Giorno per giorno – 08 Marzo 2008

Carissimi,
“Non capisci chi sei tu, Eva? La maledizione che Dio ha pronunciato sul tuo sesso grava ancora sul mondo. Colpevole, ne devi scontare le conseguenze. Sei la porta del diavolo, hai dissacrato l’albero fatale, hai tradito per prima la legge di Dio, hai sussurrato lusinghe all’uomo contro cui il diavolo non sarebbe riuscito a prevalere con la forza. L’immagine di Dio l’uomo Adamo, l’hai infranta tu, è stato un gioco da ragazzi. Avresti meritato la morte, ma è stato il Figlio di Dio a dover morire!”. La citazione, di Tertulliano, ce la fa avere il nostro amico don Aldo, che la chiama giustamente “rosario di bestemmie”, rivelatore di una mentalità che, lungo i secoli, ha attecchito anche nella chiesa e che, e questo è peggio, ha modellato attitudini, segnato culture, alimentato pregiudizi. Ma non è alla chiesa che era stato affidato il Vangelo come “proclama di liberazione”? Fortuna che noi ci si ha Dayane, che non sa chi sia Tertulliano, ma in compenso conosce una canzone di Mafalda Veiga, una cantante portoghese, che s’intitola “Nós” (Noi) e che, delle donne, dice così: “Noi siamo la forma bella, completa di vivere. / Siamo l’essere prorompente che il nosso sentire ci dà, / il mito reso complesso alla ricerca di ciò che non c’è, / cantando e amando e vivendo, / con tutta la verità che è possibile. / Noi siamo la forma bella, completa di vivere. / E io canto e amo ciò che canto / e ho bisogno di cantare per riempire questa forma. / Io sono ciò che canto. / È nella voce che faccio sgorgare da me / qualcuno che pieno di vita / si protende nella morte che tuttavia non ha più nessuno, / a partire dal momento in cui questa forma bella / si è riempita di una qualunque essenza di essere. / Noi siamo il dolore più profondo che esiste in tutto il pianeta. / Siamo anche la gioia migliore che si inventa. / Se qualcuno alla fine chiederà / che cosa noi si sia di tanto bello, / la risposta è così semplice: / basta guardare voi e me”. Il che, converrete essere decisamente meglio dei lugubri pensieri di Tertulliano. Per questo Dayane ha voluta dedicarla alle nostre donne.

806194171.jpgBeh, se si parla di donne, è anche perché oggi si celebra la Giornata della Donna, voluta dalla rivoluzionaria tedesca Rosa Luxemburg come giornata di lotta, in ricordo di una tragedia avvenuta, giusto cent’anni fa, nel 1908, a New York. Nell’inverno di quell’anno, nella metropoli americana, le operaie dell’industria tessile Cotton scioperavano chiedendo migliori condizioni di lavoro. Lo sciopero durò alcuni giorni, finché l’8 marzo il proprietario, certo Mr. Johnson, ordinò di bloccare tutte le porte dell’opificio, imprigionando così le scioperanti nella fabbrica, a cui venne appiccato il fuoco. Centoventinove operaie morirono arse dalle fiamme.

Oggi, il calendario ci porta la memoria di Giovanni di Dio, testimone, al servizio degli infermi.

1168427276.jpgJuan Ciudad era nato l’8 marzo 1495 a Montemor-o-novo, nei pressi di Evora, in Portogallo. Quando ebbe otto anni un chierico lo sottrasse ai genitori ignari, portandolo a Oropesa, nella Nuova Castiglia, e lo affidò alla famiglia di Francisco Cid, sovraintendente al bestiame e al personale addetto, nelle tenute del Conte di Oropesa. Qui il ragazzo restò, dedicandosi alla pastorizia, fino all’eta di 28 anni, quando si arruolò in una compagnia di fanteria al servizio dell’imperatore di Spagna. Le molte disavventure convinsero Juan a lasciarsi alle spalle la carriera militare. Per qualche tempo viaggiò per mezza Europa, fu bracciante in Africa, venditore ambulante a Gibilterra, finché si stabilì a Granada, dove aprì un piccolo commercio di libri. Fu allora che, ascoltando una predica di Giovanni d’Ávila, decise di cambiare radicalmente vita: abbandonò tutto, vendette i suoi beni e coperto di stracci cominciò a mendicare per le vie della città, diventando una sorta di folle per Cristo. E per matto lo presero i suoi concittadini, che lo rinchiusero in manicomio. Questo fu tuttavia un evento provvidenziale per permettere a Juan di scoprire la sua vocazione: dedicarsi all’assistenza di poveri e malati. Per quanto privo di specifiche conoscenze mediche, cominciò ad accogliere malati di ogni tipo, prendendosi cura del loro spirito, per aiutare a risanarne il corpo. Quando morì a cinquantacinque anni, l’8 marzo 1550, i suoi discepoli ed amici fondarono l’Ordine dei Fratelli Ospedalieri, meglio conosciuti come Fatebenefratelli, dal saluto che Giovanni rivolgeva ai passanti quando mendicava aiuto per i suoi malati. Fu canonizzato nel 1690 da papa Alessandro VIII e Leone XIII lo dichiarò patrono degli ospedali e degli operatori di salute.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap. 11,18-20; Salmo 7; Vangelo di Giovanni, cap. 7,40-53

