Giorno per giorno – 09 Marzo 2008

Carissimi,
sono due le cose che più hanno richiamato la nostra attenzione nel lungo brano evangelico ascoltato oggi nella chiesetta della chácara del vescovo, dove si era solo in otto, con José Maria e irmã Paula, il postino, un ospite belga di dom Eugenio e quattro vicini: la professione di fede di Marta e il segno di Gesù. Noi, a dire il vero, quel testo l’avevamo già meditato nel bairro, giovedì sera, a casa di Divina, che ci aveva invitato per il suo compleanno (ma era anche il compleanno di Marcinho, il marito di Urda, e quello di Lucas, il figlio di Lúcia). E ci eravamo detti che quanto Marta dice incontrando Gesù è tutto ciò che ci basta sapere di Lui e perciò di Dio. Sempre che crediamo davvero che Gesù non sia semplicemente Gesù. Lei dice infatti: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Gv 11,21). Noi, troppo spesso, si liquida la morte, e ciò che in qualche misura la prelude, o le allude (la malattia, il dolore, la sofferenza, l’oscurità, certe partenze, la lontananza, la situazione di peccato), come espressione della volontà di Dio. E invece no. Quando ciò accade è perché Dio è altrove: “Se tu fossi stato qui!”. E poi, il segno di Gesù. Il Vangelo di Giovanni è tutto scandito dai suoi segni. Ma qui il segno non è la risurrezione dell’amico, è, invece, il suo pianto sulla morte dell’amico. Sempre che Gesù non sia semplicemente Gesù. Perché, se non lo è, queste sono le lacrime di Dio. E sempre che Lazzaro non sia semplicemente Lazzaro. Perché, se non lo è, tutti siamo, indistintamente, Lazzaro. E se il nostro soffrire e il nostro morire è accompagnato dalle lacrime di Dio, noi possiamo sperare bene. Ci dà più fiducia il pianto di Dio, che la risurrezione del fratello di Marta e Maria. Se questi, infatti, fosse anche stato resuscitato, non sarebbe per questo garanzia di nessun altra risurrezione. E allora, potrebbe persino essere segno di un’ingiustizia cosmica. Perché lui e non, oggi, qui, ora, tua madre, tuo padre, il fratello, la figlia, il piccolo innocente? Ma se il segno è il pianto di Dio, c’è speranza per tutti. Lui saprà cosa fare, per reagire alla morte.

I testi che la liturgia di questa 5ª Domenica di Quaresima propongono alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Ezechiele, cap.37, 12-14; Salmo 130; Lettera ai Romani, cap;.8, 8-11; Vangelo di Giovanni, cap.11, 1-45.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

Proprio l’altro ieri noi si è ricordato un suo discepolo. Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Swami Sri Yukteswar Giri, mistico indiano.

576076468.jpgPriya Nath Karar (questo il suo nome alla nascita) era nato il 10 maggio 1855 a Serampore (India), nella famiglia di un benestante uomo d’affari. Divenuto adulto, il giovane si sposò e passò ad amministrare la sua eredità, vivendo responsabilmente i suoi doveri e obblighi sociali. In età matura incontrò il suo guru, Sri Lahiri Mahasaya, e si dedicò alla pratica del Kriya Yoga. Rimasto vedovo, fu iniziato nell’ordine degli Swami, a Bodh Gaya, e assunse il nome di Sri Yukteswar Giri. Ebbe, assieme a molti altri doni, quello della guarigione spirituale, anche se lo esercitò sempre in maniera estremamente discreta. Sri Yukteswar fu il maestro spirituale di Paramahansa Yogananda, a cui affidò la missione di diffondere il Kriya Yoga. Yukteswar era convinto che il matrimonio tra l’eredità spirituale dell’Oriente e la scienza e teconologia dell’Occidente avrebbe comportato un progressivo superamento delle sofferenze materiali, psicologiche e spirituali del nostro tempo. Il 9 marzo 1935, Swami Sri Yukteswar abbandonò il suo corpo, che fu seppellito nel giardino del suo ashram di Puri, dove successivamente è stato edificato un tempio in sua memoria.

C’é una certa assonanza di temi tra l’insegnamento di Swami Sri Yukteswar Giri e quello di Bede Griffiths, un coraggioso monaco benedettino che, cinquantenne, nel bel mezzo del secolo scorso, si trasferì in India per vivere l’incontro tra due universi religiosi. Di quest’ultimo, nel congedarci, vi proponiamo qui di seguito, la pagina finale di un suo libro “Matrimonio tra Oriente e Occidente” (EDB), che è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
In nessun momento della storia, il mondo è stato più vicino alla distruzione di quello attuale. Ci sono nel mondo delle forze capaci di distruggere la vita in questo pianeta. Coloro che controllano queste forze sono essi stessi al di fuori di ogni controllo. Può darsi che il mondo occidentale cambi o che ci sia almeno un numero sufficiente di persone per iniziare questo mutamento, o per assogettarsi alla ‘metanoia’, al mutamento del cuore e porre il mondo su un nuovo cammino, realizzando questo connubio tra oriente e occidente. Ma neanche in questo ci può essere nulla di definitivo. Il nostro destino non si chiude in questo mondo. Dobbiamo essere pronti ad andare oltre la morte. Dobbiamo morire a questo mondo e a quanto c’è in esso, a tutto ciò che è mutevole e caduco, per trovare quella realtà che non cambia e non passa. Soprattutto dobbiamo andare oltre le immagini, le parole e i concetti. Nessuna visione immaginativa o intelaiatura di concetti è adeguata alla grande Realtà. Quando Cristo apparirà nella gloria, non rivestirà alcuna forma terrena né lo farà in una maniera che noi possiamo immaginare. Perché “noi vediamo oggi come attraverso uno specchio, in immagine, ma allora vedremo faccia a faccia”. “Appariremo nella gloria” soltanto quando saremo morti a noi stessi e saremo divenuti una “creazione nuova”. Soltanto allora noi incontreremo la pienezza della verità e della realtà che è anche la pienezza della sapienza e della conoscenza e la pienezza della beatitudine e dell’amore. Soltanto allora si realizzerà il connubio finale tra oriente e occidente, tra uomo e donna, tra materia e mente, tra tempo e eternità. (Bede Griffiths, Matrimonio tra Oriente e Occidente).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Marzo 2008ultima modifica: 2008-03-09T23:21:00+01:00da fraternidade
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