Giorno per giorno – 05 Maggio 2008

Carissimi,
“No, non è una su un milione! È una delle tante che feriscono il cuore e la coscienza in questa città”. Stava scritto su un cartello, retto da una donna durante il presidio che si è tenuto a Verona, sul luogo dell’omicidio del giovane Nicola Tommaselli. E probabilmente non è a caso che si dica “in” questa città, e non “di” questa città. Perché, cuore e coscienza della comunità che quella città esprime (non solo essa, certo!), sembrano, da tempo, sensibili ad altri richiami, temi, sentimenti. Gesù insegnava che chi dice anche solo scemo o chi guarda con disprezzo il diverso da sé, è già, in cuor suo, omicida, e meriterebbe di esser condannato in questa e nell’altra vita (cf Mt 5, 22 ss). E non lo diceva per dire, evidentemente. Voleva significare, e lo avrebbe detto esplicitamente in un’altra occasione, che è dal cuore che “provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie” (Mt 15, 19). E il cuore è il “luogo” delle nostre convinzioni più profonde. Ora, a noi sembra che i cinque sciagurati assassini di Verona abbiano solo prestato muscoli, braccia, gambe e piedi a una cultura che sono venuti assorbendo in questi anni. Che non è quella che rivela certa simbologia neonazista che, quando c’è , è solo un giochino in più, ma è assai più diffusa ed è fatta di apparente perbenismo, persino, paradossalmente, di frequenza alla chiesa, anche se la religione vera è, a ben guardare, solo quella dei soldi e del benessere, e dell’ideologia o degli slogan, che l’esprimono. Di cui sono un esempio l’esasperazione del tema della sicurezza, la fobia per lo straniero, l’insofferenza per chi non è come noi, non veste, non mangia, non parla, non prega come noi. Con l’inevitabile retorica dell’identità, del pagano culto delle radici, della salvaguardia dello spazio vitale, dell’esaltazione dello scontro di civiltà (di cui l’aggressione fisica al malcapitato che passa è niente più che l’esemplificazione pratica, una sorta di suo sacramento). È dunque una coscienza civile che bisogna scovare e, se la si trova, arrivare a interrogare. Ed è anche, forse, un cuore e una coscienza ecclesiali che devono essere ridestati e riorientati. Ora, ci sembra che a nulla serva inseguire legaioli e forzaitalioti sul loro terreno, né da parte di forze di sinistra, che hanno visto confluire in essi una quota del loro elettorato (e si dovrebbero chiedere perché), né da parte della comunità cristiana e meno ancora di un clero che (sempre che non sia per convinzione, e sarebbe tragico!), per paura di perdere fedeli (e sarebbe comunque inquietante), si mettono disinvoltamente a flirtare con quei partiti. Senza pensare che il peggio non è perdere i fedeli, ma, per tenerseli stretti, buttare via il Vangelo della prossimità e della cura per gli ultimi.
“Adesso credete? Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 32-33). Già, noi si pensava di credere in Gesù Cristo e nel suo Dio (che è il Padre di tutti, non solo dei nostri e gli altri, invece, figli della serva), ed ecco che ci siamo presto dispersi e abbiamo lasciato soli Dio e il suo figliolo. E sarebbe, invece, assai meglio patire ogni sorta di tribolazioni, ma starcene con loro.

Oggi facciamo memoria di una piccola donna salvadoregna: Isaura Esperanza, “Chaguita”, catechista e martire in El Salvador.

Le poche notizie che conosciamo a suo riguardo le prendiamo dal martirologio latinoamericano. Isaura Esperanza era catechista, faceva parte della Legione di Maria ed era membro della Commissione popolare di Villa Dolores, nella capitale salvadoregna. La sera del 5 maggio 1980, Chaguita stava impastando la farina per preparare il pane, nella sua casa. All’improvviso sono entrati loro, quelli delle brigate di sicurezza, in civile, e hanno obbligato tutti a sdraiarsi per terra. E, lei, l’hanno crivellata di colpi. Poi, non contenti, quando già era morta, ne hanno calpestato barbaramente il corpo. E se ne sono andati.

I testi che che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratte da:
Atti degli Apostoli, cap.19, 1-8; Salmo 68; Vangelo di Giovanni, cap.16,29-33.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Noi, nel congedarci, vi si lascia ad una pagina del teologo Jon Sobrino, salvadoregno come la nostra Isaura Esperanza. Dice, una volta di più, del Dio di Gesù Cristo ed è il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non bisogna vedere la croce come disegno arbitrario di Dio né come castigo crudele nei confronti di Gesù, bensì come conseguenza di quella che è libera decisione primordiale di Dio: l’incarnazione, l’avvicinamento radicale per amore e con amore, ovunque esso lo conduca, senza evadere dalla storia, senza manipolarla dal di fuori. Questo significa anche, detto in parole umane, l’accettazione della sofferenza da parte di Dio. Non c’è da vedere in questo né sublimazione né giustificazione della sofferenza. Ciò che Dio incoraggia è l’incarnazione reale nella storia; solo così infatti la storia sarà salvata, anche se questo può portare alla croce. Il Dio crocifisso non è allora altro che una espressione diversa, provocatoria e urtante, equivalente a quella del Dio solidale. Resta di nuovo la domanda perché la solidarietà debba manifestarsi in questa maniera, perché lo stesso Dio per essere solidale debba esserlo alla maniera crocifissa. Ma come esseri umani intendiamo benissimo, pur senza trovarvi spiegazione logica, che nella storia non esiste amore senza solidarietà e non esiste solidarietà senza incarnazione. Una solidarietà che non sia disposta a partecipare alla sorte di quelli con cui si solidarizza sarebbe paternalismo, per dirla con un eufemismo, oppure condurrebbe al dispotismo. In un mondo di vittime una solidarietà che non fosse disposta ad arrivare a essere anch’essa vittima finirebbe per non essere più solidarietà. La sofferenza di Dio è dunque ben “verosimile” se Dio ha voluto davvero rivelare la sua solidarietà con le vittime di questo mondo. Se dall’inizio del Vangelo Dio appare in Gesù come un Dio con noi, se lungo il Vangelo egli si manifesta man mano come un Dio per noi, nella croce egli appare come un Dio in nostro potere e soprattutto un Dio come noi. (Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Maggio 2008ultima modifica: 2008-05-05T23:15:00+02:00da fraternidade
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