano una delle minoranze più povere degli Stati Uniti e, tra loro, i braccianti erano una categoria al di sotto della soglia minima di povertà. La famiglia di Chavez dovette a lungo sopravvivere di lavori agricoli a carattere stagionale, che l’obbligavano a spostarsi continuamente e ad abitare sempre sotto una tenda. Inutilmente il piccolo César si iscriveva a scuola, perché, immancabilmente, dopo qualche mese, veniva il trasferimento, la perdita dell’anno scolastico, la nuova iscrizione e così via. Lasciata definitivamente la scuola, dopo sette ani di studi intermittenti, il ragazzo cominciò a lavorare col padre per aiutare la famiglia. Divenuto adulto, a 21 anni sposò Helena Fabela, che gli darà otto figli. Nel 1952, il sodalizio con un prete cattolico, padre Donald Mc Donnel, e con un organizzatore sindacale, Fred Ross, portò il giovane a diventare sindacalista a tempo pieno nella CSO (Community Service Organization). Qualche anno dopo, tuttavia, percependo la progressiva verticalizzazione dell’organizzazione, preferì lasciarla per lavorare a stretto contatto della gran massa dei chicanos stagionali. Nel 1962 fondò la National Worker Association, il cui obiettivo, oltre al miglioramento delle condizioni lavorative dei braccianti, sará quello del recupero della memoria storica e dell’ identità culturale della sua gente. Il tutto nel rispetto rigoroso dei metodi non-violenti di lotta, che Chavez apprese dalla lettura delle opere di Gandhi e dall’amicizia con Martin Luther King: marce, boicottaggi, sit-in. César Chavez morì il 23 aprile 1993

266765382.jpgMaria Sagheddu era nata nel 1914, a Dorgali, in Sardegna, in una famiglia di poveri pastori. Da adolescente mostrò poco interesse ai problemi religiosi; era anzi conosciuta per il suo temperamento ribelle e contestatario. A diciotto anni, tuttavia, intervenne in lei un cambiamento profondo: cominciò ad amare la preghiera, scomparvero gli scatti d’ira, maturò una sensibilità spirituale e una coscienza ecclesiale, che la portò a iscriversi all’Azione Cattolica. A ventun anni scelse di consacrarsi totalmente a Dio ed entrò nel monastero trappista di Grottaferrata. Lì scoprì l’ecumenismo spirituale di Paul Couturier e decise di offrire la sua vita, la sua preghiera e le sue sofferenze per la causa dell’unità dei cristiani. Ammalatasi, qualche mese dopo, di tubercolosi, visse la sua malattia come offerta per contribuire a guarire la lacerazione del Corpo di Cristo. Dopo poco più di un anno di atroci sofferenze, Maria Gabriella morì la sera del 23 aprile 1939, alla fine dei vespri della domenica del Buon Pastore, in cui il Vangelo proclamava: “Ci sarà un solo ovile e un solo pastore”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap. 15, 1-6; Salmo 122; Vangelo di Giovanni, cap.15, 1-8.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la religione, la cultura o la filosofia di vita.

Noi vi si è già offerto altre volte qualche citazione di “Grammatica dell’ecumenismo” (Cittadella Editrice), un libro davvero bello di un frate servita che è anche fratello della Comunità di Bose, Giancarlo Bruni. Ne aggiungiamo un’altra oggi, nel congedarci, sulle caratteristiche dell’uomo ecumenico. E, se dice uomo, è forse perché questi, la sua ecumenicità, se la deve conquistare, con sudore e fatica, mentre la donna la possiede come dono di natura e/o di grazia. Che sia così o meno, questo è per stasera il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’uomo ecumenico è sì al limite della formulazione dogmatica della verità, ma come freccia indicativa di giusta interpretazione di essa. Oltre ogni riduzione della verità alla sua formulazione, oltre ogni uso controversistico e non dossologico di essa e oltre ogni pretesa di ritenerla l’unica possibilità di accesso a una verità che nell’esperienza di fede è sempre un Tu libero di farsi vicino attraverso molti sentieri, quelli della preghiera, dell’esperienza mistica e del cuore. Nella consapevolezza che si può essere dottrinalmente ineccepibili e ineccepibilmente atei, nel senso che “la formulazione non costituisce né sostituisce la conoscenza della verità che rimane un’esperienza vissuta […] e non costruzione teorica”. E al “Benedetto egli sia” sono più graditi scismatici ed eretici che amano che uomini e donne che giudicano e che condannano in nome di una retta formulazione della dottrina. La lettera, quella dei testi religiosi e dei dogmi, uccide se lo Spirito non l’apre al Tu che è amore e vita per lo scismatico, l’eretico e il senza religione alcuna” (Giancarlo Bruni, Gramatica dell’ecumenismo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Aprile 2008ultima modifica: 2008-04-23T23:15:00+02:00da fraternidade
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