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Stamattina siamo andati a Goiânia, all’Hospital Santa Helena, a far visita a irmã Verônica, che era appena uscita dalla rianimazione dopo la chirurgia a cui è stata sottoposto l’altro ieri. L’abbiamo trovata, ovviamente, sofferente, ma, quel che più conta, l’operazione sembra essere riuscita perfettamente e i medici garantiscono che la nostra anziana amica potrà finalmente sperare in anni migliori.

Introducendo un bel libro uscito qualche anno fa col titolo “Il respiro delle donne” (Il Saggiatore), Luce Irigaray scriveva: “Il respiro delle donne? È il primo gesto del loro nascere a se stesse, della loro venuta al mondo spirituale, della loro scoperta di un’incarnazione propria”. E continua con una riflessione che, nel congedarci, vi proponiamo come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nella storia dell’umanità, colui che designiamo con il nome di Dio e coloro che fruiscono di poteri spirituali manifestano la loro potenza attraverso il soffio creatore, il dominio dei venti, la capacità di mettere o rimettere in moto ciò che è immobile, irrigidito, morto. Invece tutto ciò che si riferisce al diabolico si compiace nel rinchiuso, evita le correnti d’aria, può adattarsi al fuoco ma non al respiro. Mimo del vivente, il diabolico non respira, o non respira più. Toglie l’aria agli altri, al mondo. Asfissia con le sue ripetizioni sterili, le sue imitazioni presuntuose, le sue volontà di potere noncuranti della vita. Annoia anche con le sue insisistenze. Il respiro è un’altra cosa. Unisce senza sosta la terra al cielo, con l’unica pretesa di compiere sempre meglio questo passaggio. Questo richiede di muoversi, ma pure di rimanere in sé, di avere scambi con l’esterno, ma poi di raccogliersi, di comunicare con l’anima del mondo, talvolta con quella degli altri e di tornare in seguito alla solitudine e al silenzio della propria anima. Un silenzio che non è per nulla privazione della parola, ma ritocco quasi tattile dello spirituale in sé, ascolto del proprio respiro placato e attento. Spesso si è assimilato il ventre della donna a un ricettacolo, forse per l’amante, soprattutto per il figlio. Ma quel luogo d’ospitalità che è l’anima della donna, chi lo conosce? Il più delle volte non lo conosce neppure lei. Difficile conquista di un’interiorità propria, di una verginità spirituale per colei che, nei secoli, è stata coinvolta in una disponibilità passiva, in una recettività naturale al seme o al verbo dell’altro. Tornare in sé per rinascerne libera, animata dai suoi movimenti, dalle sue parole, dal suo respiro sembra la conquista più decisiva per la donna. Ma tutto l’attira fuori di lei. Appena in piedi, parte a misurarsi con le prestazioni maschili, come se questo rappresentasse il suo compito più nobile. Eppure sa che donna e uomo non sono ancora realmente due, sono solamente due parti del tutto, ma ciò nonostante s’identifica con una metà dell’umano, per di più non la sua. Con il pretesto di liberarsi, non è forse così due volte transfuga da se stessa? Non si scopre come ‘una’, s’abbandona per cercarsi dove non è. Cancella le tracce del femminile, già tanto nascoste o tanto segrete da non essere visibili. Per una donna non è semplice intraprendere la ricerca di se stessa. (Luce Irigaray, Il respiro delle donne).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Marzo 2008ultima modifica: 2008-03-08T23:18:00+01:00da fraternidade
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