Giorno per giorno – 04 Gennaio 2008

Carissimi,
“Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1,42). È il Vangelo di oggi, che racconta di come Gesù cambiò il nome a Simone. Al loro primo incontro, prima ancora che cominciasse il suo ministero di rabbino itinerante. Matteo porrà questa iniziativa di Gesù, più in là nel tempo, come sua risposta alla confessione di Pietro (Mt 16,18). Qual è il nome che Lui ha in serbo per noi? Edna, l’altro ieri, durante l’ora di catechesi alla chácara di recupero, aveva parlato dell’importanza che i nomi di persona hanno nella cultura ebraica, e non solo, e di come spesso si esprima attraverso essi una preghiera, una consacrazione o un ringraziamento a Dio, un auspicio per il futuro del figlio. Questo aveva portato i ragazzi a parlare del significato che essi scorgono nel loro, di nome, o dell’intenzione che aveva mosso i genitori a chiamarli così, e del rapporto che essi hanno oggi con il nome che si ritrovano. E c’è stato chi ha confessato di sentirsi a suo agio. Come João (Dio-è-benigno), il vecchio Manuel (Dio-con-noi), Lindomar e Vivimar, per l’immagine del mare che il nome evoca. Francisco e Marcos, invece, hanno detto di non riuscire a porsi il problema. Mentre hanno dichiarato di viverlo conflittivamente sia Luciano che Carlos Dionísio. Il primo, perché è stato chiamato così in memoria di un cugino, vissuto pericolosamente e morto ammazzato giovanissimo, il secondo per via di Dioniso, dio del vino. Entrambi hanno detto di annettere un valore di sinistro presagio al nome ricevuto. Eppure, oggi, nonostante quei nomi, anche loro sono qui a cercare di percorrere questa nuova strada. È perché Dio li ama, come ama tutti, al di là dei nomi che si possono avere, anche quelli più pazzi che così spesso si danno qui, cognomi stranieri usati come nomi, scritti come suonano o come l’impiegato dell’anagrafe immagina si scrivano, o pezzi di nome messi insieme, di cui sarebbe arduo tentare di rintracciare il significato originario. Nulla di definitivo è scritto nei nomi, come del resto nelle stelle o nei tarocchi, con cui si pretende imprigionare i destini umani. E magari guadagnare qualcosa sulla pelle dei gonzi che ci credono. Ogni nome è, alla fine, un nome solo: tu sei l’Amato. L’Amata.

Due sono le nostre memorie di oggi: Angela da Foligno, terziaria francescana, mistica, e Ginepro di Assisi, folle di Cristo.

04_ANGELA_DE_FOLIGNO.JPGAngela era nata a Foligno nel 1248. Nulla conosciamo della famiglia d’origine, né della sua infanzia e giovinezza e neppure degli anni trascorsi con il marito e i tre figli. Con una certa dose di schiettezza sarà lei in seguito a dire: “Sappiate che per tutto il tempo della mia vita ricercai come potessi essere adorata e onorata”. Alcune catastrofi naturali che colpirono Foligno a partire dal 1279, la guerra con Perugia nel 1282, ma soprattutto la figura di un suo concittadino, Pietro Crisci, che aveva rinunciato a tutte le sue ricchezze per vivere come “pazzo” al seguito di Cristo, determinarono, nel 1285, la svolta nella vita della donna. Quando, qualche tempo dopo, il marito e i figli morirono, falciati dalla peste, Angela donò tutte le sue sostanze ai poveri e fu a vivere con una compagna, dedicandosi ad una vita di preghiera e di austerità, e all’assistenza di poveri e ammalati. Attratta dall’ideale di Francesco d’Assisi, nel 1291 entrò a far parte del Terz’Ordine. Fu in quello stesso anno che, durante un pellegrinaggio ad Assisi, Angela ebbe la sua prima sconcertante esperienza mistica, di cui fu testimone un suo parente: fra Arnaldo da Foligno. Il quale la costrinse a raccontare la sua storia. Tra il 1291 e il 1296 Arnaldo trascriverà, traducendolo in latino, il racconto che in dialetto umbro Angela gli farà della sua progressiva esperienza di Dio. Quel Memoriale fa di Angela la più grande o una tra le più grandi mistiche, non solo italiane. La donna morì il 4 gennaio 1309, circondata da numerosi discepoli con i quali aveva istituito, anni prima, un Cenacolo di vita spirituale e di azione sociale.

Frate Ginepro di Assisi fu tra i primi compagni di Francesco, cui si aggregò nel 1210, vivendo come fratello laico, in semplicità e allegra povertà, fino alla morte, avvenuta il 4 gennaio 1258. Una cronaca del tempo così la tramanda così: “Finalmente, quisto santo frate Junipero, essendo già per molti anni exercitatosi nel servitio de Dio et perfettamente in ogne virtù, como vero figliolo de santo Francesco, et per lui operati lo Signore molti miracoli, nella ciptà de Roma s’enfermò. Et venendo a l’ultimo de la morte, recevé tutti li santi Sacramenti de la chiesia, et con molta devotione quella santa anima passò da questa vita a la gloria beata, lassando depo sé odore meraviglioso de santitade. Lo corpo suo se reposa honorevolmente nel convento d’Araceli nella ciptà de Roma”. Di lui Francesco tessè questo elogio: “Colui sarebbe buono frate Minore, che avesse così vinto sé e il mondo come frate Ginepro”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap.3, 7-10; Salmo 98; Vangelo di Giovanni, cap.1, 35-42.

La preghiera del Venerdì è in comunione con le comunità islamiche che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

È tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un fioretto di frate Ginepro. Così semplice, così mattacchione. Da riuscire, immaginiamo, a far ridere Dio, anche in tempi grami come i nostri. E che Lui ce li moltiplichi i frati Ginepro. Ovunque. È il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Andando una volta frate Ginepro a Roma, dove la fama della sua santità era già divulgata, molti romani per grande divozione gli andarono incon¬tro; e frate Ginepro, vedendo tanta gente venire, immaginossi di far la loro divozione venire in favola e in truffa. Erano ivi due fanciulli che facevano all’altale¬na, cioè ch’aveano attraversato un legno in su un altro legno, e ciascuno stava dal suo capo, e anda¬vano in su e in giù. Va frate Ginepro e rimuove uno di questi fanciulli dal legno e mòntavi su egli e comincia ad altalenare. Intanto giugne la gente, e maravigliavansi dell’altalenare di frate Ginepro; nondimeno con grande divozione lo salutarono e aspettavano che compiesse il giuoco per accompa¬gnarlo onorevolmente insino al convento. E frate Ginepro di loro salutazione e riverenza o aspettare poco si curava, ma molto sollecitava l’altalenare. E così aspettando per grande spazio, alquanti inco¬minciarono a tediarsi e a dire: «Che pecorone è costui?». Alquanti conoscendo le sue condizioni, si crebbono in maggiore divozione: nondimeno tutti si partirono e lasciarono frate Ginepro in sull’alta¬lena. Ed essendo tutti partiti, frate Ginepro rimase tutto consolato, però che vide alquanti che aveano fatto beffe di lui. Muovesi ed entra in Roma con ogni mansuetudine e umiltà, e pervenne al con¬vento de frati Minori. A laude di Cristo. Amen. (Vita di Frate Ginepro).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Gennaio 2008ultima modifica: 2008-01-04T23:20:00+01:00da fraternidade
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